2006-08-18

Medici senza frontiere

Xinjiang

Una mattina scendo a far colazione, e nella sala silenziosa e semibuia trovo altre due persone, due donne sui trentacinque anni. Non ci vuole molto prima che mi sieda al loro tavolo. Sono americane le due: una è una turista venuta a visitare l’amica. L’altra, che risponde al curioso nome di Arwen, è un dottore che lavora per Medici senza frontiere in Xinjiang. Vengono da lì, le due, e si sono fermate al Poachers per un paio di giorni, uno sguardo veloce a Pechino, poi via verso gli Stati Uniti.

Arwen ha occhi luminosi quando mi racconta del luogo dove vive e lavora, sul confine occidentale della Cina, dove la gente non parla e non scrive cinese ma solo dialetti turchi locali, dove occhi a mandorla convivono con occhi verdi e azzurri di diverse tribù, dove le radici di montagne innevate affondano nelle sabbie del deserto.


E’ un Paese grande la Cina, antico e diverso nelle sue tante province. E’ una frontiera, e se alcune città confinano col futuro, altre si perdono nel passato più remoto delle tradizioni della Via della Seta. I viaggiatori si incontrano e raccontano le loro storie, le loro avventure meravigliose, stupendo e stupendosi di ogni cosa. Pechino è una città senza apparente fine, ma il Paese di cui è capitale è mille volte più vasto.

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