2006-08-15

I personaggi del Poachers

Dopo svariate settimane di frequentazione del Poachers si impara a conoscere lo zoccolo duro della festa. E a parte le due amiche cinesi della prima sera, che la fanno annusare un po’ a tutti, conosciamo un sacco di stranieri. Tra questi, i frequentatori più affezionati sono tre francesi più giovani di noi, tutti e tre cuochi che fanno un corso di cucina cucina cinese all’hotel Kempinski. Definirli loschi è un eufemismo. Uno è alto, bianchiccio e coi brufoli, e ha i capelli da tamarro con le punte e di un rosso vivo: becca ragazze a ruota, una dietro l’altra, e pure carine. Chissà come fa. Il secondo va in giro con piumino e bandana, capello rasato e atteggiamento da duro. Maneggia una quantità impossibile di hashish e se la intende con tutti gli spacciatori. Si vanta di scrivere testi hip hop in francese. Il terzo è il più tranquillo, occhiali tondi e vestiti da bravo ragazzo, il classico tipo un po' sfigato che appena in Cina cade vittima della febbre gialla: sta insieme a una giapponese neanche troppo carina che striscia ai suoi piedi. Diventano tutti e tre amici, dopo un po’. Ci invitano a qualche festino a casa loro, ovvero nella loro camera nel seminterrato del Kempinski, ma avendo più o meno capito il tenore degli invitati, decliniamo con nonchalance.

Poi ci sono Monica e Kelly, spagnole, entrambe sui trent’anni. Kelly è una strafiga, veramente bellissima; e se ne porta a casa uno diverso ogni sera. Quando non ne trova uno diverso, ri-scopa con una specie di modello danese biondo e altro un metro e novanta, oppure con il francese tinto di rosso, che pare meriti sotto le coperte. Monica è brutticchia, ma carica anche lei.


Ogni tanto si vedono due americane grasse: obese come solo le statunitensi possono essere, ballano in sandali con una borsetta minuscola su un braccio enorme, che fa tanto caricatura, e sotto l’altro braccio una bottiglia d’acqua da due litri, in caso di eccessiva sforzo fisico, immagino. Magari ci hanno anche messo dentro i sali in polvere. Sudatissime, e il bello è che provano anche ad attaccar bottone con me e Massimiliano. Noi ci guardiamo, e negli occhi leggiamo lo stesso pensiero: “No. Scappiamo”.


Gli spacciatori neri sono simpatici, una volta che imparano che non fumi e non vuoi comprare, e si dimostrano amichevoli anche se non danno eccessiva confidenza. Un po’ come i cinesi. Una sera io e il francese tinto di rosso ne becchiamo uno nei cessi, i cessi più luridi di Pechino probabilmente, e attacchiamo bottone. Entrambi siamo ubriachi e, quando questo ci dice che è giamaicano cominciamo a ridere come idioti e ammicchiamo visibilmente. Lui serissimo: “Sono un calciatore, non faccio uso di certe sostanze”. Se ne va offeso, lasciandoci desolati. Ecco i rischi delle generalizzazioni. Allora non sono tutti spacciatori.


E’ uno strano zoo quello del Poachers, non tutto quel che accade ha un senso. Io rimango a guardare, spettatore di infinite scene indipendenti, come un varietà che si ripete le sere di tutti i weekend.

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