2006-08-03

Il Supermercato



La colazione da Poachers è inclusa nel prezzo, e viene servita all’interno del bar. Fa un effetto strano stare nella sala alle otto del mattino, senza persone, senza alcol, senza la nebbia creata dalle sigarette, senza la musica datata. Nel corridoio che mette in comunicazione ostello e bar c’è una finestrella che dà sulla cucina, e passandoci si avverte il cuoco della propria presenza. Un minuto dopo, questo arriva al tavolo con un vassoio: un piatto con tre fette di pane tostato dolce; una confezione monouso di burro; una confezione monouso di marmellata alla fragola; un piatto con frittata e spalla di maiale cotta in fetta quadrata; un bicchiere di succo di mela; tovagliolo di carta singolo; posate.
Tutti i giorni. Il succo alla mela è sempre di mela. La marmellata alla fragola sempre fragola. Il pane dolce sempre dolce. Dopo i primi tre giorni avverto il cuoco che rinuncio alla frittata. Quando imparo come si dice spalla cotta, rinuncio anche a quella. Tutte le mattine, per due mesi, la stessa frase:
“Bu yao jidan, bu yao huotui”
Il cuoco annuisce. Dopo due mesi impara che non voglio la frittata e mi anticipa.
“Bu yao jidan!”
“Bu yao huotui” aggiungo.
Annuisce come uno che ha imparato una cosa interessante. Qualche volta lo testo, e non glielo dico. Allora mi porta tutto quanto.
Il succo di mela e la marmellata alla fragola diventano stomachevoli dopo le prime due settimane. Non è disponibile alcuna alternativa, nemmeno pagando extra. Ma un'alternativa serve: la camera da Poachers non è fornita di frigo, ma la Camera di Commercio sì! E’ allora che scopriamo il supermercato.
Ci eravamo già stati tempo prima, facendo esperimenti strani con tè lipton che sapeva di chimico e nescafé mescolati con una penna bic, ma ora ci si apre davanti il mondo dei cibi freschi. Soprattutto a me, perché Massimiliano ha già passato un periodo in Inghilterra e si è fatto lo stomaco.
Visitando i supermercati di Pechino vengo così a scoprire la miriade di merendine chimiche e cremose che i cinesi adorano. Gli unici biscotti mangiabili sono i Chips Ahoy, ricetta americana ma fatti in Cina, frollini piatti con gocce di cioccolato: sanno di stantio, ma sono la cosa più simile a un biscotto italiano che esista qui. I Chuduoduo (楚多多), come si chiamano qui, vengono anche nella versione al burro di noccioline, una botta di calorie non indifferente, che dà nausea al terzo biscotto.



Il latte costa un occhio della testa, almeno 10RMB al litro, e quello intero è più leggero del nostro latte scremato. E quando mi viene la tosse, causata più dallo smog che dal freddo, prendo del miele. Venti marche diverse di miele, qualità identica, packaging identico: vaso trasparente, tappo giallo, etichetta gialla e verde, o gialla e arancione. Ne acquisto un vasetto e me lo porto in Camera, tra le risate delle colleghe cinesi che mi avvertono che ho comprato “miele per bambini”. Chissà poi che differenza c’è col miele per adulti… misteri del marketing cinese.
La cosa sconvolgente, tuttavia, è che l’introduzione del supermercato in Cina ha portato solo l’illusione della catena del fresco. Ci sono mosche un po’ ovunque. La carne è venduta su un tavolo senza refrigerazione; il pesce per fortuna è vivo, o dovrebbe esserlo, perché gli acquari puzzolenti con la merce che galleggia a pancia un su è più che frequente. I banchi gastronomia vendono le cose più impossibili, e tra tutte riconosco solo i ravioli cinesi, ovviamente non refrigerati. L’odore è indescrivibile. Il latte che ho comprato è rancido. Si sa, il latte è un alimento delicato. Il problema viene quando scopro che il anche miele è rancido.
“Ma da quando in qua il miele scade?!?” chiedo esasperato alle colleghe cinesi.
Nessuna risposta, sorrisi e facce tra l’imbarazzato e il divertito.
E’ allora che imparo l’importanza della data di scadenza. Che in Cina non c’è, per la verità. C’è la data di produzione. E poi, cercando tra i vari caratteri complicatissimi e minuscoli dell’etichetta, si trova la shelf-life, il periodo consigliato (non imposto) per il consumo. Tale periodo si addiziona alla data di produzione per ottenere la data di scadenza, anzi la data entro cui si consiglia il consumo. Tanto comunque la merce si vende anche dopo quella data. E comunque anche se il latte fresco in tetrapak dura una settimana, se lo si conserva alla temperatura sbagliata, anche il giorno dopo è già cagliato. Tutela del consumatore? No, qui non se n’è mai sentito parlare.
Gli acquisti successivi sono più fortunati, complice il controllo metodico delle etichette. Ma il cibo fresco al Jingkelong di fianco a casa rimane sempre una roulette.

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