2006-08-24

Jingyi


Linda mi ha chiesto di considerarla come la mia sorella maggiore. E’ un modo come un altro, in Cina, per classificare un’amicizia molto profonda. Lì per lì la cosa mi mette quasi a disagio, non capisco come mai, al contrario delle altre colleghe, lei si prenda la briga di condividere questa intimità con me. Col tempo, tuttavia, ho scoperto che era sincera Linda, e ha sempre preso il suo ruolo molto seriamente. In particolare, si interessa di sapere che tipo è la ragazza con cui mi vedo. Le mostro una foto di Jingyi. La bocca di Linda si storta in un’espressione di disappunto:
“Carina… ” commenta, con un palese sforzo di volontà.

Va detto che a Linda i tipi alternativi non piacciono, ma questo lo sappiamo.

Jingyi ha cinque anni più di me. I cinesi sembrano più giovani, e io non immaginavo che fosse così tanto più grande. Ma oramai usciamo assieme, e le cose vanno bene, più o meno. Ciò che mi piace di più in lei è la sua indipendenza: rompe tutti gli schemi comportamentali della sua società, è una ribelle ma non per egoismo né per il gusto di ribellarsi: ha i suoi principi, molto forti, e poco si interessa di quelli condivisi dalla società. Si nota da come parla, come si veste, come tratta le altre persone. Per quanto non sia bella, ha fascino da vendere.
E’ riservata, quasi timida, ma molto sicura di sé, quasi presuntuosa a volte. E’ indipendente anche da me, e spesso ci scontriamo su questo. Io sono possessivo, la vorrei vedere ogni giorno, condividere quanti più momenti possibile con lei prima della mia inevitabile partenza per Milano; lei si sforza di mantenere un certo distacco, ben sapendo che la mia partenza la farà soffrire. Lei fugge, io inseguo.
Si trova in una situazione difficile. Per quanto forte, eccezionalmente forte di carattere, ora è a Pechino dopo aver lasciato famiglia e lavoro, ha un nuovo lavoro precario e sottopagato e vive a casa di un’amica italiana che la ospita. E’ un periodo di passaggio fondamentale nella sua vita e si pone mille interrogativi che condivide solo parzialmente con me. Me, che ho cinque anni e un sacco di esperienza in meno di lei, me che a volte le appaio come un ragazzino viziato che pensa solo a divertirsi e non capisce le difficoltà della vita. Ancora oggi non ho ben capito perché uscisse con me; di certo non mi ha mai amato, e questo me lo ha detto senza mezzi termini. Eppure stavamo bene insieme, io stavo bene e lei stava bene, e questo lo vedevo. Forse aveva bisogno di affetto in un momento così difficile.

C’è qualcosa tra noi, che stupisce un po’ entrambi: è che riusciamo a stare insieme in silenzio, e stare bene. E’ una sensazione fisica, uno scambio di energia che passa dalle mani che si stringono e dagli occhi che si incontrano. Le parole, scambiate occasionalmente per dividere i momenti di silenzio, sono un contorno. E’ come se non ci fosse molto da dire, perché entrambi già sappiamo. Cosa poi, non l’abbiamo mai capito.

Non è un rapporto che può durare. Lei lo sa, io lo capisco anche se non lo accetto completamente. Cerchiamo cose diverse, ci siamo incontrati per caso e, oltre la situazione contingente, non siamo in grado di darci molto l’un l’altra. Ma in quel momento contingente, le cose tutto sommato filano, e neanche male.

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