2006-08-20

Frustrazione e trascendenza della notte a Sanlitun

beijing

Il tempo dell’amore dura due, tre settimane, cambiamento radicale e repentino, ma anche di breve durata, come sono le cose in Cina, un divenire continuo. E’ una sera al Poachers e facciamo la conoscenza di un gruppo di studenti australiani venuti da Nanchino per il week-end. Davvero alla mano e giocosi questi australiani, faccio amicizia subito con tutti, ma con Melissa è diverso. Avrà un anno o due meno di me, lunghi capelli castani e occhi neri e lucenti; balla come non ho mai visto ballare una ragazza nemmeno al Poachers, con il suo corpo si stende su tutti e non si concede a nessuno. Quando mi guardo attorno, capisco che siamo tutti innamorati di lei; ma la partita si gioca tra me e il francese dai capelli rossi fuoco. E’ una partita dura, lui devo dirlo ci sa fare molto più di me.
La serata finisce in bianco per entrambi, ma lui un passo avanti a me perché si fa dare il numero dall’australiana. Sarà la frustrazione di arrivare secondo, o qualcos’altro, forse la consapevolezza che tutto qui cambia e nulla rimane, che i rapporti durano al meglio una notte, al peggio un ballo, che forse questo gaudio da paese dei balocchi ha un lato sinistro, che è l’impossibilità di costruire qualunque cosa di stabile. Puoi ballare, e comunicare col corpo e con gli occhi come non hai mai fatto, ma in fondo cosa puoi dire? Queste cose sono complementari, non sostitutive delle parole, e al Poachers la musica è tanto alta che non si possono scambiare più di poche frasi. Quante persone posso dire di conoscere, qui dentro?


Non salgo in camera con Massimiliano, ma esco in strada, nel freddo, con solo la mia maglietta leggera, e mi incammino nel buio di Sanlitun alle quattro del mattino. Mi rendo improvvisamente conto di essere solo, di avere 23 anni e di non sapere poi tanto di concreto del mondo; mi sembrava che tutto fosse a portata di mano, e scopro che non lo è, e anche se lo fosse, non è tutto oro quel che luccica.
Sulla Nan Sanlitun Lu incrocio una ragazza orientale: alta, capelli lunghi e lucidi, trucco pesante, tacchi alti e gonna con spacco generoso. I nostri sguardi si incrociano, il mio apatico, il suo gioioso. Mi insegue, e mi fermo ad aspettarla.
“Hello!” dice in cinglese la mongola, prendendomi sotto braccio “Let’s go to a bah!”
“Grazie” rispondo, scuotendo la testa “non mi interessa”
“One hundred dollah OK?” propone aggressiva, tirando il braccio di un corpo che non si smuove proprio da dove si trova.
“Non ho soldi” mento spudoratamente.
“OK fifty dollah OK?” ripropone speranzosa.
“Mi spiace, non ho proprio nulla”.
Rimaniamo a guardarci, lei con il suo sorriso smagliante e i grandi occhi pieni di falsa innocenza, io con un sorriso di chi vede sé stesso in una scena che di senso non ne ha proprio.
“Baciami” le dico alla fine.
Anche questo non ha senso. Ma nella mia noia esistenziale nei confronti di un mondo che non si piega ai miei desideri voglio almeno verificare un mito. Sarà vero, come si dice, che le puttane non baciano?
Lei non ci pensa, semplicemente appoggia le labbra alle mie e le nostre lingue si incontrano. E’ un bacio che sa di lucidalabbra alla pesca, e di profumo da quattro soldi. Dura a lungo, e quando finisce lei non ha altro da dire se non:
“Fifty dollah OK?”
Scoppio a ridere. Tutto questo non ha un senso, né il nostro dialogo, né le nostre azioni.
“Non ho davvero soldi, sono uno studente” le dico, e me ne vado. Rimane a guardarmi un attimo, incerta se inseguirmi oppure no. A quest’ora i potenziali clienti non abbondano. Poi forse capisce, e se ne va nella direzione opposta.


Rientro in camera ridendo ancora. Ho fatto una cosa che credevo impossibile, una cosa da uomo e non da ragazzino quale sono, e ciò che più conta una cosa di cui non mi interessava assolutamente nulla. La realtà non è così difficile da modificare; forse il segreto è non desiderare di farlo. Il distacco, questo fa la differenza fra attaccamento e frustrazione, e una risata a cuor leggero.

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