Chiunque mi conosca sa già come la penso di Shanghai. Faccio due premesse; la prima è che il mio giudizio iniziale è stato condizionato negativamente da vari altri problemi sorti nel lavoro, nella convivenza in appartamento, nelle relazioni sociali ed sentimentali, nelle abitudini consolidate, nella reazione al clima e al cibo. La seconda è che Pechino e Shanghai sono città rivali, rappresentanti due modi diversi di vedere il mondo, e chi ama l’una non può amare l’altra. Come Roma e Milano. Come Pisa e Livorno.
Una terza premessa è che la maggior parte degli stranieri che vivono in Cina adora Shanghai: moderna, veloce, ottima per lavorare, fornita di tutto, dalla rete wireless alla Nutella importata dall’Italia, dai negozi di Armani e Luois Vuitton ai bar stilosi in cima ai grattacieli più scintillanti.
E allora, eccomi a Shanghai. Non è la Cina che mi aspettavo. Non è quella che conoscevo. Non sembra nemmeno di stare nello stesso Paese di Pechino, a cominciare dal fatto che non si parla la stessa lingua. Tutti parlano shanghainese, lo shanghai hua (上海话), un incomprensibile quanto sguaiato dialetto che sta al cinese mandarino come il sardo sta all’italiano. La gente è più bassa, più sottile; si veste in modo diverso, le donne dai 10 agli 80 anni hanno tutte i tacchi, moltissime il trucco e i capelli tinti di colori chiari; gli uomini hanno tutti la scarpa di pelle o vernice nera col calzino corto. Non esiste la solenne rozzità di Pechino, gente grossa, sporca e vestita per stare comoda; gli shanghainesi sono i più ricchi della Cina e vogliono fare gli eleganti. Pur essendo generalmente più puliti della media dei cinesi, ad essere eleganti non ci riescono e risultano al meglio kitch, al peggio brutti. La noto in tutta la città questa voglia d’esser belli senza riuscirci. Pechino può essere squallida, lo si è detto, ma non fa nulla per nasconderlo; accetta la sua condizione di metropoli stuprata dallo sviluppo industriale. Shanghai no, vuol sembrar bella: e così davanti all’immondizia mette i fiori, alle case decrepite dà una mano di rosa pastello, a una finestra che dà su una discarica mette una tendina con gli orsacchiotti. E’ una città superficiale e ipocrita.
Gli shanghainesi sono straodiati un po’ ovunque in Cina, con l’accusa d’esser taccagni e spocchiosi. Lo sono certamente. A loro difesa posso solo dire che quanto meno sono onesti, il che non si può dire di molti loro compatrioti. A loro ulteriore detrazione dico invece che sono anche ignoranti: i pechinesi vanno fieri della loro storia e la sanno citare relazionandola ai vari luoghi della città. Gli shanghainesi, la cui città di storia non manca, sembrano aver dimenticato e guardano solo al futuro. Tutto pare nuovo a Shanghai, quello che non è nuovo è brutto, se si può si spiana per metterci qualcosa di nuovo. C’è quasi un tabù del passato, e qualche volta anche a parlar di presente si vien guardati strano.
Alla mia antipatia per la gente si aggiunge la debolezza al clima. A vederla sulle cartoline Shanghai è bella: bella nei grattacieli di Lujiazui come nei palazzi coloniali del Bund e nelle ville della Concessione Francese, le strade alberate e le file di shikumen, le case tradizionali che stanno a Shanghai come i siheyuan stanno a Pechino. Fare parte di quella scena è diverso: aprile, maggio e ottobre sono i mesi in cui Shanghai è vivibile, c’è spesso il sole e fa un bel caldo, ci si siede all’aperto e ci si gode la bella stagione. Da novembre a marzo il clima è freddo e umido, con pioggia e nebbia quotidiane, il tutto in una città che non è dotata di riscaldamento diverso dall’aria condizionata. Da giugno a settembre,il clima è caldo tropicale, con nebbia e pioggia quotidiane: di giorno quaranta gradi, di notte trentacinque, e comunque sempre umido. L’umidità potrebbe anche contribuire a una splendida fauna e flora, ma gli unici animali di Shanghai sono ratti e scarafaggi che gozzovigliano nell’immondizia gettata in strada, e i passeri che fanno il nido sui buchi dei tetti; le uniche piante fuori dai giardini sembrano essere platani, forse le uniche piante che sopravvivono alla mancanza di luce e di aria. La Nanjing Lu è costeggiata da platani; la Beijing Lu anche; la Huaihai Lu pure; La Fuxing Lu, la Xinzha Lu, la Jianguo Lu. Tutte a platani, che pare d’esser in via Lorenteggio o Giambellino a Milano, solo senza i palazzi d’epoca, i marciapiedi larghi e la spazzatura dentro i cestini. A guardar la scena, sembra che anche la natura abbia fallito nel sopravvivere in questo luogo, lasciando solo le specie più resistenti. Non è incoraggiante.
A completare il quadro delle mie nemesi, insieme alla gente e al clima c’è il cibo. Io amo il cibo cinese. Adoro la cucina di Pechino, grassa e saporita; adoro quella musulmana, con il suo montone speziato di cumino e le lunghe tagliatelle; adoro quella cantonese, così ricca e complessa; e adoro anche quella sichuanese, piccante ma deliziosa. Quella shanghainese no, è immangiabile. Non è tanto il fatto che tutto sia fritto e intriso d’olio, peraltro di quarta categoria, che il glutammato venga usato a blocchi, o che la carne sia spesso stopposa e dura. E’ che lo zucchero è dappertutto: nella verdura, nella carne, nella pasta, tutto è dolce e stucchevole, ogni pasto nauseante. Nessuno straniero che conosca riesce a mangiare shanghainese; nessun cinese che conosca sostiene che al cucina shanghainese sia buona (a meno che non venga da Shanghai). Ciò significa che il piacere di buttarsi nella bettola sotto casa e pasteggiare con pochi centesimi di euro non c’è più. Non solo: anche i ristoranti stranieri, se gestiti da locali, si adattano al gusto locale: mi trovo a mangiare spaghetti dolci, cibo alla pechinese dolce, pizza dolce, hamburger dolce. E il pane dolce è la cosa più avvilente: pane intriso di burro e zucchero, con la generica etichetta “pane”, quasi fosse normale; così non si distingue nemmeno dal pane normale.
In questo inferno di città ci passerò sei mesi filati, ma il mio lavoro mi permetterà di tornare a Pechino relativamente spesso.
Una terza premessa è che la maggior parte degli stranieri che vivono in Cina adora Shanghai: moderna, veloce, ottima per lavorare, fornita di tutto, dalla rete wireless alla Nutella importata dall’Italia, dai negozi di Armani e Luois Vuitton ai bar stilosi in cima ai grattacieli più scintillanti.
E allora, eccomi a Shanghai. Non è la Cina che mi aspettavo. Non è quella che conoscevo. Non sembra nemmeno di stare nello stesso Paese di Pechino, a cominciare dal fatto che non si parla la stessa lingua. Tutti parlano shanghainese, lo shanghai hua (上海话), un incomprensibile quanto sguaiato dialetto che sta al cinese mandarino come il sardo sta all’italiano. La gente è più bassa, più sottile; si veste in modo diverso, le donne dai 10 agli 80 anni hanno tutte i tacchi, moltissime il trucco e i capelli tinti di colori chiari; gli uomini hanno tutti la scarpa di pelle o vernice nera col calzino corto. Non esiste la solenne rozzità di Pechino, gente grossa, sporca e vestita per stare comoda; gli shanghainesi sono i più ricchi della Cina e vogliono fare gli eleganti. Pur essendo generalmente più puliti della media dei cinesi, ad essere eleganti non ci riescono e risultano al meglio kitch, al peggio brutti. La noto in tutta la città questa voglia d’esser belli senza riuscirci. Pechino può essere squallida, lo si è detto, ma non fa nulla per nasconderlo; accetta la sua condizione di metropoli stuprata dallo sviluppo industriale. Shanghai no, vuol sembrar bella: e così davanti all’immondizia mette i fiori, alle case decrepite dà una mano di rosa pastello, a una finestra che dà su una discarica mette una tendina con gli orsacchiotti. E’ una città superficiale e ipocrita.
Gli shanghainesi sono straodiati un po’ ovunque in Cina, con l’accusa d’esser taccagni e spocchiosi. Lo sono certamente. A loro difesa posso solo dire che quanto meno sono onesti, il che non si può dire di molti loro compatrioti. A loro ulteriore detrazione dico invece che sono anche ignoranti: i pechinesi vanno fieri della loro storia e la sanno citare relazionandola ai vari luoghi della città. Gli shanghainesi, la cui città di storia non manca, sembrano aver dimenticato e guardano solo al futuro. Tutto pare nuovo a Shanghai, quello che non è nuovo è brutto, se si può si spiana per metterci qualcosa di nuovo. C’è quasi un tabù del passato, e qualche volta anche a parlar di presente si vien guardati strano.
Alla mia antipatia per la gente si aggiunge la debolezza al clima. A vederla sulle cartoline Shanghai è bella: bella nei grattacieli di Lujiazui come nei palazzi coloniali del Bund e nelle ville della Concessione Francese, le strade alberate e le file di shikumen, le case tradizionali che stanno a Shanghai come i siheyuan stanno a Pechino. Fare parte di quella scena è diverso: aprile, maggio e ottobre sono i mesi in cui Shanghai è vivibile, c’è spesso il sole e fa un bel caldo, ci si siede all’aperto e ci si gode la bella stagione. Da novembre a marzo il clima è freddo e umido, con pioggia e nebbia quotidiane, il tutto in una città che non è dotata di riscaldamento diverso dall’aria condizionata. Da giugno a settembre,il clima è caldo tropicale, con nebbia e pioggia quotidiane: di giorno quaranta gradi, di notte trentacinque, e comunque sempre umido. L’umidità potrebbe anche contribuire a una splendida fauna e flora, ma gli unici animali di Shanghai sono ratti e scarafaggi che gozzovigliano nell’immondizia gettata in strada, e i passeri che fanno il nido sui buchi dei tetti; le uniche piante fuori dai giardini sembrano essere platani, forse le uniche piante che sopravvivono alla mancanza di luce e di aria. La Nanjing Lu è costeggiata da platani; la Beijing Lu anche; la Huaihai Lu pure; La Fuxing Lu, la Xinzha Lu, la Jianguo Lu. Tutte a platani, che pare d’esser in via Lorenteggio o Giambellino a Milano, solo senza i palazzi d’epoca, i marciapiedi larghi e la spazzatura dentro i cestini. A guardar la scena, sembra che anche la natura abbia fallito nel sopravvivere in questo luogo, lasciando solo le specie più resistenti. Non è incoraggiante.
A completare il quadro delle mie nemesi, insieme alla gente e al clima c’è il cibo. Io amo il cibo cinese. Adoro la cucina di Pechino, grassa e saporita; adoro quella musulmana, con il suo montone speziato di cumino e le lunghe tagliatelle; adoro quella cantonese, così ricca e complessa; e adoro anche quella sichuanese, piccante ma deliziosa. Quella shanghainese no, è immangiabile. Non è tanto il fatto che tutto sia fritto e intriso d’olio, peraltro di quarta categoria, che il glutammato venga usato a blocchi, o che la carne sia spesso stopposa e dura. E’ che lo zucchero è dappertutto: nella verdura, nella carne, nella pasta, tutto è dolce e stucchevole, ogni pasto nauseante. Nessuno straniero che conosca riesce a mangiare shanghainese; nessun cinese che conosca sostiene che al cucina shanghainese sia buona (a meno che non venga da Shanghai). Ciò significa che il piacere di buttarsi nella bettola sotto casa e pasteggiare con pochi centesimi di euro non c’è più. Non solo: anche i ristoranti stranieri, se gestiti da locali, si adattano al gusto locale: mi trovo a mangiare spaghetti dolci, cibo alla pechinese dolce, pizza dolce, hamburger dolce. E il pane dolce è la cosa più avvilente: pane intriso di burro e zucchero, con la generica etichetta “pane”, quasi fosse normale; così non si distingue nemmeno dal pane normale.
In questo inferno di città ci passerò sei mesi filati, ma il mio lavoro mi permetterà di tornare a Pechino relativamente spesso.
3 commenti:
il 2008 portera' alla shanghaizzazione?
conosco poco shanghai, pochissimo, ma per quello che ho visto non posso che confermare il tuo unto di vista...
penso che il nodo centrale che diffrenza le due citta' si il carattere di internazionalita' dei shanghai che pechino non ha ancora raggiunto.
shanghai e' una citta' di mondo, aperta da molto piu' tempo a scambi di merci e culture. e' una citta' che vuole farsi vedere, pechino non ancora... anche se come commentavamo l'altro giorno camminando satolli di spiedini davanti allo stadio dei lavoratori il trend sta cambiando, anche Pechino si ste facendo bella, si trucca e impelletta.
e' la preparazione al 2008... si sente nell'aria e nella esitazione degli stranieri che amano questa citta' e che alla domanda: fino a quando ti fermi?
rispondono incerti: aspetto le olimpiadi, poi vedro'.....
chi ha orecchie da intendere in tenda e gli altri in hutong.... : )
Sono nata a Shanghai,cresciuta a Shanghai...ho tutti i carateri di cui hai vissuto o visto in questa città. Ma non sono una donna tipica shanghainese.Per la mia città, posso dire...che sono come la Shanghai,voglio dimenticare il passato e guardo solo il futuro. La storia di Shanghai era di un'epoca coloniale,ma non di cina.Dentro i cuori di tutti gli Shanghainesi sempre stava un desiderio-- diventare come uno occidente. Ma la realtà è che la città di shanghai ha gia persa se stessa in questa guerra di cultura tra occidente e oriente.
Scusami per il mio brutto italiano :)Buona basqua
Buona Pasqua a te, Xiaoyu, e complimenti per il tuo italiano! Shanghai è una città che può dare molto alla Cina e al Mondo, ma è lì che i difetti dei cinesi moderni sono più marcati: avidità, individualismo, mancanza di rispetto per le altre persone e per lo Stato. E' un peccato, spero che queste cose cambino nel futuro.
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