2006-10-21

Guanxi

Guanxi (关系) viene generalmente tradotto come “relazione”, ma ha anche l’accezione di qualcosa che si incrocia, che lega. Guanxi può essere l’incrocio di due strade, o il nesso tra due argomenti. Una di queste tante accezioni è la più comune, e quella che ci interessa dal punto di vista socio-culturale: guanxi è la relazione che si instaura tra due persone. Quando io conosco qualcuno, stabilisco una guanxi. La qualità di questa guanxi migliora tanto più sono profondi la fiducia e il rispetto reciproci.
La Cina è un Paese antico, come l’Italia, il centro di una civiltà che si è diffusa in tutto il pianeta; ne va da sé che anche i rapporti sociali tra le persone siano stati strutturati in modo particolarmente complesso. Ma mentre in Occidente il nostro pensiero ha portato alla generalizzazione dell’essere umano, “il prossimo”, “l’umanità”, in Cina le relazioni sono rimaste sempre molto specifiche, differenziate da persona a persona.
Tradotto in parole semplici, mentre in Occidente noi tendiamo a trattare tutte le persone allo stesso modo, almeno in linea di principio, i cinesi discriminano. Verso chi non si conosce è possibile mentire, è possibile truffare, è possibile tutto perché ci sono ben pochi doveri morali verso uno sconosciuto. Le cose cambiano quando due persone si conoscono: costruiscono un rapporto di fiducia. I cinesi dicono “dare la faccia”, ovvero permettere a una persona di entrare nella propria sfera personale, instaurare un rapporto umano e mostrare i reciproci limiti e punti deboli, al fine di costituire un rapporto di fiducia. Quando c’è fiducia, c’è una buona guanxi.
Quando i cinesi hanno bisogno di qualcosa, si affidano alle persone con cui hanno una buona guanxi: anzitutto la famiglia, quelli dello stesso sangue; quindi le persone che conoscono da molto tempo, tipicamente amici di famiglia, vicini di casa, compagni di scuola, colleghi. Evitano il più possibile di doversi affidare e fidare di chi non conoscono. Ciascun cinese coltiva le proprie guanxi con telefonate, inviti a cena o a prendere il tè, auguri, regali piccoli e grandi. Le persone con cui si condivide una buona guanxi sono un’assicurazione per il futuro.
Questo modo di pensare porta, nel mondo degli affari, a vari atteggiamenti che noi occidentali potremmo definire “favoritismi”, “nepotismo”, “lobbismo”, “mafia”. Mettiamo che io debba assumere una persona: come faccio a sapere che questa persona lavorerà sodo e non tradirà l’azienda quando più gli conviene? Tramite le guanxi: la figlia del mio compagno di scuola, il fratello di un mio amico, il fidanzato di mia cugina. Devo trovare un fornitore: cercherò qualche azienda tramite le mie guanxi. Devo concedere un prestito: darò la preferenza a chi può garantirmi fiducia, tramite le guanxi.
Questo sistema di ragionamento è antico quanto il Confucianesimo, estremamente razionale, molto efficiente in una situazione di incertezza. Equo non tanto, perché rafforza le gerarchie. Ma applicato con onestà, dando fiducia a chi se la merita con le azioni, è perfetto. E poi i cinesi non hanno il tabù della gerarchia che abbiamo noi in Occidente: noi mettiamo la legge meccanica al di sopra di tutto e nel lavoro calcoliamo il valore delle persone in denaro fatturato o in anni di servizio. I cinesi sono più discrezionali, non generalizzano e non semplificano come facciamo noi. Se ci pensiamo, poi, la mentalità italiana non è tanto diversa oggi, e se guardiamo indietro nel tempo di qualche decennio è quasi uguale.

Anche io imparo a coltivare le mie guanxi. E’ un piacere sottile, perché mescola rapporti umani ed economici, senza slegarli astrattamente. Per molti versi il sistema delle guanxi umanizza il sistema economico, lo rende meno arido e spietato. Una delle mie guanxi mi verrà estremamente utile nella ricerca del lavoro, perché mentre molte decine di miei CV mandati via posta elettronica vengono cestinati dalle aziende italiane presenti in Cina, un CV passato a mano da un’amica – che lasceremo innominata – all’ufficio personale della Camera di Commercio in cui lavora, mi frutterà due colloqui e infine il mio primo contratto di lavoro.

Purtroppo, mi rendo conto, le mie guanxi sono forti ma non abbastanza in alto. A 24 anni le guanxi in alto non si creano da soli, si ereditano. E siccome io non ne ho ereditate, devo lavorarci: dimostrando alle persone che ho attorno la mia buona volontà, la mia intelligenza, il mio rispetto, la mia sincerità, la mia credibilità. Il mio primo lavoro mi fa lavorare con la Cina ma non mi ci manda. Tre mesi dopo l’assunzione il contratto non viene rinnovato, ma vengo assunto in un’associazione di categoria, dopo che la segretaria del direttore, con cui avevo collaborato in Camera, passa il mio CV al suo capo lodando la mia professionalità. Questa volta lavoro ottimo, ambiente sereno, stipendio da sogno, ma niente Cina. Sono quasi sul punto di rinunciare al mio ritorno in Oriente quando, a due anni dalla mia partenza per Pechino, ricevo un’e-mail dalla mia università, un invito a un concorso per borse di studio che finanziano un corso di tre mesi a Milano sull’economia cinese, e uno stage semestrale direttamente in Cina. La coordinatrice del progetto è la mia relatrice di tesi, quella che mi ha spedito la prima volta in Cina, a forza. Non so se si ricordi di me tra i tanti suoi ex-studenti, se si ricordi della mia tesi per cui aveva proposto sette punti, della nostra guanxi gelidamente professionale, fatta di incontri su appuntamento e dialoghi formali e misurati. Forse se ne ricorda, ed è per questo che mi è arrivato l’invito via e-mail. Forse se ne ricorderà, se la scelta dei candidati spetterà a lei. La parola guanxi, dopotutto, me l’ha insegnata lei durante i suoi corsi all’università. Mando il materiale necessario all’iscrizione e prego. Poi, un’e-mail dall’università per richiedere un colloquio motivazionale. E poi, una telefonata dall’ufficio relazioni internazionali: “Complimenti, Lei è stato scelto tra i beneficiari della borsa di studio per il programma Business in China”.

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