2006-07-15

La Grande Muraglia


 
 “This indeed is a great wall” 
Richard Nixon

La gita alla Grande Muraglia è un obbligo per tutti quelli che passano da Pechino. Marco ha già organizzato tutto perché lui è il nonno della compagnia, e su consiglio di Elena sceglie il tratto da visitare. Badaling è troppo turistico, con il finto Disneyland, il McDonald, la funivia e le orde di turisti. Noi si va a Mutianyu, che è ancora, pare, un tratto relativamente incontaminato e non restaurato.
Gladis, il nostro capo in Camera di Commercio, ci fa prenotare una macchina che ci scorrazzi per tutta la strada, tariffa giornaliera 400 yuan, quaranta euro. Sabato mattina ci si trova sotto il Jingguang, e il sig. Gao ci aspetta, completo nero standard da cinese elegante “vorrei ma non posso”, capello lungo, baffetto da sparviero e immancabile sigaretta in mano. Alle sue spalle, una macchina blu extra-lusso. Via, si monta, io Marco e Massimiliano, che è arrivato tipo due giorni prima e ancora non connette benissimo.
Dal Jingguang a Mutianyu ci vuole un’ora abbondante di strada. Fuori dal finestrino schermato, vediamo scorrere prima i palazzoni del Terzo Anello, quindi i palazzi-cubicolo del Quarto Anello, e infine la città si dirada ed entriamo nella campagna. Più che campagna è steppa, con filari di pioppi ai lati della strada e un’estensione indefinita di erba gialla coperta di polvere, i cui confini scompaiono nella foschia dell’inverno. Non c’è nulla che possa attirare la nostra attenzione, il paesaggio dopo un po’ è sempre lo stesso, punteggiato di tanto in tanto da aggregati di negozi con grandi insegne gialle e rosse in cinese e persone mal vestite e rozze che battono martelli su vecchi motori, o mescolano pentoloni pieni di brodaglia servita agli avventori sulla strada stessa. Sono tutti uguali, e dopo un po’ non ci si ricorda quanti ne sono passati.
Dopo un’ora e mezza, si arriva ai piedi di grigie colline coperte di arbusti martoriati dal vento sabbioso, e ci si ferma ai piedi di una strada serpeggiante che si arrampica su per il crinale fino a un grande muro, grigio pure quello, come il cielo, come le colline, come la sabbia e la polvere. E in questo culo di luogo, botteghe, bancarelle e venditori ambulanti a eserciti, che ci saltano addosso come lupi offrendo ogni genere di idiozia turistica: t-shirt, cartoline, libri di foto di Pechino e la Grande Muraglia, guide, mappe, statuine tradizionali, accendini che si illuminano e fanno rumore. Marco li insulta tutti, poi si ferma a contrattare con ciascuno di essi. Manco a dirlo, dopo aver tirato il prezzo di un libro fotografico alla metà e averlo acquistato, se lo vede offrire con vari sconti: 60%, 70%, 80%. Marco odia i cinesi. I cinesi ridono e guardano me e Massimiliano come a tirarci in mezzo al divertimento.
La salita è lunga e difficile, e resa ancora più difficile dai venditori. L’unica sorpresa è un vecchio cammello parcheggiato in un angolo: appena lo guardo, qualcuno mi chiede se voglio farci una foto assieme, o voglio cavalcarlo. Scappiamo.
Finalmente arriviamo a una breve funivia che ci permetterà di evitare un’altra ora di camminata. Da bravi turisti capitalisti e stanchi, allunghiamo una banconota alla biglietteria e dopo un quarto d’ora siamo sulla Grande Muraglia. Il vento mongolo fischia forte e graffiante qui sulla cima, senza la protezione dei colli. Ci incamminiamo, e la salita risulta meno facile del previsto: non solo la muraglia va su e giù per i crinali, ma gli scalini sono pure tagliati in modo irregolare per mettere in difficoltà gli invasori, e duemila anni di intemperie li hanno resi ancora più insidiosi. Gli invasori come noi sono pochi, di più le famiglie cinesi che fanno picnic e buttano la spazzatura per terra o già dai merli (non ci sono cestini, d’altra parte). Un'arrampicata interminabile termina in una scala verticale e una torre merlata: ci arriviamo a gattoni, solo per essere accolti da una contadina dalla pelle scura che ci offre Coca Cola e Fanta. Più in là, la parte agibile della Muraglia termina, e un gruppo di turisti locali si diverte a scavalcare le transenne, e rischiare di cascar giù. Ridono. Uno di loro inciampa in un mattone che si è staccato dalla pavimentazione. Lo guarda, ci pensa un po’, poi decide che è pericoloso, quindi lo raccoglie e lo scaglia nella boscaglia. Ripenso all’orgoglio nazionale di cui tutti qui sono pieni, e a quanto si gonfiano il petto a parlare dei loro monumenti. Ecco come li preservano. Barbari, penso, sarete pure tanti, ma il livello di intelligenza e cultura medio dell’individuo è proprio basso tra voi.
In cima alla torre lo sguardo di perde, e dopo esserci liberati della signora che vende bibite, mentre prendiamo fiato, improvvisamente ci rendiamo conto di dove siamo: la Grande Muraglia. E’ grande. Ma proprio grande: più la guardi, meno ne vedi la fine. Come un serpente si snoda lungo la cima dei colli e si perde dietro di essi da entrambe le direzioni. A valle, nella foschia si scorgono valli e paesi, da una parte la Cina, dall’altra la steppa mongola, e il resto del Mondo.
E’ allora che il mio senso di superiorità, instillato da Marco nelle settimane precedenti, scompare, e mi sento piccolo e insignificante. Cinquecento anni fa l’Europa non era nemmeno uscita dal medioevo, e l’Impero cinese dominava gran parte dell’Asia da più di mille anni. Per la maggior parte della storia umana, la Cina è stata centro, e l’Europa periferia. E grazie tante all’arte e alla filosofia, il potere è sempre stato qua, e se se n’è andato con il colonialismo, ritornerà ben presto qui, dopo un’assenza di un paio di secoli, e il centro del mondo smetterà di oscillare tornando alla posizione iniziale. E’ una sensazione stranissima, mai sperimentata prima. E non si può provare senza essere qui: i milioni di europei e americani che non verranno mai in questo luogo, non capiranno mai quando è Grande la Cina. Le dimensioni e l’unità sono la sua forza incontrastabile. Inutile la cultura, l’intelligenza, la civiltà. Loro sono tanti, e per questo vincono e vinceranno sempre. Sono loro che dovrebbero sentirsi superiori. E ci si sentono già.
Torniamo indietro spossati dalla scalata e dai venditori, troppi loro, troppo pochi noi. Anche se siamo più svegli, più forti, più ricchi, loro sono tanti e ci prendono per sfinimento. E’ per questo che la ottengono sempre vinta. Con questa epifania in testa, arrivo in albergo e collasso sul letto, per svegliarmi il giorno dopo con un atteggiamento decisamente diverso nei confronti di questo Paese.

  
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1 commento:

Anonimo ha detto...

G.L. Tannamori scrive al gentile signore, cari saluti.
Lei è un eccellente scrittore, non se lo dimentichi mai.