Il primo giorno in ufficio di Massimiliano sembrerebbe cominciare con i migliori auspici, perché il Segretario Generale non c’è (è la settimana del Capodanno cinese, e metà dello staff è in ferie), e lui è affidato alle cure materne di Vaira. Lo vedo molto positivo, ma so che la mazzata arriverà anche per lui. Cerco di prepararlo come Marco ha fatto con me, anche se non risulto convincente. Va detto, qui mi trovo bene, e Massimiliano non sembra credere alle mie descrizioni dell’inefficienza dei cinesi, dell’incomunicabilità totale con certe persone, dei blocchi culturali tipo il perdere la faccia che contaminano ogni rapporto con i cinesi più tradizionali. Massimiliano non parla cinese, e più ci penso più mi preoccupo per lui.
Il rito di passaggio per Massimilano arriva abbastanza presto, e a tutt’oggi rimane uno degli aneddoti più assurdi che ricordi sulla Cina. A pranzo Vaira decide di portarlo al ristorante nel basement del Jingguang, che non è buono, è relativamente costoso, ma quantomeno non dovrebbe costituire un attentato alle difese immunitarie del nuovo venuto.
Arriviamo relativamente tardi al ristorante, quando tutti i cinesi, che cominciano a pranzare dalle 11.30 alle 12.00, se ne sono già andati. Vaira, tesoro di mamma, ordina per noi, e si cura di chiedere le cose più deliziose, pur con un occhio al portafoglio. La cameriera, ingessata in un tradizionale qipao scuro, prende l’ordine e lo porta in cucina, poi riprende posto a un lato della sala, immobile come una statua, come tutte le altre cameriere. I minuti passano, e nulla arriva dalla cucina. Vaira chiama la cameriera per cercare di velocizzare la cosa, e quella risponde imbarazzata che i nostri piatti stanno arrivando, guarda la cucina preoccupata come a dimostrazione che la sua dichiarazione non è supportata da alcuna evidenza, e torna al suo posto. I minuti passano, e la sala si svuota. Vaira sollecita ancora, e mentre la cameriera risponde la stessa cosa di prima, le porte della cucina si aprono, per lasciare uscire un’altra cameriera avvolta dal fumo.
“Se ci sono problemi” dice Vaira esitante “noi ce ne possiamo anche andare in un altro posto… “
“Nessun problema” assicura la cameriera, ancora più esitante di Vaira “i vostri piatti arriveranno in un attimo”
Notiamo però un certo fermento tra le cameriere, che si guardano attorno più smarrite del solito. La responsabile di sala, nel suo qipao scuro bordato d’oro, entra nelle cucine velocemente, come agitata.
Il tempo passa, e mentre per la terza volta la cameriera, chiamata da Vaira, cerca di rassicurarci sul fatto che i nostri piatti sono ormai in arrivo, le porte della cucina si aprono di nuovo e la responsabile di sala ne esce, avvolta da una nube di fumo grigio, con un fazzoletto sul viso. Del fumo comincia ora anche a filtrare attraverso altre aperture nella sala. Le cameriere sono ora decisamente allarmate.
“Prego, signori” dice la responsabile di sala avvicinatasi al nostro tavolo, ostentando sicurezza con scarso successo “da questa parte… no, non da quella, la porta sul retro”
Usciamo di corsa attraverso uno dei corridoi riservati normalmente allo staff, un’uscita di sicurezza che ci conduce nel piazzale retrostante il grattacielo. Dalle grate che danno aria ai livelli sotterranei escono colonne di denso fumo nero. Mentre ancora guardiamo increduli il palazzo, vediamo uscire lo staff italiano dell’ICE, l’istituto per il commercio estero italiano, che sta due piani sopra di noi.
“Pare che ce sta’ ‘n incendio” dice uno di loro, con chiaro accento laziale. Massimiliano si guarda attorno ed è ovvio che non sa cosa pensare. Non che io abbia le idee più chiare di lui. Vaira, invece, che ha in mano la responsabilità dell’ufficio per la prima volta, riceve una scossa di adrenalina notevole: chiama al cellulare il Segretario Generale.
“Ehm… ciao, scusa se ti disturbo… lo so che oggi sei in vacanza ma… nel caso di un incendio dell’ufficio, c’è qualcosa di particolarmente importante che devo salvare?”
“TUTTO!!!” La risposta isterica del capo è chiaramente udibile a tutti i presenti.
Vaira mette giù il cellulare. Una delle segretarie, Sofia, è rimasta in ufficio con il suo pranzo portato da casa. E’ allora che Super Vaira si rivela: narici dilatate, respiro pesante, fronte imperlata di sudore:
“Voi rimanete qui” dice “io vado a salvare Sofia”
“Vaira… “ comincio “è meglio non usare l’ascensore in questi casi”
“… andrò a piedi!” ribatte dopo un secondo di esitazione.
“Sono 36 piani Vaira!” obietto, per nulla convinto della sua decisione eroica.
Massimiliano ha l’idea migliore di tutti: “Chiamiamola al cellulare… ”
Manco a dirlo, Sofia non si è accorta di nulla. Pochi minuti dopo, esce dalle porte e ci raggiunge nel piazzale, con calma serafica: “In effetti avevo notato un po’ di fumo”
E’ in quel mentre che arrivano tre camion dei pompieri a sirene spiegate.
La scena è grottesca. Un grattacielo di 52 piani, con un incendio ai piani sotterranei, con fumo che sale internamente fino a toccare almeno il 36° piano, e colonne nerissime che escono dalle grate. Pompieri ovunque. Dieci persone nel piazzale, metà italiani, l’altra metà cinesi evacuati dagli italiani.
Più tardi apprenderemo che una macchina è andata a fuoco nel basement, e i pompieri hanno domato l’incendio in circa mezz’ora. Il management non ha dato l’allarme. Tutte le persone presenti nel Jingguang, in gran parte cinesi (gli stranieri erano in pausa pranzo), nonostante il fumo nei loro uffici, non hanno evacuato l’edificio, né si sono preoccupati della cosa.
Rientriamo a incendio domato, verso le tre del pomeriggio. L’ufficio è ancora pieno di fumo, la visibilità è scarsa, l’odore di bruciato forte. Apriamo tutte le finestre. Il fumo se ne andrà completamente solo un paio d’ore dopo. Guardo Massimilano, e non riesco a dire nulla. La situazione è incommentabile. Non importa, perché anche lui l’ha intuito.
“Buon primo giorno di lavoro”
“Grazie”
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