2006-07-23

Christian e Stefano

中国北京大北窑=CBD

La Bocconi è talmente disorganizzata che all’inizio del 2003 spedisce due studenti, uno di 23 anni e l’altro di 22, in Cina, e si dimentica di informarli l’uno dell’altro. Per vie traverse, vengo a sapere di Christian un paio di giorni prima della partenza. Lui fa lo stagista da nello studio legale italiano più famoso in Cina, che ha la sede a 5 minuti a piedi dal Jingguang. Ma ormai è tardi, abbiamo già entrambi prenotato il volo e la camera, e non ce la si fa a trovare un posto comune per stare. Mentre io sto nel mezzo del nulla all’hotel Dabei, Christian sta in un ostello per giapponesi nei pressi del Lufthansa Centre, molto più a nord.
I contatti sono difficili i primi giorni, e ci si sente per lo più via mail. Quando si passa al cellulare – Vaira gentilmente mi presta una tessera cinese extra che inserisco nel mio telefono italiano – siamo comunque troppo impegnati e stanchi per vederci spesso. Di tanto in tanto, però, si riesce a pranzare o cenare assieme.
Christian, nella memoria, è rimasto un po’ il ragazzo sfigato di Pechino. Non perché sia sfigato di suo, anzi è molto sveglio e in gamba. Ma gliene capitano di ogni. I suoi racconti dei compagni di camera sono fantastici, e il migliore rimane il giapponese che non parla inglese, arriva in camera e dorme. Poi si alza e se ne va. I due semplicemente non comunicano, né il giapponese sembra interessato a farlo, e l’unica sua apparente attività è quella di spargere forfora in ogni angolo della minuscola stanza.
Alla sfortuna della location, della compagnia, e del prezzo (decisamente alto), si aggiunge la sede di lavoro. Lo studio legale dove lavora Christian è famoso per essere totalmente privo di scrupoli, e sfruttare gli stagisti in modo turpe. Da noi in Camera di Commercio si lavora sodo, ma Christian tira le nove tutti i giorni, e spesso gli tocca anche andare in ufficio nei weekend a rivedere bilanci. Lo obbligano a portare la cravatta mentre i suoi capi vanno in giro con la camicia sbottonata. Spesso rimane solo, la sera, in ufficio, e una volta gli capita pure di ricever la visita di un ladro, un povero adolescente che una volta nello studio si rende conto che non ha idea di cosa rubare: i documenti non li capisce, e per lui non valgono nulla. Christian riesce a chiuderlo dentro un ufficio e a chiamare la sicurezza, che preleva il poverino e lo porta via, per non essere mai più visto.
In ogni ufficio credo circoli una leggenda sullo stagista più sfigato della storia. Quella della Camera di Commercio racconta di un bocconiano indisponente e inetto che per errore ha cancellato dei dati dal server ed è stato rispedito indietro che non era nemmeno a metà periodo, perdendo tutti i benefici della borsa di studio. La leggenda dello studio legale è peggiore: il loro bocconiano inetto era stato incaricato di “censire” le macchie sui muri e riportarle al management del Kerry Centre, in modo che venissero cancellate.
Dai racconti di Christian sembra che anche i suoi colleghi siano personaggi mica male, dal capo romano grasso e arrogante che non fa nulla da mattina a sera, alla contabile cinese isterica che insulta gli stagisti in inglese da un capo all’altro dell’ufficio. Ma la leggenda vivente è Stefano, il collega di Christian che gli fa da tutor e spesso lo segue quando i due escono dall’ufficio e raggiungono me e Massimiliano al ristorante o al mercato.
Quando lo conosco, Stefano mi pare un trentenne. Occhiali tondi, piazza che avanza, abiti da yuppie rampante e slogan da arrampicatore sociale. Più tardi scopro che ha la mia stessa età, solo che ha fatto lo stage l’anno prima di me, si è già laureato col massimo dei voti, ed è stato assunto dallo studio legale, dove lavora quasi tutto il suo tempo. Quando non lavora, studia per prendere la seconda laurea in giurisprudenza, imposta dallo studio a tutti gli assunti, e di tanto in tanto prende ferie per andare in Italia a dare esami. Genera frasi fatte a rotazione, tutte sulla falsariga di “No pain, no gain” e simili proclami da superuomo sopravvissuto. Massimiliano lo adora e non perde mai occasione di dargli corda, ridendo come un matto. Alla fine Stefano è un buono, adorabile in fondo nella sua innocenza, come quella volta che pontifica sulle donne e su come possono rovinare la carriera di un uomo, sulla sciocca dipendenza dai lombi e sull’indipendenza che dovrebbe avere l’uomo in carriera; e che, alzandosi da tavola, lascia cascare dalla tasca una manciata di preservativi e diventa rosso come un semaforo. Gli vogliamo tutti bene, e anche lui, come Christian, entra nel novero dei personaggi indimenticabili di Pechino.

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