2007-05-31

Disastro

Ritorno dal mio viaggio in Cina Occidentale, durato una decina abbondante di giorni, con uno strano presentimento di sciagura. Per qualche motivo, ancora mi frullano per la testa le bollette non arrivate e mai pagate. Speriamo che, in mia assenza, nulla di spiacevole sia accaduto in casa.

Ed eccomi davanti alla porta di casa, con il suo odore familiare, a tarda sera, con al seguito una valigia enorme e pesantissima di indumenti sporchi, uno strato di sudore innominabile che mi ricopre tutto il corpo, e una gran fame. Sulla porta c’è un foglio attaccato con lo scotch, scritto fitto in caratteri cinesi, con un numero di cellulare. L’ultima frase, abbondantemente rafforzata da numerosi punti esclamativi, è scritta in rosso, il colore del sangue e della mala sorte qui in Cina. Ancora il cattivo presentimento. Respiro ed apro la porta.

Vengo investito da un odore di marcio impossibile. Accendo la luce. O meglio, premo più volte l’interruttore, ma la luce non si accende. Buio completo, non brillano nemmeno le luci familiari della macchina dell’acqua e del frigorifero. Nel cassetto, cerco la torcia elettrica e l’accendo: sembra tutto in ordine. Accendo una candela ed ecco la casa illuminata in una luce fioca e sinistra. Lo sento, in questo posto così intimo c’è qualcosa che non va, e non capisco cosa sia. Coraggio.

Apro il frigo, e capisco da dove viene l’odore di marcio. E’ saltata la corrente, chissà quanti giorni fa, e tutto il suo contenuto, al bel caldo di settembre, ha cominciato ad andare a male. Il mio stomaco affamato brontola di frustrazione, mentre passo in rassegna gli alimenti perduti: latte, che significa niente colazione domani mattina; salame, pane, burro, succo di frutta, frutta, verdura, tutto da buttare, e dimentichiamoci anche la cena stasera; e soprattutto formaggio, due pezzi da un chilo di Grana Padano di quello buono, portati dall’Italia un paio di settimane prima, coperti da una spessa muffa blu che, una volta rimossa, lascia un bel pezzo di marmo buono appena per la grattugia! Noooo!

E’ tardi ormai per andare in qualsiasi ristorante o supermercato. Mi dovrò arrangiare a mangiare biscotti, per stasera. Amen, la prendo con fiosofia e vado in bagno, per darmi una lavata. Giro il rubinetto, non succede nulla. Tiro lo sciaquone: vuoto. Cazzo, questo è veramente grave. Le bollette non pagate mi tornano in mente e mi assale il dubbio che, in mia assenza, i pubblici servizi mi siano stati staccati... e quindi mi aspettano trafile impossibili e giorni di attesa prima di ottenerli.

Mi sento infinitamente triste e solo. Estraggo il cellulare: è finita la batteria, e senza corrente non posso nemmeno ricaricarla. Estraggo l’altro cellulare, mi rimangono solo pochi yuan di credito, buoni forse per un paio di telefonate. Ed ora è troppo tardi per comprare ricariche. Chiamo Irene, che abita vicino a me, per cercare aiuto, o almeno conforto, forse qualcosa da mangiare, magari l’utilizzo del bagno per darmi una lavata sommaria perché l’idea di andare a letto così mi uccide. Irene, come suo solito penso, non risponde. E’ in quel momento che mi chiama Dandan, per sincerarsi che sia arrivato sano e salvo a casa. Le racconto quel che è successo e lei va in panico, suggerendomi mille modi assolutamente impossibili di risolvere la situazione. Le dico che ho poca carica e che devo chiamare Irene quantomeno per capire cosa dice quel foglio con la formula di chiusura in rosso, che ancora mi inquieta, e che magari è la chiave di tutto il casino. Ecco, lo sapevo: scenata di gelosia di Dandan sul fatto che a tarda sera non le va che io veda un’altra ragazza. Intanto il cellulare, che riceve una telefonata da Chengdu, lentamente esaurisce il suo credito.

“Senti, Amore” le dico “scusa, ma questo non è proprio il momento!!!”

Anche questa ci voleva! E senza tanti preamboli chiudo la discussione e metto giù. Cerco le sigarette perché ho decisamente bisogno di calmarmi. Apro il pacchetto. E’ vuoto. Cazzo. Cazzo. Cazzo.

Scendo in strada e vado al 7 Eleven, benedizione per chi come me vive ad orari sbagliati. Guarda un po’, oggi hanno finito sia le sigarette che le ricariche del cellulare. Io non so se qualcuno mi abbia fatto una fattura o che, ma faccio fatica ad immaginare una situazione più sfigata di questa, in piena notte, stravolto, sporco, senza celluare, senza sigarette, senza elettricità né acqua in casa e senza una persona che sia in grado di dare una mano.

Poi Irene mi richiama. Per fortuna lei è comprensiva, e riesce a farmi ridere della mia situazione. Mi calma, mi fa ragionare un po’. Rimaniamo d’accordo che faccio un paio di tentativi ancora, poi le faccio sapere. Ritorno in casa. Con la torcia che sta morendo tra le mani, cerco il quadro elettrico e, con un po’ di smanettamenti, riattivo la corrente. Luce in casa, grazie al cielo: ora è il turno dell’acqua. So che c’è un rubinetto dell’acqua sul pianerottolo, vuoi vedere che quelli della società dell’acqua sono venuti e mi hanno chiuso quello? Controllo, è propro così. Giro la manopola, ed ecco l’acqua!

Sono al settimo cielo. Ricarico il cellulare di lavoro, che ha ancora credito, chiamo Irene e la ringrazio, dandole appuntamento al giorno successivo per la traduzione del foglio che, a questo punto sono quasi sicuro, contiene una maledizione di qualche mago taoista nero. Chiamo Dandan, le dico che non vedrò Irene stasera, lei si scusa per lo scarso supporto che mi ha offerto, facciamo pace e ci si dà la buonanotte.

Rovescio la valigia nel cestone della biancheria sporca, mi infilo in doccia, mi cambio, sgranocchio un po’ di merendine recuperate al 7 Eleven, e me ne vado a letto.

Il giorno dopo ricostruirò una parte degli eventi: Irene spiega che il foglio sulla mia porta è stato scritto dall’inquilino sotto di me, che lamenta macchie d’umidità enormi sul soffitto della cucina. Il tizio è salito, mi ha cercato per giorni non sapendo che ero fuori città, e quindi ha chiuso il mio rubinetto dell’acqua, e da allora le perdite si sono fermate. Faccio chiamare Wang Li da Dandan e ci diamo appuntamento a casa mia con il vicino. Il vicino, scopro, è un poliziotto, ma molto gentile: la sua richiesta semplice, non riattivare l’acqua finché non si scopre la perdita. Gli rispondo che gentilmente che la cosa non esiste, e comunque l'acqua l’ho riattivata il giorno prima e non mi risutano perdite. Wang Li si fa paciere: fa fare al poliziotto il giro dell’appartamento e gli indica con precisione tutte le tubature dell’acqua:

“Qui, come vede, niente perdite. Qui, nemmeno. Qui, neanche. Qui, vede perdite? No, perché non ce ne sono. Come facciamo a fermare delle perdite che non esistono?”. Lineare, e poi dicono che i cinesi non parlano mai chiaro. Wang Li, come sua abitudine, chiude il discorso con un bel "mei wenti!". Tutti amici come prima, il poliziotto si scusa e se ne va. Wang Li saluta e dice che se ho qualche altro problema ci parla lui con la polizia o con chicchessia. Rimango solo in casa, ma non sono tranquillo.

Sarà che anche se vivo in Cina da tanto, rimango comunque italiano, e nella logica della mia cultura tutti gli effetti hanno una causa. Da dove veniva la macchia d’umidità sul soffitto della cucina del vicino? E perché la corrente è saltata? E perché il parquet del salotto, nei pressi della cucina, è tutto deformato? Mei wenti il cazzo, vorrei dire, qua di wenti ne abbiamo uno bello grosso! Ma siccome nessuno sembra preoccuparsene, la psicologia di gruppo ancora una volta ha la meglo su di me e, per qualche settimana mi dimenticherò del problema. Poi finalmente scoprirò di cosa si trattava, con conseguenze a dir poco drammatiche.

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