Al mio ritorno a Pechino ricevo l’invito di Federico e Joe, i due strani tipi conosciuti al ristorante brasiliano, per partecipare a un circolo di poeti che si riunisce il mercoledì sera al Bookworm. Mi sembra bello che a Pechino i giovani siano così intellettualmente attivi, e non sentano tutte le sere il bisogno di ubriacarsi e portarsi in camera un partner per la notte, che è invece il leit motif della vita in molti altri luoghi della Cina e del Mondo.
Ed eccoci qui, al nuovo Bookworm, terza incarnazione del luogo che frequentavo le sere di primavera del 2003, io e Massimiliano a giocare a biliardo e bere caffé dalla moca fumante. E’ cambiato tanto, a cominciare dal soffitto trasparente, dal menù che è quintuplicato come offerta, dalla possibilità di comprare libri e pubblicazioni, e soprattutto per il fatto che ora è un luogo frequentato.
Il circolo dei poeti si riunisce nella sala in fondo, attorno a un circolo di poltrone e sedie, con gente di ogni colore ed età che beve té o caffé, fuma, commenta sottovoce e soprattutto ascolta chi sta al centro, e declama la sua composizione. Il frontman della serata è Bob, organizzatore, presentatore e introduttore. A ogni incontro dedica un tema, e ogni serata la apre leggendo un passaggio da un libro, con la sua voce musicale e ipnotica. Solo alla fine rivela il titolo e l’autore del libro, e dà il via alla lettura degli altri volontari. Lui, insieme a Joe, si occupa anche di mantenere il sito web del circolo, dove sono registrate tutte le poesie (http://subterraneanpoets.googlepages.com). Bob è americano, ma il suo cognome Marcacci la dice tutta sulla sua origine: insegna in una scuola elementare, e anche la sua ragazza è insegnante, lei italiana. Sono una bella coppia, entrambi sveglissimi, entrambi con un livello di cinese ottimo, eppure entrambi non interessati ad entrare nel mondo del business: sono contenti di coltivare la loro semplicità materiale e la loro libertà intellettuale. E per questo gadagnano il mio rispetto.
A parte Federico, che legge in italiano poesie di Rodari, e Joe, che declama lamenti romantici di pessimismo cosmico, ci sono tantissimi altri strani personaggi di cui faccio la conoscenza. C’è Amani, una ragazza di Chengdu che insieme al fidanzato Jeff vive nel palazzo di fronte al mio: lavora in radio, e per un motivo che lì per lì mi sfugge, legge poesie in siriano, che apparentemente legge con facilità. C’è Jack, capello e barba lunghi, che sembra uscito dalla perferia di una città degli Stati Uniti, e le sue poesie le rappa, urlandole, metà in slang yankee infarcito di “fuck” e “fuckin’” e metà in spagnolo infarcito di “puta de madre”. D’effetto. C’è un altro americano grande e grosso e sui quarant’anni che racconta storie, ed è anche bravo, se non fosse che sembrano tutte tratte da fumetti di supereroi. C’è una cinese tonda tonda che legge poesie per bambini in inglese, ma la sua pronuncia è talmente atroce che nessuno riesce a seguirla, e a fine lettura tutti battono le mani con le stesse facce perplesse. C’è Ben, biondissimo ragazzo del Minnesota, che legge in inglese e si fa tradurre in mandarino da Sheila, la sua ragazza, modella diciannovenne perdutamente innamorata di lui. C’è Cindy, l’immagine dell’intellettuale, alta magrissima e con i capelli stralunghi: ha un sito chiamato Literocracy e traduce in inglese poeti contemporanei cinesi. E poi c’è Deep Sleep, il poeta maledetto di questa generazione di cinesi.
La prima volta che si presenta è vestito alternativo, pantaloni militari, t-shirt, capelli legati con una coda corta, un po’ timido. Joe lo presenta come una grande promessa che ha alle spalle già molte opere. Timidamente Deep Sleep, che non parla mezza parola di inglese, estrae dallo zaino un mattone impossibile di poesie scritte da lui, e comincia a declamare, con una voce da tenore. La poesia inizia con una serie di domande retoriche:
“我们是谁?我们去哪里?我们从哪里来?”
Chi siamo noi? Dove andiamo? Da dove veniamo?
Mentre Joe traduce in sottofondo, mi accorgo che in effetti la poesia è una serie infinita di domande retoriche senza risposta. Interessante, la gente batte le mani. E’ così che la volta successiva Deep Sleep ricompare: scarpe di pelle nera, pantaloni attillati, una maglia lunga che fa tanto abito da palcoscenico, capelli perfettamente stirati e pettinati. Anche l’atteggiamento è cambiato, tratta tutti come un grande artista, ogni parola che dice sembra sia un incoraggiamento alla poesia da parte di uno che ormai ha segnato il suo nome nella storia. Serata dopo serata, le sue poesie sono tutte uguali, tutte inziano con il tormentone 我们是谁?e sono solo costituite da sole domande senza risposta. Io e Federico ci guardiamo, chiedendoci se siamo noi gli sciocchi che non capiscono l’arte di Deep Sleep, oppure se tutti gli altri applaudano per gentilezza o paura di brutte figure, e se in effetti il nome Deep Sleep non sia il più appropriato al nostro augusto poeta.
Un po’ per curiosità, un po’ per divertimento puro, mi trovo a frequentare spesso i poeti del mercoledì sera, ed è così che faccio la conoscenza di moltissimi nuovi amici, strambi personaggi capitati nella Pechino di inizio millennio.
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