In Cina, e soprattutto nella sua capitale, il Partito è ben deciso a combattere la disoccupazione, causa attiva di disagio sociale ed economico, ed è per questo che da sempre promuove il lavoro per tutti. Se il lavoro nobilita l’uomo, sia esso coltivare la terra o sudare in una fabbrica, una forte suspension of disbelief è stata necessaria da quando la sinistra maoista ha ceduto il posto al capitalismo di Deng Xiaoping.
Una volta certi lavori erano vietati, perché degradanti: nell’ottica maoista, ciascun cittadino doveva essere autonomo e indipendente nell’attendere ai propri bisogni. Niente facchini, niente domestici, niente servitori in generale: se qualcuno poteva fare da sé, doveva farlo in nome dell’eguaglianza.
Dal 1978 le cose sono cambiate: sono ricomparse le aiyi, i risciò, i facchini, e questo ha permesso di chiudere le danwei (单位) che da sempre operavano in perdita e trovare ai loro dipendenti nuove occupazioni. Molte di esse, tuttavia, non appaiono particolarmente utili o efficienti.
Cominciamo dai portieri: ragazzi in divisa che stanno sull’attenti alle porte di ogni palazzo di un certo livello, e in particolare negli hotel, nei ristoranti, negi uffici, nei mall, nei negozi e nei compounds residenziali. Tipicamente ragazzi giovani dalle campagne alla prima esperienza di lavoro. Sempre distratti, a tarda ora li trovi quasi sempre addormentati sulla poltrona per gli ospiti, ma se sono svegli non provate ad aprire la porta da soli: ci rimarrebbero malissimo.
Poi ci sono le ascensoriste, di solito ragazze anch’esse appena arrivate dalla campagna, ma a volte anche donne sui trent’anni. Chiuse in una scatola di metallo per dodici ore al giorno, sedute su uno sgabellino di legno altro trenta centimetri, tentano di combattere la noia con un libro, una rivista, un lettore mp3. Anche loro, dalla decima ora in poi di turno, le si trova addormentate in posizioni improbabili e scomodissime.
Gli spazzini: in Cina non ci sono i cestini dell’immondizia, tutti buttano i loro scarti per terra, ed ecco un esercito di contadini, anche di una certa età, con giubbotto arancio fluorescente, scopa, spatola e cappello di paglia, che raccolgono carte, cicche, bottiglie di plastica, anche loro con turni fino a 18 ore.
Gli spazzaneve: orde di omini armati di scope di saggina che rimuovono i fiocchi ghiacciati e levigano il ghiaccio sul marciapiede, rendendolo mortale.
I pulisci-strade: armate di poveracci con giubbotto fluorescente che, al centro di una strada a dodici corsie, con mezzi che sfrecciano in traiettorie imprevedibili, lavano il guardrail con secchio e spugna.
Ma qualunque cosa si veda, non si è mai preparati al peggio. Ogni giorno in questo posto stupisce: ed è così che una mattina, camminando per il Terzo Anello, vedo al SOHO Jianwai delle signore di mezza età in tuta da manutentrici, con secchio, sapone e spugna, sedute sotto un albero. Cosa fanno? E’ difficile crederlo, senza averlo visto. Sotto l’albero il management del mall ha collocato delle belle pietre bianche, in un’aiuola quadrata di un metro di lato. Belle pietre bianche che, a causa dell’inquinamento e della polvere, si sono ingrigite. Ed ecco allora il compito delle signore: lavare i sassi uno per uno con acqua e sapone. Guardando meglio, mi accorgo peraltro che i sassi sono comunissime pietre grigie pitturate a vernice, il che mi fa sospettare che qualcuno sia pagato per verniciarle una per una col pennello.
Non ci si abitua, mai. La maggior parte dei giorni si riesce a mantenere un certo distacco che permette di ironizzare sulla cosa. Ma poi ti capita di prendere l’ascensore in una casa di periferia, e trovarci una ragazzina di quindici anni, imprigionata per tutto il tempo in cui non dorme in una gabbia senza finestre che va su e giù senza posa. E accorgerti che assomiglia in maniera inquietante alla tua ragazza, quando era bambina. Allora non riesci a mantenere un distacco, quell’ascensorista non è più una dei milioni e milioni di cinesi che fanno lavori inutili; ti trovi davanti un altro essere umano come la ragazza con cui stai, come te. E senti il peso della sua vita come un macigno. E ti chiedi se, tutto sommato, queste persone non sarebbe meglio impiegarle altrove, in altro modo, o non impiegarle affatto, per evitare di ledere la loro umanità. Nella Repubblica Popolare Cinese succede anche questo, trent’anni dopo la morte di Mao Zedong.
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