Ad agosto uno dei miei colleghi cinesi aveva buttato lì l’idea di fare un viaggio in Xinjiang. Ovviamente mi ero segnato la cosa e, a settembre, gliela ricordo. Da un paio di discorsi capisco che il collega ha cambiato idea, che secondo lui questo viaggio è veramente inutile. Invece, guarda un po’, secondo me il potenziale del salame nella regione musulmana della Cina è enorme, e con varie proposte, promesse e velate minacce riesco ad ottenere la partenza anche con la benedizione dei capi italiani, che una serie di report contenenti esclusivamente informazioni filtrate hanno convinto che solo invadendo i mercati inesplorati e controllandoli completamente potremo competere nel futuro della Cina.
E allora, una volta ottenuto il dito, mi prendo la mano. Il viaggio da Pechino al Xinjiang dura circa 4 ore di aereo. Il viaggio è costoso e, finché siam lì, sfruttiamo l’occasione e facciamo una tappa a Xi’an, che è di strada. Sì, Xi’an non è proprio di strada, mi fa notare il buon collega cinese che la geografia la conosce. Che vuoi che sia, mi inalbero, una deviazione di un po' più di mille chilometri, su un viaggio così? Approvato anche il detour, bene. Ora è il momento di prendersi il braccio: già che siamo a Xi’an, che ci vuole a fare un salto a Chengdu? E’ un’altra deviazione di un altro migliaio di chilometri, peraltro nella direzione opposta. Quisquilie, quisquilie, noi italiani non ci facciamo spaventare dalle distanze, dico ai cinesi, noi ci si da’ da fare. D’altra parte i cinesi stragiurano che ci sono opportunità di business grandiose, spiego agli italiani, quindi sarebbe una mancanza di fiducia rifiutarsi di andare.
E così, a fine settembre, mi ritrovo per qualche giorno, casualmente con weekend annesso, a Chengdu tra le braccia della mia bella Dandan. Oramai sono quattro mesi che ci frequentiamo: questa è la mia terza volta a Chengdu, e lei mi ha visitato sia a Shanghai che a Pechino. Il nostro rapporto matura, e quindi lei ha deciso che, se veramente ci tengo a farla venire un giorno a vivere a Pechino, sarebbe il caso quanto meno di far vedere ai suoi che faccia ho. E ha già fissato una cena in famiglia.
Sì, esattamente come state pensando. Una cena di presentazione ufficiale in famiglia è sempre una situazione stressante, specie se la famiglia non parla la tua stessa lingua, né una che mastichi con facilità. Mi preparo cercando di prevedere ogni situazione e minimizzare lo shock culturale reciproco. Me li immagino, i genitori di Dandan, classici genitori cinesi post-politica del figlio unico ovvero iperprotettivi, impiegati dell’amministrazione pubblica, di sinistra fedeli alla linea del PCC, che si vedono la figlia portare a casa un laowai e parlare di trasferirsi nella capitale a due ore e mezzo di aereo. Il che non è neanche il peggio, se consideriamo che la sera precedente, così a cena, Dandan ha deciso di comunicare ai suoi che non è più vergine, senza però specificare che non lo è più da molti anni prima di conoscermi. Per qualche motivo, io continuo a pensare al fatto che il padre di lei è stato campione del tiro a segno con fucile quand’era giovane e le sue vittorie gli sono valse una buona carica dirigenziale all’Assessorato per le Attività Sportive. Glom.
Capisco che è vero amore quando, invece di scappare all’aeroprto e prendere il primo volo verso casa, mi presento all’appuntamento. Dandan mi accompagna a casa dei suoi tenendomi la mano per tutto il tempo. Io sorrido e cerco di ostentare tranquillità, ma tremo come una foglia. Nell’ascensore siamo soli, vorrei darle un ultimo bacio prima di varcare quella porta, ma la telecamera mi mette a disagio. Le porte dell’ascensore si aprono su un pianerottolo tipico, col pavimento di cemento, vasi di fiori e biciclette ovunque, e una finestra minuscola a illuminare. E’ Dandan che mi bacia. “Andiamo”, e bussa alla porta di casa.
Quel che segue è una rappresentazione teatrale. I genitori mi accolgono vestiti a puntino non fosse per delle ciabatte rosa inguardabili. Tra mille sorrisi, ne danno due paia anche a me e Dandan. Sono gentilissimi. Da parte mia, sono gentilissimo. Non capisco nulla di quel che dicono, perché la madre mescola parole in dialetto ad altre in mandarino, e il padre ha l’accento del Sud, così Dandan traduce, opportunamente filtrando tutto in modo accettabile per entrambe le parti. E’ una commedia, loro si comportano come l’immagine dell’ospitalità, io mi comporto come l’immagine del ragazzo buono, umile e affidabile. Loro mi offrono continue cose da mangiare o da bere, io accetto tutto e faccio apprezzamenti stupiti sul té, sulla cucina della madre, sulla bellezza della loro casa – 好吃!好看!漂亮!真的,真的! E’ come stare a teatro, non mi sono mai trovato in una situazione dove la spontaneità fosse così assolutamente bandita. La tensione mi cala quando mi rendo conto che i genitori sono più tesi di me. Allora grazie al cielo mi riprendo, e mi fanno quasi tenerezza. Niente fucili in casa, niente jiaozi avvelenati, ma piuttosto una grande preoccupazione per il futuro della figlia, su cui comunque non vogliono forzare in alcun modo i loro preconcetti. Per certi versi li ammiro per la loro apertura mentale.
Cerco di intavolare discorsi vari, cui rispondono con gentilissimi monosillabi. Sono troppo emozionati. A cena finita, ci sediamo sul divano a mangiare frutta e bere té. Mi viene in mente che il padre di Dandan ha fatto un viaggio all’estero, in Russia ed Europa Orientale, anni prima, quindi quale migliore occasione di discorrere se non parlando della sua esperienza in un Paese straniero? Detto fatto, il signor Cheng produce un bel libro dalle pagine in bianco su cui, in ogni pagina, ha incollato una foto aggiungendo poi una didascalia scritta a computer, stampata, ritagliata e incollata anch’essa senza la minima sbavatura. Ha poi aggiunto ove occorreva varie linee e sottolineature esplicative o altro materiale come biglietti di musei o volantini sportivi. Un lavoro da certosino o, come direbbero appropriatamente gli spagnoli, un trabajo de chino. Il libro è un resoconto detagliatissimo del suo viaggio di lavoro in Russia, Ungheria e Cecoslovacchia, al seguito di una delegazione sportiva cinese. Praticamente tutte le foto sono identiche, e ritraggono il sig. Cheng in primo piano con un monumento, uno stadio, una casa o un paesaggio alle spalle. Lui spiega e Dandan traduce per quel buon quarto d’ora. Com’è ovvio mi dimostro interessatissimo alle sue storie di incontri di delegazioni e “quanto erano gentili gli ungheresi”. Il sig. Cheng è laureato in Storia, e anche se è stato il cecchino migliore del Sichuan non gli son mai piaciuti i fucili, e anche se ora è vicedirettore dell’Assessorato per le Attività Sportive né il lavoro d’ufficio, né gli incontri ufficiali gli interessano: la sua passione sono i libri, e quelli che non legge li crea. Ha una biblioteca intera di libri rilegati da lui con testo e figure incollate nella miglior tradizione artigianale cinese, su argomenti che per lo più sono storici. Quando lo scopro mi diventa improvvisamente simpatico. Sia lui che sua moglie sono persone modestissime, con una bella casa, un buon lavoro, una splendida figlia che li rispetta ma, al contrario della maggior parte dei cinesi che ho conosciuto finora, non gli interessa lavorare tanto, non gli interessa essere ricchi, non gli interessa essere influenti. Due cose contano, per loro: la famiglia e la dignità. Tanto di cappello, e grazie per aver cresciuto una figlia con questi valori.
Chiedo di vedere delle foto di Dandan da piccola, mossa diplomaticissima e ottima occasione per conoscerli meglio. Il mio amore è carinissima come tutti i bambini cinesi, con la testa tonda, occhi sottili, naso minuscolo e bocca a cui viene delegata tutta l’espressione facciale. Dalla storia dietro ciascuna foto ricostruisco una parte delle vicende della famiglia, che si snodano tra Chengdu, Pechino, lo Yunnan e il Xinjiang. Ci attardiamo ad ascoltare queste storie e finalmente anche i genitori si rilassano, compiaciuti del mio interesse.
Quando ci salutiamo, e consegno le mie ciabatte rosa per rimettermi le scarpe, è ancora una profusione di sorrisi, ringraziamenti e formule di cortesia. Poi la porta di casa si chiude, e sono ancora con Dandan, sul pianerottolo ingombro di vasi di fiori e biciclette, con lei che mi stringe la mano, e mi bacia ancora.
“Sei stato perfetto, bravissimo” mi sussurra.
Tiro un sospiro di sollievo. Esame passato. E ora che ho conosciuto la tua famiglia, mi sa tanto che non si torna più indietro facilmente. Ma in fondo non ho mai avuto il dubbio di doverlo fare.
Torniamo insieme al mio albergo, ancora mano nella mano, le strade alberate di Chengdu che scorrono e dappertutto odore di pepe verde. Sono felice, penso, che la mia ragazza abbia una famiglia così.
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