2007-05-25

Chaoyang Pop Festival 2006

Pechino è una città rock o meglio, yaogun (摇滚), come dicono qui, intendendo qualunque musica alternativa, che spazia dall’indie al metal al punk al hard rock. Naturalmente si tengono concerti continuamente, anche se la scena locale, pur essendo di gran lunga la migliore della Cina, non offre molto più che una ventina di band locali più qualche gruppo waidi in tour, per lo più dallo Xinjiang e dallo Yunnan, dove le minoranze etniche hanno la musica nel sangue molto più degli han. Per qualche ragione, forse la presenza di un’università per stranieri, o forse il cibo piccante, anche Chengdu roccheggia mica male. Il Sud della Cina lasciatelo perdere. Ma torniamo a Pechino.

A metà settembre si tiene il Chaoyang Pop Festival, il festival musicale ufficiale del governo, ovvero quello meglio organizzato, con gli artisti stranieri più famosi, con la sicurezza migliore, e con la location più comoda. Non tutti i festival sono organizzati dal governo, e vi garantisco che quelli indipendenti sono molto diversi, ma ne parleremo in un post diverso. Non è ben chiaro il perché sia stato chiamato “Pop” Festival, visto che c’è solo yaogun. Ma pazienza, questa è la Cina, e uno impara a non farsi troppe domande.

Decido ovviamente di andare a vedere il concerto, non solo perché sarebbe il mio primo festival in Cina, ma anche il primo in assoluto. Contatto quindi il buon Federico e, a bordo del suo scooter rosso fiammante che di lì a poche settimane tirerà le cuoia, sfrecciamo sulla Gongti Bei Lu in direzione del Parco Chaoyang.

Ora, i festival musicali organizzati dal governo cinese hanno parecchie caratteristiche che li differenziano, nel bene e nel male, dai festival che noi conosciamo nei paesi occidentali. Cominciamo con le caratteristiche buone:

1) Il festival si tiene in un parco esageratamente grande, verde e pulito che non sta mai a più di 20 minuti da casa tua.

2) Anche se arrivi il giorno stesso, a festival iniziato, trovi tranquillamente i biglietti per entrare e li acquisti all’entrata al prezzo originale, senza nemmeno il sovrapprezzo della pre-vendita o la percentuale da usurai dei bagarini. E raramente paghi più di 200 kuai per il multientrata.

3) C’è tanta gente, ma siccome gli spazi sono grandi, non c’è ressa e ci si muove tranquillamente senza dover lottare per dieci centimetri di spazio. Anche a festival iniziato si può trovare spazio per il telo e sedersi tranquillamente in dieci. E soprattutto, non c’è una fila di quaranta minuti per i cessi, che peraltro non sono nemmeno esageratamente zozzi.

4) La sicurezza è efficientissima ed è impossibile che qualcuno si faccia male. Siccome la gente già sa che è controllata, gli è permesso portare al concerto lattine di birra, bocce di vino, e coltelli per la frutta, che tanto non c’è pericolo.

Ci sono però anche lati negativi:

1) Per garantire la sicurezza, il governo ha stanziato poliziotti in un rapporto di venti a uno rispetto ai partecipanti. Il che significa che per diecimila partecipanti ci sono almeno 500 poliziotti. Ciascuno ha una sedia pieghevole e si diede beatamente sul prato, in fila con gli altri a dividere lo spazio in grandi quadrati, di cui metà sono dedicati allo stravacco del pubblico, e metà al passaggio. Per tutto il tempo, i poliziotti stanno seduti serissimi, perché evidentemente gli è stato proibito di divertirsi. Il che è noioso.

2) Davanti al palco non c’è uno spazio libero, ma una platea di sedie per gli ospiti VIP, ovvero media, case discografiche organizzatori, figli di gente importante o loro amici. Cosa che in un concerto di musica alternativa fa abbastanza ridere.

3) Non si fumano canne. Non si poga.


Non si può avere tutto nella vita, evidentemente, ma per ascoltare un po’ di buona musica e rilassarsi sul prato a un prezzo politico non c’è proprio da lamentarsi. Nel parco io e Federico troviamo parecchie facce conosciute, e io abbandono quasi subito il gruppo degli italiani e mi unisco a Jingyi, arrivata lì con un’amica, collega e vicina di casa, Kelly. Le due sono ovviamente combinate da raver e si divertono a giocolare con delle palline da tennis e nasti di seta legati a delle corde, seguendo il ritmo della musica, con aria di sfida alla polizia. Altrove, giovani cinesi e stranieri bivaccano tranquillamente e si scorgono anche parecchie famiglie espatriate con bambini che, ascoltando rock, rincorrono bolle di sapone. Butto la mia borsa verde con l’immagine di Mao sul telone delle due ed estraggo birre e panini. Presto a noi si unisce Simon, un tizio di Manchester che vive qui da una decina d’anni e parla un cinese sorprendente. Ha conosciuto Kelly dieci anni fa a Shenyang, e da allora, tra alti e bassi, sono stati assieme, per quanto lui abbia girato mezza Cina facendo il PR per aziende internazionali. Più tardi arrivano un paio di amici norvegesi di Simon e così, dopo l’ultima performance, che è quella dei Placebo (che per la cronaca dal vivo fanno pietà anche ai cinesi, e ho detto tutto), ci si sposta tutti altrove. Dove? Al Tango.

L’idea era di andare al Tango, una discoteca che sta vicino al Tempio dei Lama. Poi però compaiono una decina di altri norvegesi, amici dei primi, e per qualche motivo si finisce al Mango, che sta sopra al Tango ed è un locale lounge in stile indonesiano. I norvegesi, misti a delle ragazze svedesi, ordinano senza indugi champagne e offrono generosamente. Qualcuno lavora per la Ericsson, quacun’altro per un’altra multinazionale scandinava, e c’è persino un norvegese dai capelli e gli occhi neri che è qui per creare una joint venture per una catena di pizzerie sino-norvegese. Ma dai. Comunque lui è simpatico, si chiacchiera animatamente io, lui e Simon e, com’è come non è, alle due del mattino mi trovo a cantare “House of the Rising Sun” in una sala karaoke del Mango, ubriaco come uno schifo, insieme a Jingyi, Kelly, Simon, otto norvegesi, due svedesi e una coppia di cinquatenni arrivata sul tardi, di cui non ho mai chiesto la nazionalità ma certamente qualche paese dell’America Latina. Si finisce sempre così, badate, se si esce la sera con degli scandinavi.

Il secondo giorno di festival arriviamo tutti tardi. Qualcuno non arriva nemmeno. E’ una giornata più tranquilla della precedente, e all’improvviso, come sempre accade quando li incontro, mi trovo davanti Alberto e Yao, che non vedevo da un sacco di tempo. E c’è anche loro figlio, Giovanni, che sta imparando a parlare ed è alle prese con i conflitti logici tra italiano e cinese, confondendo “” e “dui ()”. In compenso viene coccolato abbondantemente da tutti. Si prende il sole, ci si racconta quello che è successo in tutto questo tempo, si sorseggia birra e si sgranocchiano biscotti al cioccolato.

Cala la sera, Jingyi tira fuori una boccia di vino Greatwall quasi decente, che finisce presto. Comincia l’ultima performance del secondo giorno, quella di chiusura. Un tizio sui quarant’anni, abiti stretti di cuoio nero e lunghi capelli biondi, sale sul palco, urla, si arrampica sulle transenne tra lo schitarrare distorto dei musicisti. Sebastian Bach, ex frontman degli Skid Row, un dinosauro venuto dall’era dell’hard rock anni ’80. Manda il pubblico, cinese e occidentale, in visibilio; mette in piedi uno show memorabile che conquisterà e copertine di tutti i giornali per giovani per il mese seguente; non stecca una volta, anzi stupisce la sua preparazione tecnica. Ma dove lo vedi un concerto di Sebastian Bach, nel 2006, in una situazione così? A un certo punto si presenta sul palco persino con un abito in seta gialla da imperatore Qing.

Yàogùn!!!” urla al pubblico. Silenzio.

Yào... gûn?” Sebastian Bach tenta timidamente un terzo tono. Ancora silenzio. Qualcuno, dalla platea, suggerisce:

Yáogûn!”

Sebastian Bach annuisce, si scosta i lunghi capelli biondi, avvicina il microfono alla bocca:

YAOGUN!!!”

Questa volta lo dice giusto. Pubblico in delirio. Migliaia mani a fare le corna del rock in aria. Ma guarda un po’, anche Sebastian Bach vittima dei toni. Ma che paese.

E’ domenica sera. Giovanni ha fame, e i suoi genitori lo portano a mangiare. Io e le due matte rimaniamo fino alla fine: poi, con calma, si segue la folla verso l’uscita, e si prende un taxi in comune per tornare ciascuno a casa sua. Domani si lavora. Sono stanco, ma felice di questo weekend all’insegna del rock. Davvero non male, questo Chaoyang Pop Festival.

1 commento:

Anonimo ha detto...

il punto tre dellla parte negativa veramente sucks...

io ci ho visto così roger waters, solo che in aggiunta niente birra.... ho visto dark side of the moon in un modo tutto nuovo.... come dire....
sucava un po....