2007-05-05

Ritorno in patria

Pechino – Parigi, dieci ore di volo senza mai vedere il sole tramontare. Volo Air France, passeggeri cinesi rumorosi e incivili, hostess francesi stronze e indisponenti, la peggiore combinazione. Almeno si mangia bene, gliene devo dare atto, e colgo l’occasione per distruggermi di vino di Linguadoca, syrah a pranzo e sauvignon blanc a cena, che è un secondo pranzo dato il fuso. A Parigi arriviamo in ritardo, e ho un quarto d’ora prima dell’inizio dell’imbarco sul volo Parigi – Milano, in un terminale dall’altra parte del Charles De Gaulle. Prima che l’aereo sia fermo, i cinesi sono tutti in piedi e davanti a me. Prima della fila, una francese che gode da morire nell’andare piano e rallentare tutti. Mi trattengo perché sono in suolo straniero, ma la voglia di far partire una fila di insulti in italiano è forte. Corro, corro, corro. Arrivo in ritardo ma comunque l’imbarco non è ancora iniziato. Turisti italiani e spagnoli ovunque, perché imbarcano anche il volo Parigi – Barcellona dallo stesso gate. Folla di sud-europei al ritorno dalle vacanze con bambini al seguito. Fine agosto. A Malpensa i bagagli arrivano con venti minuti di ritardo, in assenza di qualunque inserviente che fornisca informazioni.

Arrivo in patria distrutto, con un jet lag di 6 ore e un’odissea alle spalle. I miei genitori sono venuti a prendermi all’aeroporto; siccome ci tenevano sono arrivati con un anticipo esagerato, che combinato con i vari ritardi del volo fa sì che abbiano speso uno stipendio in parcheggio, Mio padre, dopo avermi abbracciato, mi mette fretta: “Sono 80 centesimi al quarto d’ora”. E mi ricordo che la vita qui costa di più. Mia madre ha le lacrime agli occhi, e nonostante sia alta la metà di me e malata d’artrite, mi prende la valigia e vorrebbe anche portarmela.

E’ agosto, ci sono venticinque gradi e ventilato, cielo blu, verde ovunque, pulito, e strade semivuote. Sono le sei e mezza e il sole è ancora luminoso. L’aria è pulita. Mi guardo attorno come se non vedessi l’Italia da anni, e in effetti non passo un’estate qui da due anni. Avevo dimenticato quanto si stesse bene.

Casa è bella, accogliente. Piccola, però. A Pechino ho una casa grande quasi quanto questa, e ci vivo solo. Un bagno per me, solo per me. E niente persone che vivono a ritmi diversi dai miei; niente vicini, se è per questo, quindi casino a volontà a qualunque ora. D’altra parte, niente muratori che trapanano alle sette di domenica mattina. E le lenzuola l’aiyi non me le stira come le stira mamma.

Sono davanti al rubinetto. Lo apro. Bevo. Bevo ancora. E’ un sogno. Nel frigo di sono salumi e formaggi freschi. Frutta che sa di frutta. Nell’armadietto ci sono biscotti, merendine umane e pane fresco. Il latte, il latte non sa di chimico; è un sogno.

Si sta talmente bene che decido di smettere di fumare, almeno finché sono qui. So che non resisterò a lungo, ma finché dura questa sensazione me la voglio godere.

1 commento:

Anonimo ha detto...

eh, a chi lo dici, io quando torno mi sento rinascere. soprattutto è vera la storia delle strade vuote....
e cacchio, bere mentre fai la doccia? io è una della cose che faccio per prime a casa!!
solo che poi ti piglia di nuovo l'incazatura di quando non ce la facevi più dei tuoi connazionali...e shanghai come pechino diventa un posto dove tornare..

"al grande fratello stasera...ZAP, rientriamo nella casa di cogne (vespa)..ZAP...siiii, tutto bene tutti felici..ZAP..Fassino, siamo qui in due di sinistra, quando fondiamo un terzo partito? (Vergassola...sic, che vero...)"