Chiunque viva in Cina conosce a memoria le varie cantilene che assalgono i laowai per le strade.
I venditori di roba falsa:
“Halo ssir!?! Watcha, begas’, looka looka, special price for you! Halo friend?!? OK?!?!?”
I venditori di DVD:
“Halo ssir?!? CD, VCD, DVD! SSex DVD! OK?!?”
I papponi e le ruffiane:
“Halo ssir?!? Lady bah? Lady club? Masaji? Ssex! Have a looka! OK?!?”
I tassisti irregolari:
“Halo ssir?!? Tekasi? Let’sa go, OK?!?”
I venditori di fapiao (fatture) false:
“Fapiao, fapiao, fapiao!!! Yao fapiao maaa?!?”
I mendicanti:
“Halo-xiexie-mani-mani-xiexie-halooo… ”
Chi vive a Pechino ne conosce una di più. L’inglese non è così maccheronico, la voce è profonda come una caverna, affascinante e suadente, e fa più o meno così:
“What’s up, maaan? Hey, how are you? Where are are you going? Hey, come here a minute, just wanna say hi to you… hey… do you want some shit?”
Non si tratta di cinesi, ma di africani. Nigeriani, Liberiani, Sudafricani, Ghanesi, Senegalesi… tutti con un’andatura ciondolante e lo sguardo sornione, con la mano aperta per dare il cinque e aggrapparsi al potenziale cliente. Spacciano: principalmente hashish e pasticche, altri articoli speciali disponibili su richiesta. Nel 2003, quando stavo al Poachers, li conoscevo tutti: erano cinque o sei, e gravitavano attorno alla discoteca che era il loro centro di business. Quando torno nel 2005 ne trovo trenta, quaranta, tutti uguali, tutti con la loro cantilena identica, e la loro zona di lavoro ora comprende le strade laterali della Jiuba Jie e un bel pezzo della Gongti Bei Lu. Ne deduco che il giro d’affari è cresciuto.
Come fanno trenta heiren, trenta neri, a spacciare nel centro di Pechino senza avere problemi da chicchessia è un interrogativo interessante, e cerco di informarmi. La prima cosa che noto è che non escono mai dalla loro zona di lavoro: trovarli sulla Jiuba Jie, per esempio, è impossibile, non ci mettono piede. Il Poachers rimane un centro nevralgico della loro attività, ma sulla stressa stradina sono sorti molti piccoli bar gestiti da cinesi, con prezzi ridicolmente bassi, dove gli spacciatori passano gran parte del loro tempo a bere alcolici falsi e ad abbracciare ragazze d’ogni razza e colore ben contente di girar con loro; e il più emblematico di questi baretti, dotato di una tavola calda, porta il nome di “Brother Pizza”. Dentro, a parte il gestore, sua moglie e un paio di ragazze cinesi vestite con tute colorate di tre taglie troppo grandi, tutti neri. Un altro covo preferito è il Bus Bar, due autobus attaccati e ricoperti da loghi della Heineken, parcheggiati nella stazione di fronte allo Yugong Yishan. La seconda cosa che noto è che non propongono mai le loro merci ai cinesi, ma lavorano esclusivamente con gli stranieri. E sono tipicamente gentili, invadenti all’inizio, ma non insistono troppo. Le loro attività sono controllate, evidentemente. Sento però diverse storie sul fatto che la sera tardi capita che si ubriachino e se qualcuno li provoca finisca in rissa; e pare che qualcuno non paghi nemmeno i tassisti che, per paura, li scarrozzano di qua e di là ma evitano ogni discussione con questi giganti dalla pelle nera. Pochi li apprezzano, la maggior parte dei cinesi ne è terrorizzata, molti li vedrebbero volentieri buttati fuori dalla Cina, tanto per esser sicuri che non si facciano vivi ancora.
E allora come fanno a rimanere lì, in bella mostra davanti alle macchine della polizia? La risposta che ricostruisco tramite varie conversazioni è la seguente: la Cina da diversi anni ha avviato una politica estera mirata a farsi amici tanti Paesi, e gli unici disposti ad essere amici della Cina sono tanti staterelli tirannici e poveri dell’Africa centrale, che ricevono da Pechino finanziamenti e armi in cambio dell’utilizzo di risorse naturali da parte di aziende statali cinesi. Andate per esempio nella zona della ambasciate in Sanlitun e vedrete che l’ambasciata del Sudan è grossa tre volte quella italiana, che le sta di fronte. Ora, queste ambasciate mantengono gran numero di persone, e tra queste mandano certi figli di papà che sanno l’inglese e il francese e stanno male in Africa; non sapendo o non avendo voglia di lavorare, costoro si riversano nelle strade e grazie ai loro canali preferenziali nell’ambasciata importano e vendono sostanze stupefacenti senza che la polizia abbia la possibilità di mettere le mani sul loro passaporto diplomatico. Quei poliziotti che ci provano si trovano in tasca grosse somme di denaro, abbastanza da raddoppiare il loro misero stipendio, e quindi, pur di malavoglia, accettano la situazione e fanno finta di non vedere gli ospiti africani, che sono liberi di prosperare a patto di non esagerare nelle loro attività: lontano dagli onesti cittadini cinesi e lontano dai turisti stranieri, che la loro vergogna rimanga isolata nella comunità espatriata e i cinesi che le gravitano attorno.
Questa situazione non può durare. Questi figli di ricconi africani che si atteggiano a ghetto boys, che ricalcano perfettamente gli stereotipi dei neri d'America, facendo una pessima figura davanti a cinesi e stranieri; e che spacciano indisturbati, con l'aria dei re del quartiere che non tollerano impedimenti. Prima o poi, mi dico, qualcuno sgarrerà, la farà grossa e allora le autorità reagiranno: do loro tempo fino alle Olimpiadi del 2008, quando la Pechino “perfetta” sarà presentata al Mondo. E allora insieme ai mendicanti e ai papponi anche gli spacciatori neri scompariranno. La loro presenza non si addice proprio alla Pechino “perfetta” da presentare al mondo. Grazie al cielo non viviamo in un regime di democrazia.
La storia mi darà ragione. Nell’autunno del 2006, improvvisamente una buona metà degli spacciatori scompare nel nulla. Quelli rimasti pare si nascondano, sono cento volte più cauti, più attenti alle loro mosse, meno arroganti nei loro “What’s up maan”. I tempi sono maturi. Brother Pizza, bye bye…
I venditori di roba falsa:
“Halo ssir!?! Watcha, begas’, looka looka, special price for you! Halo friend?!? OK?!?!?”
I venditori di DVD:
“Halo ssir?!? CD, VCD, DVD! SSex DVD! OK?!?”
I papponi e le ruffiane:
“Halo ssir?!? Lady bah? Lady club? Masaji? Ssex! Have a looka! OK?!?”
I tassisti irregolari:
“Halo ssir?!? Tekasi? Let’sa go, OK?!?”
I venditori di fapiao (fatture) false:
“Fapiao, fapiao, fapiao!!! Yao fapiao maaa?!?”
I mendicanti:
“Halo-xiexie-mani-mani-xiexie-halooo… ”
Chi vive a Pechino ne conosce una di più. L’inglese non è così maccheronico, la voce è profonda come una caverna, affascinante e suadente, e fa più o meno così:
“What’s up, maaan? Hey, how are you? Where are are you going? Hey, come here a minute, just wanna say hi to you… hey… do you want some shit?”
Non si tratta di cinesi, ma di africani. Nigeriani, Liberiani, Sudafricani, Ghanesi, Senegalesi… tutti con un’andatura ciondolante e lo sguardo sornione, con la mano aperta per dare il cinque e aggrapparsi al potenziale cliente. Spacciano: principalmente hashish e pasticche, altri articoli speciali disponibili su richiesta. Nel 2003, quando stavo al Poachers, li conoscevo tutti: erano cinque o sei, e gravitavano attorno alla discoteca che era il loro centro di business. Quando torno nel 2005 ne trovo trenta, quaranta, tutti uguali, tutti con la loro cantilena identica, e la loro zona di lavoro ora comprende le strade laterali della Jiuba Jie e un bel pezzo della Gongti Bei Lu. Ne deduco che il giro d’affari è cresciuto.
Come fanno trenta heiren, trenta neri, a spacciare nel centro di Pechino senza avere problemi da chicchessia è un interrogativo interessante, e cerco di informarmi. La prima cosa che noto è che non escono mai dalla loro zona di lavoro: trovarli sulla Jiuba Jie, per esempio, è impossibile, non ci mettono piede. Il Poachers rimane un centro nevralgico della loro attività, ma sulla stressa stradina sono sorti molti piccoli bar gestiti da cinesi, con prezzi ridicolmente bassi, dove gli spacciatori passano gran parte del loro tempo a bere alcolici falsi e ad abbracciare ragazze d’ogni razza e colore ben contente di girar con loro; e il più emblematico di questi baretti, dotato di una tavola calda, porta il nome di “Brother Pizza”. Dentro, a parte il gestore, sua moglie e un paio di ragazze cinesi vestite con tute colorate di tre taglie troppo grandi, tutti neri. Un altro covo preferito è il Bus Bar, due autobus attaccati e ricoperti da loghi della Heineken, parcheggiati nella stazione di fronte allo Yugong Yishan. La seconda cosa che noto è che non propongono mai le loro merci ai cinesi, ma lavorano esclusivamente con gli stranieri. E sono tipicamente gentili, invadenti all’inizio, ma non insistono troppo. Le loro attività sono controllate, evidentemente. Sento però diverse storie sul fatto che la sera tardi capita che si ubriachino e se qualcuno li provoca finisca in rissa; e pare che qualcuno non paghi nemmeno i tassisti che, per paura, li scarrozzano di qua e di là ma evitano ogni discussione con questi giganti dalla pelle nera. Pochi li apprezzano, la maggior parte dei cinesi ne è terrorizzata, molti li vedrebbero volentieri buttati fuori dalla Cina, tanto per esser sicuri che non si facciano vivi ancora.
E allora come fanno a rimanere lì, in bella mostra davanti alle macchine della polizia? La risposta che ricostruisco tramite varie conversazioni è la seguente: la Cina da diversi anni ha avviato una politica estera mirata a farsi amici tanti Paesi, e gli unici disposti ad essere amici della Cina sono tanti staterelli tirannici e poveri dell’Africa centrale, che ricevono da Pechino finanziamenti e armi in cambio dell’utilizzo di risorse naturali da parte di aziende statali cinesi. Andate per esempio nella zona della ambasciate in Sanlitun e vedrete che l’ambasciata del Sudan è grossa tre volte quella italiana, che le sta di fronte. Ora, queste ambasciate mantengono gran numero di persone, e tra queste mandano certi figli di papà che sanno l’inglese e il francese e stanno male in Africa; non sapendo o non avendo voglia di lavorare, costoro si riversano nelle strade e grazie ai loro canali preferenziali nell’ambasciata importano e vendono sostanze stupefacenti senza che la polizia abbia la possibilità di mettere le mani sul loro passaporto diplomatico. Quei poliziotti che ci provano si trovano in tasca grosse somme di denaro, abbastanza da raddoppiare il loro misero stipendio, e quindi, pur di malavoglia, accettano la situazione e fanno finta di non vedere gli ospiti africani, che sono liberi di prosperare a patto di non esagerare nelle loro attività: lontano dagli onesti cittadini cinesi e lontano dai turisti stranieri, che la loro vergogna rimanga isolata nella comunità espatriata e i cinesi che le gravitano attorno.
Questa situazione non può durare. Questi figli di ricconi africani che si atteggiano a ghetto boys, che ricalcano perfettamente gli stereotipi dei neri d'America, facendo una pessima figura davanti a cinesi e stranieri; e che spacciano indisturbati, con l'aria dei re del quartiere che non tollerano impedimenti. Prima o poi, mi dico, qualcuno sgarrerà, la farà grossa e allora le autorità reagiranno: do loro tempo fino alle Olimpiadi del 2008, quando la Pechino “perfetta” sarà presentata al Mondo. E allora insieme ai mendicanti e ai papponi anche gli spacciatori neri scompariranno. La loro presenza non si addice proprio alla Pechino “perfetta” da presentare al mondo. Grazie al cielo non viviamo in un regime di democrazia.
La storia mi darà ragione. Nell’autunno del 2006, improvvisamente una buona metà degli spacciatori scompare nel nulla. Quelli rimasti pare si nascondano, sono cento volte più cauti, più attenti alle loro mosse, meno arroganti nei loro “What’s up maan”. I tempi sono maturi. Brother Pizza, bye bye…