2006-09-09

I Sinologi


Dicesi sinologo, o sinologa, colui o colei che all’università ha studiato lingua e letteratura cinese, un tempo facoltà esclusivamente veneziane e napoletane, ora presenti anche a Torino, Bologna, Roma e altre città. Le sinologhe sono molte; al contrario i sinologi sono una razza rara. Il motivo ancora mi sfugge, ma credo sia legato alla disinformazione universitaria. Se fossi stato più informato, invece di fare la Bocconi avrei fatto la Ca’ Foscari.

Il sinologo studia in aule per lo più frequentate da donne, in città di un certo spessore artistico e culturale. Non passa la vita sui libri come fanno i frequentatori di altre facoltà. Poi, se è serio in quel che fa, deve trascorrere un periodo in Cina per acquisire la fluenza nella lingua parlata. Le possibilità sono tante: Chengdu, capitale culturale del Sichuan, dove si fa sempre festa; Kunming, la città della primavera, dove l’attività più comune è quella di fumar canne e far la spola dai bar ai ristoranti e viceversa, il tutto a prezzi che sono un decimo dell’Italia; o lo Yuyan Xueyuan, l’istituto di lingue straniere di Pechino, dove alcune decine di giovani stranieri, lontani anni luce da famiglia e tradizione, vengono alloggiati in un pensionato che ben presto diventa il set di un’orgia interrazziale a base di peace and love. Qualche sfortunato può finire a Xi’an o Shenyang, ma sono una minoranza.


Il rovescio della medaglia per il sinologo emerge dopo la laurea, quando si trova davanti un mondo del lavoro che gli dice “A parte parlare cinese sai fare qualcos’altro?”. La risposta è tipicamente “No”. Qualcuno si butta e diventa imprenditore, magari anche di successo, ma la maggior parte passa da un lavoro sottopagato all’altro, sopravvivendo grazie ai trucchi imparati quando di era studenti in un Paese povero. Peccato, perché la capacità di parlar cinese è sottovalutata dalle aziende, e spesso un superlaureato con Master a Londra o Parigi arriva in Cina e, digiuno di lingua locale, entra quasi subito in uno shock culturale catatonico che lo incapacita e lo impigrisce. In alternativa, di fronte a un ambiente che non lo capisce e non lo gratifica cerca realizzazione nel lavoro, e dopo qualche mese passato a lavorare sedici ore sette giorni su sette entra in esaurimento nervoso e torna in patria.


Nel mio primo passaggio a Pechino di sinologi ne conosco tanti, dalla vecchia guardia, i pionieri, come Alberto che ha un'azienda tutta sua che porta avanti da più di dieci anni, agli studenti, come i due che incontro una mattina a colazione al Poachers, reduci da sei mesi a Kunming, e si lamentano del costo delle sigarette (50 centesimi di euro al pacchetto contro i 30 di Kunming), e già pensano al ritorno in patria con terrore. Manca tempra alle nuove generazioni, o forse è che il cinese non è più una lingua così elitaria per gli stranieri. Davide, che ha fondato un’associazione che promuove i contatti culturali tra Italia e Cina, mi dice che ai suoi tempi essere laureati era un prestigio concesso a pochi, sicché il sinologo era visto come un intellettuale di un certo spessore. Alberto l’Oriente l’ha vissuto da avventuriero: vent’anni fa si è pagato due viaggi in India rivendendo alle bancarelle le statuine di Ganesh e altri oggetti d’artigianato locale, poi in Cina ha aperto la sua attività spedendo dirigenti d’azienda e quadri di partito in Italia, mescolando a giuste dosi il fascino e il savoir faire con lo spirito pratico, creando un servizio che solo un italiano potrebbe offrire; da bravo napoletano, quando la polizia lo ferma nel suo Cherokee e lo trova senza patente, ancora oggi finge di non parlare cinese e quelli lo lasciano andare.

 
Le nuove generazioni applicano l’arte del sopravvivere, tra uno stage non pagato e un lavoro a tempo pieno da 600 euro al mese; chi fa l’interprete, chi il traduttore, chi vorrebbe improvvisarsi giornalista ma non ha le referenze per farlo seriamente. Tanti mollano dopo un paio d’anni e tornano a casa da mamma e papà. Oggi il laureato in cinese è una persona che per la società ha rifiutato ingegneria, economia e legge per pigrizia, è un laureato in lettere buono a nulla. E’ forse una vittima di una cultura miope e conservatrice. Eppure rimane qualcuno che, con le maniche tirate su e la voglia di rischiare, è ancora capace di fare quelle cose che tanti ingegneri ed economisti non riescono nemmeno a pensare.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao! Dal momento che non sono una sinologa....non ho manco capito come ti chiami...comunque....sei un grande, perchè con un pizzico di cinismo sei riuscito a dire "il re è nudo"!!!
Sono un'espatriata pure io....vivo in asia come te e sono contenta di aver trovato un'altra persona che sembra stare un po' coi piedi per terra...questo messaggio per dirti....tieni duro, non sei da solo!
Ciaooooooooooooooooo

Wild Child ha detto...

Grazieeee!!!

Anonimo ha detto...

ti ammiro moltissimo...
...il mio unico sogno è quello di andare in oriente è assimilare quanta più conoscenza è possibile...il fatto è che devo dar conto a una società di m...a,quindi ora sto studiando biologia per divenire botanico,poi chissà...magari vivere in cina curando bonsai...
...ma vedendo ciò che hai scritto mi sa tanto che dovrò anche divenire un sinologo...tu che dici???

Wild Child ha detto...

Cose da fare in Cina ce ne sono sempre, specie con un minimo di conoscenze fuori dal comune... qui hanno un grandissimo rispetto degli alberi, specialmente nelle aree urbane (c'è una legge che tutela gli alberi più vecchi di 20-30 anni e ne vieta l'abbattimento anche in caso di ricostruzione dell'isolato intero). Che dire... in bocca al lupo e fammi sapere se mai passerai da queste parti!

Anonimo ha detto...

ok...ti ringrazio,se vengo te lo farò sapere sicuramente...ciaoo

Anonimo ha detto...

Beh, che dire, mi sono imbattuto per caso in questa pagina, che dici dei sinologi? Non trovano lavoro, mah sarà ma a me di opportunità ne sono piombate molte qua a Shanghai, è vero si fa un po' la gavetta, si comincia a caso ma sinceramente in Cina c'è un'apertura verso un giovane laureato che in Italia non esiste...Ho fatto di tutto e l'ammetto ma credo che in Italia non avrei fatto un cazzo. Ciao, siamo tutti sulla stessa barca ma niente pessimismo...

Wild Child ha detto...

Mi fa piacere sentire che a te è andata meglio che a tanta altra gente che conosco... ma forse tu all'inizio hai anche fatto lavori che un altro laureato si sarebbe rifiutato di fare. Certo le opportunità di lavoro in Cina non sono confrontabili con quelle in Italia, ma purtroppo è inegabile che, in Cina stessa, il sinologo sia sottovalutato rispetto all'economista, al giurista e all'ingegnere...

Anonimo ha detto...

con ritardo ma ankio ti lascio il mio commento. Hai ragione, per i sinologi e' dura (lo sono ankio e da lungo tempo).
In Italia guardano il cartellino del prezzo e quindi o ti abbassi drasticamente le tariffe e le ambizioni oppure ciccia.

Credo che in Italia manchi la cultura dell'investimento e viceversa, l'investimento nella cultura.

Ad un giovane sinologo italiano oggi, col senno del poi, direi: dopo aver imparato il cinese, impara altre cose ma anche una seconda od una terza lingua europea, cosi' che se in italia non dovesse andare, almeno ci sono altre opzioni.

bel post, comunque

ciao