Pechino accoglie gran quantità di gente strana che, sradicata dal proprio ambiente originario, si aggrega in gruppi più o meno stretti ma necessari alla sopravvivenza sociale. Tramite Jingyi vengo a conoscere un gran numero di persone che stanno a Pechino più o meno stabilmente, e tutti quanti hanno a che fare con il mondo dell’arte e della creatività.
Quelle che vedo più frequentemente sono le due amiche di Jingyi, che insieme a lei formano un trio singolare – una cinese, una giapponese e un’italiana. Michiko è di Tokyo: un metro e mezzo per meno di quaranta chili, uno scricciolo vestito in perenne t-shirt e scarpa da tennis bianca, pettinatura impossibile; studia scultura e condivide il nuovo appartamento con Jingyi. Quando parla lo fa scandendo ogni singola sillaba e, aggiunto alla sua abitudine di ridere scioccamente ogni volta che si sente sotto stress, pare una decerebrata, Frequentandola invece si capisce che è molto sveglia, e che tra le altre cose ha trent’anni passati nonostante ne dimostri più o meno come me. E’ molto buona e gentile, ma francamente faccio un po’ fatica a capire la sua mentalità e il suo modo giapponese di comportarsi con la gente. Sembra segua regole formali in tutto.
Colei che chiameremo Benedetta è il contrario di Michiko: alta, fisico da modella, occhi verdi, carnagione di marmo, capelli neri e ricci, viso nobile, pare dipinta da Dante Gabriel Rossetti. La sua bellezza è così androgina che la prima volta che Jingyi l’ha vista, l’ha scambiata per un ragazzo. Ci è rimasta male scoprendo che era del sesso sbagliato. Benedetta è di Milano e ha un anno più di me, ha studiato cinese e qui lavora per una galleria d’arte. Come molte artiste è sensibilissima ed emotivamente instabile. Oltre a ciò è detestabilmente falsa, e mentre mi sorride davanti mi pugnala alle spalle, forse per gelosia della sua amica, forse chissà. Decido comunque di darle più di una possibilità, fidandomi del giudizio di Jingyi.
Benedetta sta con Philip, un italo-americano che fa il giornalista free-lance. Il giornalista free-lance è, per la cronaca, la professione di chi ha studiato cinese e non ha voglia di buttarsi seriamente nel mondo del lavoro. Chi ha talento guadagna gloria (e poco altro), la maggior parte vivacchia insegnando inglese nel tempo libero (sempre abbondante) ed atteggiandosi ad intellettuale. Philip intellettuale ci si sente tanto. Parla poco, ma sembra capire molte cose.
Joey è di Tianjin. Ha studiato con Jingyi ed è il suo migliore amico. E’ un ragazzo molto bello e molto instabile, emotivamente dipendente da Jingyi, che gli fa da seconda mamma. Lei si trasferisce a Pechino, lui la segue; lei trova lavoro a That’s Beijing, lui la segue. Ora è il terzo inquilino del nuovo appartamento. Joey è un gran bravo ragazzo, ma dannatamente timido e terrorizzato dalla possibilità che la gente scopra che è gay. E’ uno di quelli che mi sta più simpatico.
Tutti artisti, tutti creativi, tutti squattrinati, tutti coraggiosi, a parte qualche crisi occasionale di qualcuno. Li frequento per poco tempo, perché poche settimane rimangono prima della mia partenza, ma conservo un buon ricordo di quelle serate in cui li vedo. Insieme a loro, condividendo esperienze ed emozioni, mi sento pechinese trapiantato anch’io.
Quelle che vedo più frequentemente sono le due amiche di Jingyi, che insieme a lei formano un trio singolare – una cinese, una giapponese e un’italiana. Michiko è di Tokyo: un metro e mezzo per meno di quaranta chili, uno scricciolo vestito in perenne t-shirt e scarpa da tennis bianca, pettinatura impossibile; studia scultura e condivide il nuovo appartamento con Jingyi. Quando parla lo fa scandendo ogni singola sillaba e, aggiunto alla sua abitudine di ridere scioccamente ogni volta che si sente sotto stress, pare una decerebrata, Frequentandola invece si capisce che è molto sveglia, e che tra le altre cose ha trent’anni passati nonostante ne dimostri più o meno come me. E’ molto buona e gentile, ma francamente faccio un po’ fatica a capire la sua mentalità e il suo modo giapponese di comportarsi con la gente. Sembra segua regole formali in tutto.
Colei che chiameremo Benedetta è il contrario di Michiko: alta, fisico da modella, occhi verdi, carnagione di marmo, capelli neri e ricci, viso nobile, pare dipinta da Dante Gabriel Rossetti. La sua bellezza è così androgina che la prima volta che Jingyi l’ha vista, l’ha scambiata per un ragazzo. Ci è rimasta male scoprendo che era del sesso sbagliato. Benedetta è di Milano e ha un anno più di me, ha studiato cinese e qui lavora per una galleria d’arte. Come molte artiste è sensibilissima ed emotivamente instabile. Oltre a ciò è detestabilmente falsa, e mentre mi sorride davanti mi pugnala alle spalle, forse per gelosia della sua amica, forse chissà. Decido comunque di darle più di una possibilità, fidandomi del giudizio di Jingyi.
Benedetta sta con Philip, un italo-americano che fa il giornalista free-lance. Il giornalista free-lance è, per la cronaca, la professione di chi ha studiato cinese e non ha voglia di buttarsi seriamente nel mondo del lavoro. Chi ha talento guadagna gloria (e poco altro), la maggior parte vivacchia insegnando inglese nel tempo libero (sempre abbondante) ed atteggiandosi ad intellettuale. Philip intellettuale ci si sente tanto. Parla poco, ma sembra capire molte cose.
Joey è di Tianjin. Ha studiato con Jingyi ed è il suo migliore amico. E’ un ragazzo molto bello e molto instabile, emotivamente dipendente da Jingyi, che gli fa da seconda mamma. Lei si trasferisce a Pechino, lui la segue; lei trova lavoro a That’s Beijing, lui la segue. Ora è il terzo inquilino del nuovo appartamento. Joey è un gran bravo ragazzo, ma dannatamente timido e terrorizzato dalla possibilità che la gente scopra che è gay. E’ uno di quelli che mi sta più simpatico.
Tutti artisti, tutti creativi, tutti squattrinati, tutti coraggiosi, a parte qualche crisi occasionale di qualcuno. Li frequento per poco tempo, perché poche settimane rimangono prima della mia partenza, ma conservo un buon ricordo di quelle serate in cui li vedo. Insieme a loro, condividendo esperienze ed emozioni, mi sento pechinese trapiantato anch’io.
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