Una costante delle presentazioni in Cina è il mingpian (名片), la “carta del nome”, ovvero quello che noi chiamiamo il biglietto da visita. Nessuno può farne a meno, per due ragioni. La prima ragione è linguistica: il cinese ha meno di 400 fonemi che, moltiplicati per i quattro toni, dovrebbero rendere la complessità di centinaia di migliaia di concetti. Praticamente tutte le parole hanno degli omofoni con significato diverso. Presentandosi a voce richiede una lunga spiegazione per esporre quale carattere forma il proprio nome, esemplificando con parole composte in cui appare. Farlo vedere scritto è più semplice. Se si ha una carta scritta è anche più facile ricordarlo, visto che circa il 10% dei cinesi di cognome fa Wang (王), che vuol dire circa 140 milioni di persone nella sola Repubblica Popolare. Poco meno degli Wang sono i Zhang (张), seguiti dai Zhou (周), dai Liu (刘) e dai Li (李). Più o meno la metà dei cinesi condivide meno di una decina di cognomi, il che è causa di non pochi mal di testa per l’anagrafe, figurarsi per la memoria della persona media che va in giro a conoscere gente.
La seconda ragione è socio-culturale, nata parte dal Confucianesimo, parte dal Comunismo. L’individuo in Cina non conta. A nessuno interessa la persona per quel che è, quel che conta è il suo ruolo, specie in ambienti altamente gerarchizzati come quelli aziendali o istituzionali. Il mingpian definisce il ruolo di una persona, cosa fa, dove lavora. Anche il suo numero di telefono cellulare lo definisce in parte – se è pieno di 8 vuol dire che è una persona ricca e influente. Se è pieno di 4 è un morto di fame che non può permettersi di comprare una carta PIN con numeri migliori (in Cina le carte PIN si vendono a numeri, con quotazioni che variano a seconda dei numeri fortunati contenuti).
Presentarsi a qualcuno senza mingpian è occasione di imbarazzo. In occasioni informali una persona semplicemente si scusa, in occasioni formali è imperdonabile e significa la perdita della faccia. Così il mio capo impone anche a me e Massimiliano di avere un mingpian, con tanto di due facce – una in inglese, una in cinese - e logo della Camera di Commercio. Lo guardo con orgoglio – cartoncino ruvido, colori brillanti ma sobri, bianco rosso verde, il mio nome italiano e sul retro quello cinese. Niente posizione aziendale: scrivere “stagista” pareva brutto. I cinesi, quando come da etichetta consegno il mio mingpian con due mani, il lato in cinese rivolto verso di loro, rimangono a volte imbarazzati dalla mancanza di definizione del mio ruolo ma poi, vedendomi laowai che lavora in un’organizzazione parastatale straniera, annuiscono con meraviglia come si conviene in certe situazioni, studiano meticolosamente le informazioni contenute sul biglietto (o almeno fanno finta), qualcuna la leggono bisbigliata come a dimostrare che lo stanno veramente leggendo e sono molto impressionati. Pare funzionare.
“先生你好,我是中国意大利商会的旷必野,认识你很高兴。Buongiorno signore, sono Kuang Biye della Camera di Commercio Italiana in Cina, molto lieto di conoscerla”. Armato del mio mingpian professionale e stilosissimo, nemmeno sono laureato, e già mi sento importante.
La seconda ragione è socio-culturale, nata parte dal Confucianesimo, parte dal Comunismo. L’individuo in Cina non conta. A nessuno interessa la persona per quel che è, quel che conta è il suo ruolo, specie in ambienti altamente gerarchizzati come quelli aziendali o istituzionali. Il mingpian definisce il ruolo di una persona, cosa fa, dove lavora. Anche il suo numero di telefono cellulare lo definisce in parte – se è pieno di 8 vuol dire che è una persona ricca e influente. Se è pieno di 4 è un morto di fame che non può permettersi di comprare una carta PIN con numeri migliori (in Cina le carte PIN si vendono a numeri, con quotazioni che variano a seconda dei numeri fortunati contenuti).
Presentarsi a qualcuno senza mingpian è occasione di imbarazzo. In occasioni informali una persona semplicemente si scusa, in occasioni formali è imperdonabile e significa la perdita della faccia. Così il mio capo impone anche a me e Massimiliano di avere un mingpian, con tanto di due facce – una in inglese, una in cinese - e logo della Camera di Commercio. Lo guardo con orgoglio – cartoncino ruvido, colori brillanti ma sobri, bianco rosso verde, il mio nome italiano e sul retro quello cinese. Niente posizione aziendale: scrivere “stagista” pareva brutto. I cinesi, quando come da etichetta consegno il mio mingpian con due mani, il lato in cinese rivolto verso di loro, rimangono a volte imbarazzati dalla mancanza di definizione del mio ruolo ma poi, vedendomi laowai che lavora in un’organizzazione parastatale straniera, annuiscono con meraviglia come si conviene in certe situazioni, studiano meticolosamente le informazioni contenute sul biglietto (o almeno fanno finta), qualcuna la leggono bisbigliata come a dimostrare che lo stanno veramente leggendo e sono molto impressionati. Pare funzionare.
“先生你好,我是中国意大利商会的旷必野,认识你很高兴。Buongiorno signore, sono Kuang Biye della Camera di Commercio Italiana in Cina, molto lieto di conoscerla”. Armato del mio mingpian professionale e stilosissimo, nemmeno sono laureato, e già mi sento importante.
Nessun commento:
Posta un commento