Finalmente il tempo mette al bello. La mattina è illuminata da un sole brillante che splende in un cielo sereno e blu come se un telo di seta fosse stato steso sopra la città. Il vento ha portato via le nubi, ma è ancora freddo. I raggi del mattino illuminano i grattacieli di cemento bianco e vetro, e la cupola dorata di quello che sta all'angolo del Guomao - il nome non l'ho mai saputo.
Complice il bel tempo e la mancanza del cappuccio, la gente si guarda attorno, e tutti guardano me. Sono un marziano, un alieno venuto da chissà dove. Mi guardano divertiti, incuriositi, stupiti.
Mi sto abituando all'ufficio. Ai ritmi duri del mio capo. Alle incomprensioni interculturali con i cinesi. Mi piace andare al lavoro, sentire il profumo del caffè fatto dalla 阿姨 (ayi, letteralmente “zia”), una signora di 50 anni alta meno di un metro e mezzo che viene a pulire, ma si diverte tanto a usare la macchina dell'espresso e sorride come una bambina; a mezzogiorno uscire a pranzo con Marco, con Vaira, o con gli altri colleghi cinesi. Mi ci trovo proprio bene: non ho mai lavorato prima. Nemmeno una distribuzione di volantini, un servizio in un bar, un call center… niente. Ho solo studiato. E lavorare mi piace… si creano risultati, si ha l'impressione di far fatica per rendersi utili. Mi ci trovo proprio bene, e sono felice.
Io e Marco conosciamo Linda, la ragazza che ha cominciato a lavorare il mio stesso giorno. Andiamo a pranzo assieme al San Carlo, un negozietto nel basement del Kerry Centre (il grattacielo accanto al Jingguang), fatto in stile italiano e che serve panini fatti all'italiana. Marco non mangia cinese.
Linda è adorabile, di una gentilezza da manuale, di una formalità perfetta che lì per lì mi fa sentire bene (solo più tardi scoprirò che tutti i cinesi per bene si comportano così, ma non per questo sono davvero gentili). Linda si scopre solo un attimo: quando arriva il cameriere. E' un ragazzo rasato a zero, vestito con pantaloni neri, camicia bianca e cravatta nera, il capo coperto da un cappellino con il logo del bar. Sorride con tutti i denti e gli occhi sottili, in modo teatrale come di addice ai cinesi gentili, e si prodiga nell'imparare l'italiano e servirci in tutti i modi possibili. In quel momento, Linda, per la prima volta da quando la conosco, smette di sorridere, e la sua bocca si conforma a un'espressione di fastidio. Io e Marco ci geliamo immediatamente.
"Questo ragazzo… " dice Linda in italiano "è un po' finocchio"
Il tono con cui lo dice è un'ondata di perbenismo che investe me e Marco come uno tsunami. Essere buoni e gentili con qualcuno non significa esserlo con tutti. Ci sono persone che vengono trattate bene, altre con cui non vale la pena di usare attenzione. La dolcezza, la misura, la gentilezza della forma cinese, così elegante e graziosa, hanno un altro lato - il conformismo. Chi non si attiene alla norma, chi non rispetta le regole non scritte della decenza, viene liquidato con fastidio. Quest'aspetto mi fa paura, perché è solo ora che inizio a scoprire i lati veramente negativi di questa civiltà.
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