2006-05-21

Personaggi di Pechino


Il giorno seguente nevica. La neve cade a piccoli fiocchi, ma è gelida. Il termometro segna quindici gradi sotto lo zero, e il vento è una lama che penetra attraverso i guanti, il cappello, la sciarpa. I marciapiedi sono lastre di ghiaccio su cui a malapena mi reggo in piedi, con delle scarpe pesanti forse ereditate da un parente, che in Italia non ho mai messo, e il vecchio montone di mio padre a cui manca uno dei bottoni. I cinesi cadono come pere, poi si rialzano facendo finta di nulla e riprendono la marcia attraverso la città, ignorando le facce addormentate del mattino. Gli unici che cercano il contatto umano sono uomini dalla pelle scura e arsa dal sole e dal freddo, con i capelli lunghi e irsuti come lupi; sono vestiti di pelli d'animali conciate in rozze giacche con i bordi colorati, portano i mano coltellacci da una spanna e teschi di cervi. Sono tibetani, visioni da medioevo, cacciatori che d'inverno lasciano le montagne per vendere qualcosa nella grande città.

La giornata di lavoro scorre lunga e dura, e alla fine, mosso a pietà, l'altro stagista si offre di cenare con me e farmi vedere un posto che conosce. Si tratta di Joe's, un locale che serve bistecche all'americana a un prezzo folle, cinque volte il costo di un normale ristorante cinese. Ma Marco non mangia cinese. Si direbbe che della Cina odi tutto, tanto passa la giornata a lamentarsi.
Ha vissuto negli Stati Uniti, un paese che è il suo mito. Marco paragona tutto ciò che vede agli Stati Uniti. Il risultato è che, nella sua visione, i cinesi sono stupidi, falsi, inetti. Il loro cibo è sporco e fa schifo. La città è povera e caotica. La lingua è ridicola e inutile. Il suo atteggiamento tipico è quello del colonialista ottocentesco caricaturato. Il suo gesto tipico è quello della frusta, con tanto di effetto sonoro.
Eppure li ama, e si vede. Nonostante li insulti continuamente in italiano e in inglese, il suo odio è tanto esagerato da essere ridicolo, e lui stesso non smette di ironizzarci sopra; fa di tutto per comunicare con i cinesi, e sorride. Gli fanno tenerezza. E come fanno a non farti tenerezza, con il loro imbarazzo verso lo straniero, con il loro sorriso da merenda quando non sanno cosa rispondere o non capiscono cosa gli dici? Li prenderesti a schiaffi quando ne fanno una delle loro, ma poi li guardi e ti viene voglia di regalargli una caramella. Sono bambini, non riesci ad incazzarti veramente con loro. Almeno, non finché non li conosci bene. Ma a quel tempo, né io né Marco li conoscevamo bene.
Marco non parla cinese, quindi non può comunicare con il 99% della gente di questo paese. Si esprime a gesti oppure con suoni gutturali, oppure in italiano e in inglese, con risultati pressoché nulli. Cura la sua nevrosi con lo shopping. Nel suo appartamento in un residence gestito da russi, in cui paga 1000$ al mese, ha accumulato montagne di cineserie, tutte inutili. Lanterne rosse di carta, borsette colorate di finta seta, animali di paglia ed erba, sigarette ed accendini (non fuma), artigianato locale, cappelli, manifesti storici del periodo maoista, divise da guardie rosse, spille e medaglie, libri (scritti in cinese), CD, VCD, DVD, e gadget di ogni tipo. I suoi week-end li passa ai mercati, dove compra tutto ciò che può facendosi regolarmente fregare sul prezzo. Se uno gli offre 100, contratta per ore fino a spuntare un 70. Quindi acquista, e il venditore gli offre un secondo articolo, identico, a 60. Stizzito se ne va, e incontra un venditore che gli propone lo stesso articolo a 50. Poi un altro a 40, e uno a 30. Marco sbrocca e copre i cinesi di insulti. Quelli ridono come matti. La scena di ripete ogni volta, nonostante Marco si spacci per compratore ormai esperto.
Mi racconta della sua esperienza, cominciata due mesi e mezzo prima. Mesi passati a passeggiare da solo, a dieci sotto zero, bianco e alto un metro e ottanta nelle vie più sperdute della città, senza sapere mezza parola della lingua locale. Anche se odia questo paese così diverso dagli Stati Uniti, nella sua solitudine ci si ritrova bene, anche se non riesce a capire di cosa si tratti. E' un tipo strano Marco, tanto espansivo e simpatico, eppure spesso schivo e riservatissimo. E' lui che mi presenta Elena.

Marco, nella sua strana misantropia, frequenta due persone oltre a me: una è il mio capo, con il quale regolarmente litiga. I due hanno più o meno la stessa età, solo che una è Segretario Generale, l'altro è stagista. Lei fa un lavoro tanto stressante da mandarla fuori di testa, lui è semplicemente uno che risponde a tono. In ufficio, si sentono dialoghi tipo:
"Marcooo! Hai mandato il fax che ti avevo detto!?!"
"No"
"Perché noo?!? Mandalo immediatamente!!!"
"No, perché non lo so fare, e se tu non mi insegni a usarlo non lo posso mandare il fax"
"Non ho tempo da perdere in queste cosee!!! ARRANGIATI!!!"
"Va bene, allora non lo mando"
Col tempo, i due sono diventati grandi amici.

L'altra persona che Marco frequenta è Elena. Il rapporto che c'è tra i due non mi è chiaro, e siccome nessuno dei due me lo spiega, mi faccio i fatti miei. Elena è di Imola: parla cinese benissimo, e vive e lavora a Pechino da anni. Per Pechino si muove talmente bene che è il contrario esatto di Marco. Quando sono insieme, sono uno spasso da vedere, lui impacciato come una macchietta, lei che si spancia nel sentire cosa dicono di lui i cinesi imbarazzati.
Elena è una persona estremamente in gamba, e di fortissimi principi. La nostra amicizia comincia in modo abbastanza freddo, e ancora adesso non ci sentiamo spessissimo. Eppure siamo amici da anni e anni, e molto stretti. E' una di quelle amicizie in cui non ci si sente per sei mesi, e dopo, quando si capita per caso nella stessa città (sia essa Milano, Pechino o Shanghai) si recupera uscendo insieme una sera a raccontandosi tutto quello che è successo nel frattempo. Credo si basi su una stima reciproca molto forte. In effetti, lei è una delle persone che ammiro di più, nonostante non sia d'accordo con molte delle sue opinioni. D'altra parte, il bello di stare dall'altra parte del mondo, è che la gente che incontri di sicuro non è conformista, ma di certo per vivere in Cina deve avere una certa dose di virtù, qualunque essa sia. Dall'altra parte del mondo, gli sciocchi, gli stupidi, i parassiti durano poco. Quel che mi piace di Pechino, è che c'è una certa selezione di personaggi, e di quelli che conoscerò, quasi tutti rimangono a tutt'oggi carissimi amici, con le loro differenze e stranezze, e con le loro virtù e i loro difetti che poco hanno di mediocre.

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