Una delle cose positive nel vivere in un regime autoritario è il livello di sicurezza nelle strade. E poiché Pechino è una delle vetrine della Cina verso il mondo esterno, tutto deve essere perfetto per chi la visita. Ciò significa che mentre uno straniero è quasi libero di fare ciò che vuole, i cinesi sono controllati in ogni mossa. A ciò si aggiunge un timore reverenziale diffuso in quasi tutti i cinesi di livello medio-basso verso gli stranieri, e i “bianchi” in particolare, che loro chiamano laowai (老外). Chi non ha avuto contatti con gli stranieri, è in qualche modo convinto che essi siano estremamente potenti e pericolosi, facili all’ira e vendicativi, ragion per cui, potendo, li evitano.
Fatta questa premessa, possiamo parlare della sicurezza a Pechino, che è massima. La città è piena di poliziotti e guardie private: mentre i primi pattugliano le strade e accorrono alla segnalazione di un reato, pronti a tutto pur di estirpare il crimine, le guardie private sono molto più bonaccione. Gentili, quasi timidi, sono posti di guardia nelle strade, negli uffici e nei condomini. I loro capi si sforzano di imporre loro un po’ di disciplina che si concretizza in ridicole marce lungo il perimetro dell’area da pattugliare e niente più. La giornata (o la nottata) di una guardia consiste nello stare sull’attenti (o, nel caso di personale più attempato, stare seduti) per tutto il loro turno controllando che tutto vada bene e ladri e malfattori non si mettano all’opera. Nel caldo soffocante d’agosto slacciano la giacca mettendo in luce la canotta, nel freddo crudele di gennaio si chiudono nei loro cappotti verdi e stringono i colbacchi; qualche volta si addormentano, specialmente a tarda notte, oppure cercano qualcuno con cui scambiare due chiacchiere per ammazzare il tempo. Con i cinesi sconosciuti sono inflessibili, ma appena vedono uno straniero si trasformano in agnellini, e giù sorrisi da merenda e inchini. E se scoprono che lo straniero parla cinese, via ad attaccare bottone su ogni tipo di argomento, che per lo più ha a che fare con il nazionalismo e la guerra, il crimine e la politica. Mentre il poliziotto non ha nulla da dichiarare, la guardia ha opinioni su un sacco di argomenti: di solito le dichiarazioni preferite sono: “La Cina è un grande paese”, “Gli Stati Uniti dovrebbero piantarla di accusarci di violare i diritti umani, ma pensare piuttosto alle bombe e ai colpi di mitraglia che sparano in Iraq”, “Gli stranieri che vivono qui sono bella gente e molto gentili”. Ogni tanto poi partono con la loro analisi politica dei cambiamenti avvenuti dai tempi di Mao Zedong ad oggi, e allora è la fine. Quando uno straniero conosciuto arriva o se ne va, scattano sull’attenti, con la mano sulla fronte e il petto in fuori, ma ogni tanto viene da ridere anche a loro.
E’ anche grazie a loro che le strade di Pechino sono così sicure. Ad ogni ora della notte, uno può camminare indisturbati per le strade. Non si hanno notizie di crimini commessi ai danni di stranieri, se si eccettua l’occasionale furto del portafoglio in metropolitana. Né si è mai sentito di ragazze importunate, o ubriachi molesti che rivolgano le loro attenzioni ai laowai. E’ come vivere nella bambagia, nessuno osa toccare gli onorati ospiti stranieri. Ci si sente coccolati, anche se si tratta di finzione: fuori Pechino, la situazione non è questa: basta guardare le gabbie che proteggono i tassisti e li dividono dal passeggero. Servono ad evitare i colpi di arma da taglio. Quello che c’è e quello che si vede non sono la stessa cosa; è la base del modo di vivere cinese, per certi versi. Tuttavia, quando cammino solo in queste strade scure, e gli unici esseri umani che incontro sono i lavoratori notturni, umili e indaffarati, e la guardie, inflessibili e vigili al passaggio del laowai, non rimpiango l’Italia. Se non altro, in questo luogo non ho mai dovuto avere timore di qualcuno.
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