Tra i tanti mercati che Marco mi fa visitare, quello che più mi impressiona è quello di Panjiayuan. Si trova verso Sud, nei pressi del terzo anello, ed è un’estensione enorme di chioschi e bancarelle che vendono artigianato e anquiquariato di tutti i generi: porcellane, statue di giada, legno, bronzo, ferro e terracotta, gadget di Mao e oggetti risalenti alla Rivoluzione Culturale, stampe, calligrafie e dipinti su carta di riso e tela, mobili in vari stili, pennelli e materiale da scrittura, armi bianche tradizionali, portafortuna. Ma la cosa più sconvolgente è l’artigianato etnico, e in particolare le bancarelle dei Miao, con i loro tessuti colorati e i campanelli di metallo, e quelle dei Tibetani, con i loro thangkha, i dipinti religiosi su cuoio, e gli strumenti rituali tra cui pugnali e asce di ferro e bronzo, corni di yak istoriati e bacinelle ricavate da teschi umani. Sembra di vivere in un’altra epoca, a Panjiayuan, a cinque gradi sotto zero, con un’aria dall’odore fortissimo di Cina, in mezzo a una folla che contratta serratamente. Al mercato incontriamo Christian, uno stagista arrivato dalla mia stessa università due giorni prima di me, ancora sperduto al pari mio, e il suo collega Stefano, prototipo dello yuppie newyorkese degli anni’80 trapiantato a Pechino con vent’anni di ritardo. Siamo in quattro bocconiani, intabarrati nei giacconi a guardare questa bolgia d’umanità di razze e colori differenti che bercia e contratta. L’università non prepara a queste esperienze. Panjiayuan si trasformerà ben presto nella nemesi di tutti quanti, perché se agli altri mercati si comprano tante cose a prezzo contenuto, a Panjiayuan se ne comprano meno, ma sono costose e soprattutto pesanti. Io me la caverò con una spada da pochi chili; altri, meno fortunati, torneranno in Italia con scacchiere di marmo, statue di buddha in legno a grandezza naturale, cassettiere. Lo shopping a Pechino è una droga, e nella massa dei mercati, non è possibile non trovare ciò che si è sempre desiderato comprare, a un prezzo ridicolo. Davanti a quest’offerta, non esiste resistenza. Il mercato vince. Sempre.
Questo è il diario di una storia d'amore. E' la storia di un viaggiatore e di un una città, lui italiano, lei cinese. E' un'elegia alla libertà, alla felicità, alla dolcezza della solitudine e della compagnia.
2006-06-25
Il mercato di Panjiayuan
Tra i tanti mercati che Marco mi fa visitare, quello che più mi impressiona è quello di Panjiayuan. Si trova verso Sud, nei pressi del terzo anello, ed è un’estensione enorme di chioschi e bancarelle che vendono artigianato e anquiquariato di tutti i generi: porcellane, statue di giada, legno, bronzo, ferro e terracotta, gadget di Mao e oggetti risalenti alla Rivoluzione Culturale, stampe, calligrafie e dipinti su carta di riso e tela, mobili in vari stili, pennelli e materiale da scrittura, armi bianche tradizionali, portafortuna. Ma la cosa più sconvolgente è l’artigianato etnico, e in particolare le bancarelle dei Miao, con i loro tessuti colorati e i campanelli di metallo, e quelle dei Tibetani, con i loro thangkha, i dipinti religiosi su cuoio, e gli strumenti rituali tra cui pugnali e asce di ferro e bronzo, corni di yak istoriati e bacinelle ricavate da teschi umani. Sembra di vivere in un’altra epoca, a Panjiayuan, a cinque gradi sotto zero, con un’aria dall’odore fortissimo di Cina, in mezzo a una folla che contratta serratamente. Al mercato incontriamo Christian, uno stagista arrivato dalla mia stessa università due giorni prima di me, ancora sperduto al pari mio, e il suo collega Stefano, prototipo dello yuppie newyorkese degli anni’80 trapiantato a Pechino con vent’anni di ritardo. Siamo in quattro bocconiani, intabarrati nei giacconi a guardare questa bolgia d’umanità di razze e colori differenti che bercia e contratta. L’università non prepara a queste esperienze. Panjiayuan si trasformerà ben presto nella nemesi di tutti quanti, perché se agli altri mercati si comprano tante cose a prezzo contenuto, a Panjiayuan se ne comprano meno, ma sono costose e soprattutto pesanti. Io me la caverò con una spada da pochi chili; altri, meno fortunati, torneranno in Italia con scacchiere di marmo, statue di buddha in legno a grandezza naturale, cassettiere. Lo shopping a Pechino è una droga, e nella massa dei mercati, non è possibile non trovare ciò che si è sempre desiderato comprare, a un prezzo ridicolo. Davanti a quest’offerta, non esiste resistenza. Il mercato vince. Sempre.
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