2006-06-05

Prima Visita a Sanlitun


Una sera Marco mi fa scoprire Sanlitun. Anzi, Sanlitunr, come dicono a Pechino, con quel ringhio che caratterizza la parlata locale. Ci andiamo a piedi, la sera, con la gente che ci guarda stranita, e le guardie – ci sono guardie ovunque, in divisa impeccabile e quasi tutte più giovani di noi – che ci sorridono. Quando chiedo informazioni, si stupiscono del mio cinese e la loro diffidenza si trasforma in gentilezza estrema. Non riesco a capire perché Marco li odi così, ma immagino sia per un semplice problema comunicativo.

Sanlitun è la via dei locali. Si immette su una grande strada su cui sorge anche lo stadio, ed è punteggiata da numerosi bar pieni di luminarie e musica, e grandi porte sempre controllate da “buttadentro”, ragazzi cinesi di bell’aspetto che assaliscono i passanti, soprattutto gli stranieri:”Hallo, Ssir!” gridano in cinglese, seguendo i malcapitati “Prease come in, have a looka!”. Davanti ai bar, venditori di sigarette e dvd pirata, anche loro, più discreti, che chiamano “Hallo!” a un tono più basso. Infine i ruffiani, cinesi sui quarant’anni, in giacca pseudo-elegante e maglione sotto, con la loro cantilena infinita e immutabile: “Hallo, Ssir? Cd? Vdc? Dvd? Sex? Lady Bah?”. Più uno dice di no e scuote la testa, più quelli si attaccano, ti seguono, alzano la voce, ad ogni no offrono una merce diversa. Col cinese li tengo più o meno a bada. Dopo il tramonto i ruffiani vengono direttamente sostituiti dalle ragazze, ragazze splendide che si offrono per “One hundred dollar OK?”. Quando scuoti la testa, rispondo “Ok fifty dollar ok?”. Non ho mai provato a contrattare, ma sono sicuro che possa scendere a molto di meno. Imbarazzato ma divertito, tiro avanti.


I bar di Sanlitun sono il posto dove si incontrano più occidentali a Pechino, e qui in effetti ne incrociamo alcuni. Ma Marco li evita volentieri, per mostrarmi invece la parte di Sanlitun che sta oltre i bar: una via fiancheggiata da grandi pini odorosi, con vecchi palazzi comunisti in mattoni, silenziosi, e metà delle ambasciate di Pechino, compresa quella italiana. Ci sono guardie dappertutto qui, e non mi sono mai sentito più protetto in vita mia.


Il giro continua per degli hutong, ovvero i vicoli della vecchia Pechino, le stradine larghe da tre a mezzo metro, che separano case a un piano, prove di servizi privati. Marco mi mostra come tutti questi quartieri stiano lentamente scomparendo sotto la spinta del progresso: ovunque le ruspe abbattono gli hutong e costruiscono grattacieli.


Il giro termina in un ristorante americano e poi in un negozio di Dvd, com’era prevedibile, ma sono grato a Marco per avermi fatto da anfitrione in questo paese. E’ attraverso i suoi occhi che conosco la Cina per la prima volta, e la sensazione che mi sopraffa più di tutte è la meraviglia. La sensazione di essere in un luogo completamente alieno e inimmaginabile, eppure il mio mondo, lo stesso pianeta dove ho sempre vissuto. E’ come aver scoperto un segreto, un tesoro, e sapere che a scavare una vita non verrebbe fuori tutto quello che c’è da scoprire.

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