Due settimane son passate, e ormai Marco sta per andarsene da Pechino. A sostituirlo arriverà Massimiliano, un ragazzo dell’università di Ancona. Lo sento per e-mail e mi metto d’accordo per condividere l’oneroso costo della stanza all’hotel Dabei. Fa mille domande e Marco, con la sua vena da tipico milanese bocconiano, rafforzata dalla sua nevrosi, già lo detesta e gliene dice di tutti i colori.
Massimiliano arriva una mattina di inizio febbraio. La receptionist mi chiama in camera dicendo qualcosa di incomprensibile in cinese, e ne deduco che di lui si tratta. Scendo le scale ormai familiari dell’hotel per trovarlo nella piccola hall, completamente devastato come lo ero io al mio arrivo.
E’ un bel ragazzo, Massimiliano: immediatamente identificabile come italiano. Alto, pelle chiara, capelli corti e scuri, labbra arricciate e begli occhi verdi. Accento marcatamente marchigiano, della provincia di Fermo, che a noi milanesi suona un po’ ridicolo. Nella nostra sofisticazione bocconiana, troviamo molti suoi modi d’essere decisamente provinciali. Non parla una parola di cinese ed è ancora più fuori dal mondo di me.
Ci presentiamo e lo porto in camera, una nuova camera a due letti che fa angolo a sudest. Gli lascio prendere il letto migliore, quello vicino al calorifero e lontano dalla porta. Lo accolgo con qualche convenevole per dimostrargli la mia buona volontà, e lui, più esperto di me in convivenze, poiché ha studiato ad Ancona vivendo in studentato, espone le sue regole basilari: si può fare tutto, compreso andarsene in giro in mutande, c’è una sola cosa da non fare mai. Russare. Fortunatamente, non russo. Con questo buon auspicio, lo lascio per andare in ufficio. Quando torno dorme ancora, si fa una tirata di almeno 18 ore fino alla mattina seguente.
Massimiliano arriva una mattina di inizio febbraio. La receptionist mi chiama in camera dicendo qualcosa di incomprensibile in cinese, e ne deduco che di lui si tratta. Scendo le scale ormai familiari dell’hotel per trovarlo nella piccola hall, completamente devastato come lo ero io al mio arrivo.
E’ un bel ragazzo, Massimiliano: immediatamente identificabile come italiano. Alto, pelle chiara, capelli corti e scuri, labbra arricciate e begli occhi verdi. Accento marcatamente marchigiano, della provincia di Fermo, che a noi milanesi suona un po’ ridicolo. Nella nostra sofisticazione bocconiana, troviamo molti suoi modi d’essere decisamente provinciali. Non parla una parola di cinese ed è ancora più fuori dal mondo di me.
Ci presentiamo e lo porto in camera, una nuova camera a due letti che fa angolo a sudest. Gli lascio prendere il letto migliore, quello vicino al calorifero e lontano dalla porta. Lo accolgo con qualche convenevole per dimostrargli la mia buona volontà, e lui, più esperto di me in convivenze, poiché ha studiato ad Ancona vivendo in studentato, espone le sue regole basilari: si può fare tutto, compreso andarsene in giro in mutande, c’è una sola cosa da non fare mai. Russare. Fortunatamente, non russo. Con questo buon auspicio, lo lascio per andare in ufficio. Quando torno dorme ancora, si fa una tirata di almeno 18 ore fino alla mattina seguente.