2006-11-08

Il Kiosk

Quando ho conosciuto Sasha aveva i capelli lunghi e folti, come me, e gestiva una trading che lavorava con casa sua, la Serbia. Quando lo trovo di nuovo ha i capelli corti, come me, e ha aperto un chiosco di panini.

Il Kiosk è uno dei posti più rilassanti e piacevoli della nuova Pechino che trovo: un chioschetto blu con finto campanile, che contiene un frigo e una piccola cucina, e cinque o sei tavolini messi in fila sulla strada del Nali Mall, un piccolo complesso sorto recentemente attorno a una traversa della Sanlitun, e che comprende ristoranti, un locale di musica jazz, negozi di abbigliamento femminile e una manicure. Tranquillo, silenzioso, pur essendo a una ventina di metri dalla jiuba jie, per qualche miracolo riesce a creare un’atmosfera lontana anni luce. Nonostante non possa farmi rimborsare il pasto causa mancanza di fapiao, ci vado sempre e comunque per pranzo, per godermi uno dei panini stupendi che fanno.

Sasha sta davanti al chiosco, tipicamente camminando avanti e indietro con una birra e una sigaretta in mano. Saluta i clienti, li conosce tutti, spesso si siede a chiacchierare con loro, prende le ordinazioni. Si vede che il suo lavoro lo fa con passione, e nonostante gli orari impossibili che fa i primi tempi – dalle dieci di mattina alle dieci di sera, gran parte del tempo in piedi – è molto più felice di prima. Manco a dirlo, i tavolini del Kiosk sono sempre pieni, tutti sanno dov’è e ci sono stati prima o poi, molti ci vanno diverse volte a settimana per gustare un panino sano fatto con verdure fresche e un bel pezzo di carne speziata.

Seduto a uno dei tavolini, il 21 giugno 2005 scrivo:
“In una traversa di Sanlitun, un vicolo appena, ci sono dei tavolini, all’ombra di grandi ombrelloni verdi che coprono dal sole di giugno. Ad uno di questi tavolini tre uomini parlano in spagnolo: uno è di Salamanca, uno di Milano, l’altro di Belgrado. Quando lo spagnolo se ne va, il serbo torna al suo lavoro e l’italiano si siede in un angolo con la sua birra e accende una sigaretta. Chiacchiera in italiano con la cameriera indiana. Poco dopo, arriva in bicicletta una ragazza messicana, bacia il serbo, suo marito, e saluta tutti in italiano. I camerieri cinesi sorridono, borbottando timidi nella loro tipica calata del nord. E poi arrivano altri amici: italiani di Napoli, Padova, Perugia, Roma; cinesi da Pechino e da Tianjin; svedesi da Malmo; altri spagnoli, francesi, americani, australiani.

Questa è la Pechino che ricordavo. Non c’è distinzione d’origine. Il diverso si mescola discretamente, senza attriti, nell’ombra di un vicolo e al fresco di una birra
qingdao.”

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