Il Café de Niro è uno dei nuovi locali sorti nella nuova Pechino che trovo. Un tempo nella strada del Poachers c’erano, oltre al detto locale, solo un ristorante tailandese, che ancora sopravvive, e un club all’angolo, chiamato appunto “The Club”. Ora la strada sembra un mercato, con gente che va e che viene, bar, ristoranti, baracchini, negozi di DVD, parrucchieri. Due anni dopo.
Ciò che sembra rompere il caos della strada, la Sanlitun Bei (三里屯北), è un bar dai colori chiari e morbidi opposti al caleidoscopio della via di fuori. Bianco e grigio, qualche nero vellutato, sedie imbottite e squadrate, riviste d’architettura, camerieri dal fisico atletico e la pettinatura essenziale chiusi in uniformi classiche e attillate. Musica lounge suona in sottofondo, quella musica che si ascolta senza accorgersene. Nonostante il nome italiano, è ovvio che il proprietario è un architetto e designer giapponese.
Il Café de Niro offre, oltre che un eccellente espresso servito in tazzine di vetro e metallo, una selezione impressionante di dolci – dalla torta di mele calda al tiramisù alla torta al sesamo - e una pace che è unica in Sanlitun. E’ sempre vuoto. Tanto vuoto che al terzo giorno che passo i camerieri si ricordano di me e mi offrono un succo d’arancia. Quando è pieno ci saranno tre tavoli occupati, su un totale di una decina. Ci si passerebbero le ore, al Caffè de Niro, a chattare col portatile connesso alla presa elettrica e alla rete wireless gratuita, a sorseggiare un caffè come si deve, ad ascoltare la musica rara che passa l’impianto. E le ore ce le passo davvero, ogni volta che posso.
E’ il 24 settembre 2005 quando scrivo:
“Musica soffusa, fuori il primo giorno d’autunno, aria fresca e umida di foschia. Odore di caffè, sapore di tiramisù, cacao e mascarpone, dolcezza di succo d’arancia e neutralità d’acqua. La completezza della sigaretta.
Seduto a un tavolino sul fondo, unico cliente, mi collego con il mondo tramite la rete. Comunico con persone, ed evito la folla.
Mai trovato un luogo così dolce e pacifico. Non mi meraviglia sia a Pechino.”
Ciò che sembra rompere il caos della strada, la Sanlitun Bei (三里屯北), è un bar dai colori chiari e morbidi opposti al caleidoscopio della via di fuori. Bianco e grigio, qualche nero vellutato, sedie imbottite e squadrate, riviste d’architettura, camerieri dal fisico atletico e la pettinatura essenziale chiusi in uniformi classiche e attillate. Musica lounge suona in sottofondo, quella musica che si ascolta senza accorgersene. Nonostante il nome italiano, è ovvio che il proprietario è un architetto e designer giapponese.
Il Café de Niro offre, oltre che un eccellente espresso servito in tazzine di vetro e metallo, una selezione impressionante di dolci – dalla torta di mele calda al tiramisù alla torta al sesamo - e una pace che è unica in Sanlitun. E’ sempre vuoto. Tanto vuoto che al terzo giorno che passo i camerieri si ricordano di me e mi offrono un succo d’arancia. Quando è pieno ci saranno tre tavoli occupati, su un totale di una decina. Ci si passerebbero le ore, al Caffè de Niro, a chattare col portatile connesso alla presa elettrica e alla rete wireless gratuita, a sorseggiare un caffè come si deve, ad ascoltare la musica rara che passa l’impianto. E le ore ce le passo davvero, ogni volta che posso.
E’ il 24 settembre 2005 quando scrivo:
“Musica soffusa, fuori il primo giorno d’autunno, aria fresca e umida di foschia. Odore di caffè, sapore di tiramisù, cacao e mascarpone, dolcezza di succo d’arancia e neutralità d’acqua. La completezza della sigaretta.
Seduto a un tavolino sul fondo, unico cliente, mi collego con il mondo tramite la rete. Comunico con persone, ed evito la folla.
Mai trovato un luogo così dolce e pacifico. Non mi meraviglia sia a Pechino.”
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