Come in tutti i Paesi in rapido sviluppo, caratterizzati dalla presenza di gente ricchissima e gente poverissima, la Cina ha un’industria della prostituzione a dir poco fiorente. Avendo a che fare con i miei compatrioti, tradizionalmente clienti assidui dell’industria in tutto il mondo, riesco a farmi una buona cultura in merito. Secondo le voci, il principale centro della prostituzione in Cina è Shenzhen, appena oltre il confine cinese e davanti a Hongkong – gli hongkongini ci fanno il weekend a Shenzhen, che costa poco – e poi ci sono Xi’an e Shenyang. Ciò non toglie che tutte le città cinesi, grandi e piccole, siano strapiene di luoghi che offrono servizi di compagnia femminile di ogni prezzo e livello.
Va detto che, in una cultura dove la moglie è l’angelo del focolare e dedita in tutto e per tutto all’uomo, in cui le relazione extramatrimoniali quando scoperte finiscono in omicidio, in cui il sesso pre-matrimoniale è mal visto, in cui una gran parte della popolazione delle grandi città è composta da emigrati che tornano dalla famiglia una o due volte l’anno, e in cui l’etichetta impone che al cliente si paghi non solo la cena, non solo l’alcool, ma anche la compagnia, la prostituzione è una necessità più che un piacere.
Poiché a puttane in Cina ci vanno praticamente tutti i maschi, i servizi di prostituzione variano in modo significativo secondo il reddito della clientela. I migranti vanno in piccole botteghe di periferia, mascherate da parrucchieri o saloni di bellezza, illuminati da luci al neon rosa o violette, quelli che gli italiani chiamano familiarmente “prontopompa” o “prontosega”. Nel retro ci sono alcove con poltrona in cui i vari servizi vengono offerti per prezzi che variano dai 50 ai 200 kuai. Poi ci sono i veri e propri bordelli, con tanto di camere – buie e sudice per i meno abbienti, enormi, con frigobar e televisione al plasma per chi può permetterselo. Ci sono poi le saune, con i loro servizi di massaggio e cura della pelle. E i karaoke, ideali per gli incontri d’affari, dove una volta prenotata una saletta privata, una decina di ragazze si presentano in fila e i clienti le scelgono, con possibilità di mandarle tutte fuori e farne rientrare un’altra decina. E qui i prezzi vanno su, dai 300 fino ai 1000 kuai o più, soprattutto se la ragazza è mongola, russa o comunque esotica.
Quello che stupisce gli occidentali non è tanto la diffusione del fenomeno e l’assoluta normalità con cui gli uomini cinesi ne parlano – per loro andare a puttane è normale quanto andare al ristorante o in piscina – ma è l’attitudine che c’è. Le ragazze sono di compagnia, chiacchierano, scherzano, bevono col cliente, cantano al karaoke, giocano a dadi, massaggiano. Il rapporto sessuale non è scontato, si paga a parte e tante volte non viene nemmeno richiesto dal cliente. Quel che i cinesi cercano è la compagnia di una bella ragazza che li faccia sentire uomini. E per questo pagano dei prezzi che, confrontati al loro stipendio, sono folli.
Le ragazze che esercitano sono tipicamente bellezze venute dalla campagna. Abbandonato il loro misero impiego di operaia, maestra elementare, cameriera, prendono il treno per la città e cercano direttamente lavoro in uno dei tanti locali dell’industria – karaoke, sauna, prontopompa. Guadagnano bene, molto bene, per quel che fanno. Non sono schiave, ma impiegate di alto livello. Pulite, coscienti, controllate, spesso svolgono la loro attività per qualche anno, poi tornano a casa nella campagne e con i risparmi che hanno accumulato aprono un negozio, un ristorante, una piccola azienda. Belle e ricche, non hanno difficoltà a trovar marito, un marito buono e fedele che esegua i loro ordini come si conviene. Viaggiando nelle campagne cinesi, non è raro incontrare questi personaggi, che si riconoscono molto facilmente dall’atteggiamento aggressivo e dominante, diametralmente opposto a quello delle ragazze tradizionali.
La prostituzione ha così un ruolo importantissimo non solo nell’economia urbana, per i volumi di soldi che fa girare, ma anche nell’economia rurale, grazie alla creazione di attività da parte delle “giovani pensionate” e nuove imprenditrici. Ciononostante la prostituzione è ancora illegale in Cina, e pesantissime pene sono previste per chiunque sia coinvolto in una simile attività. Come tante cose in Cina, è vietata ma si può fare, con discrezione.
Pechino da questo punto di vista è piuttosto tranquilla. Nel 2001, un enorme scandalo fece tremare gli alti livelli del Partito: il proprietario di un famoso karaoke, ospite di importantissime figure istituzionali, aveva pensato bene di installare telecamere ovunque come assicurazione per il futuro. Dalla sua posizione, poteva ricattare chiunque. La cosa finì male, e alla fine di quell’anno i filmati dei papaveri di Zhongnanhai in compagnia di giovani ragazze finirono negli uffici dei più importanti media. La prostituzione, beninteso, è considerata normale ma se ne può parlare solo in ambienti molto intimi e tra uomini – un atteggiamento tipicamente asiatico. Lo scandalo fu immediato, la reazione politica violenta, tante teste saltarono e da allora a Pechino la prostituzione è molto più attenta in quello che fa. Ce n’è quanto prima, senza dubbio, ma non viene più spiattellata in faccia ai passanti, come ancora avviene a Shenzhen, a Xi’an, a Shenyang.
A questa regola esiste un’eccezione – Sanlitun. Perché tanto lì sono laowai, come si fa a correggere quei viziosi? E’ una battaglia persa in precedenza. Come? Anche i cinesi ci vanno a Sanlitun? E i cinesi sono i clienti principali delle xiaojie? Non è possibile, vi sarete sbagliati. Le signorine sono lì per i laowai, poi non è che la polizia può controllare tutto…
“Halooo ssi! Sekesi sekesi leidi ba… aah, masaji fu yuo, pulisa hewa luka!!!”
Va detto che, in una cultura dove la moglie è l’angelo del focolare e dedita in tutto e per tutto all’uomo, in cui le relazione extramatrimoniali quando scoperte finiscono in omicidio, in cui il sesso pre-matrimoniale è mal visto, in cui una gran parte della popolazione delle grandi città è composta da emigrati che tornano dalla famiglia una o due volte l’anno, e in cui l’etichetta impone che al cliente si paghi non solo la cena, non solo l’alcool, ma anche la compagnia, la prostituzione è una necessità più che un piacere.
Poiché a puttane in Cina ci vanno praticamente tutti i maschi, i servizi di prostituzione variano in modo significativo secondo il reddito della clientela. I migranti vanno in piccole botteghe di periferia, mascherate da parrucchieri o saloni di bellezza, illuminati da luci al neon rosa o violette, quelli che gli italiani chiamano familiarmente “prontopompa” o “prontosega”. Nel retro ci sono alcove con poltrona in cui i vari servizi vengono offerti per prezzi che variano dai 50 ai 200 kuai. Poi ci sono i veri e propri bordelli, con tanto di camere – buie e sudice per i meno abbienti, enormi, con frigobar e televisione al plasma per chi può permetterselo. Ci sono poi le saune, con i loro servizi di massaggio e cura della pelle. E i karaoke, ideali per gli incontri d’affari, dove una volta prenotata una saletta privata, una decina di ragazze si presentano in fila e i clienti le scelgono, con possibilità di mandarle tutte fuori e farne rientrare un’altra decina. E qui i prezzi vanno su, dai 300 fino ai 1000 kuai o più, soprattutto se la ragazza è mongola, russa o comunque esotica.
Quello che stupisce gli occidentali non è tanto la diffusione del fenomeno e l’assoluta normalità con cui gli uomini cinesi ne parlano – per loro andare a puttane è normale quanto andare al ristorante o in piscina – ma è l’attitudine che c’è. Le ragazze sono di compagnia, chiacchierano, scherzano, bevono col cliente, cantano al karaoke, giocano a dadi, massaggiano. Il rapporto sessuale non è scontato, si paga a parte e tante volte non viene nemmeno richiesto dal cliente. Quel che i cinesi cercano è la compagnia di una bella ragazza che li faccia sentire uomini. E per questo pagano dei prezzi che, confrontati al loro stipendio, sono folli.
Le ragazze che esercitano sono tipicamente bellezze venute dalla campagna. Abbandonato il loro misero impiego di operaia, maestra elementare, cameriera, prendono il treno per la città e cercano direttamente lavoro in uno dei tanti locali dell’industria – karaoke, sauna, prontopompa. Guadagnano bene, molto bene, per quel che fanno. Non sono schiave, ma impiegate di alto livello. Pulite, coscienti, controllate, spesso svolgono la loro attività per qualche anno, poi tornano a casa nella campagne e con i risparmi che hanno accumulato aprono un negozio, un ristorante, una piccola azienda. Belle e ricche, non hanno difficoltà a trovar marito, un marito buono e fedele che esegua i loro ordini come si conviene. Viaggiando nelle campagne cinesi, non è raro incontrare questi personaggi, che si riconoscono molto facilmente dall’atteggiamento aggressivo e dominante, diametralmente opposto a quello delle ragazze tradizionali.
La prostituzione ha così un ruolo importantissimo non solo nell’economia urbana, per i volumi di soldi che fa girare, ma anche nell’economia rurale, grazie alla creazione di attività da parte delle “giovani pensionate” e nuove imprenditrici. Ciononostante la prostituzione è ancora illegale in Cina, e pesantissime pene sono previste per chiunque sia coinvolto in una simile attività. Come tante cose in Cina, è vietata ma si può fare, con discrezione.
Pechino da questo punto di vista è piuttosto tranquilla. Nel 2001, un enorme scandalo fece tremare gli alti livelli del Partito: il proprietario di un famoso karaoke, ospite di importantissime figure istituzionali, aveva pensato bene di installare telecamere ovunque come assicurazione per il futuro. Dalla sua posizione, poteva ricattare chiunque. La cosa finì male, e alla fine di quell’anno i filmati dei papaveri di Zhongnanhai in compagnia di giovani ragazze finirono negli uffici dei più importanti media. La prostituzione, beninteso, è considerata normale ma se ne può parlare solo in ambienti molto intimi e tra uomini – un atteggiamento tipicamente asiatico. Lo scandalo fu immediato, la reazione politica violenta, tante teste saltarono e da allora a Pechino la prostituzione è molto più attenta in quello che fa. Ce n’è quanto prima, senza dubbio, ma non viene più spiattellata in faccia ai passanti, come ancora avviene a Shenzhen, a Xi’an, a Shenyang.
A questa regola esiste un’eccezione – Sanlitun. Perché tanto lì sono laowai, come si fa a correggere quei viziosi? E’ una battaglia persa in precedenza. Come? Anche i cinesi ci vanno a Sanlitun? E i cinesi sono i clienti principali delle xiaojie? Non è possibile, vi sarete sbagliati. Le signorine sono lì per i laowai, poi non è che la polizia può controllare tutto…
“Halooo ssi! Sekesi sekesi leidi ba… aah, masaji fu yuo, pulisa hewa luka!!!”