2007-04-02

Decentramento

Uno dei luoghi comuni più sbagliati sui cinesi è che siano un popolo organizzato. Sono docili, sì, non litigano come facciamo noi per ogni cosa, non si innervosiscono e per questo mantengono in essere la loro complicatissima società e burocrazia senza che il tutto esploda in una rivoluzione violenta ogni mese. Ma non sono organizzati.

In effetti venendo a contatto con una struttura organizzativa cinese ci si rende immediatamente conto di due cose: la gerarchizzazione estrema e la mancanza di comunicazione tra i soggetti. In pratica il vertice dovrebbe al corrente di tutto e controllare tutto: delegare ad alcune persone sotto di esso le varie attività, e queste persone fare rapporto periodicamente al centro, e ad esso riferirsi per tutte le decisioni importanti. Questa struttura potrebbe essere efficiente in una famiglia di qualche decina di persone, ma non in grandi aziende o amministrazioni statali. Quel che accade è che, in organizzazioni estese, i rapporti tra soggetti si perdono nel mare dei numeri, e tutto rimane paralizzato dalla mancanza di fogli, timbri e firme.

La Cina, al contrario di quello che si pensa generalmente, è lo Stato con il più alto grado di decentramento amministrativo al mondo. Il governo di Pechino emana linee guida e leggi quadro, ma poi sono le Province a rimepire i buchi, e sotto di loro le città e le contee. Il risultato è che gran parte delle norme di diritto civile e commerciale varia a seconda del luogo. Negli anni’ 80 un economista aveva dimostrato che la province cinesi erano più integrate con i mercati esteri che con quello interno, ovvero che siccome ogni contea aveva i suoi dazi e le suo norme, era più facile ed economico per una città vendere alla Svizzera piuttosto che al villaggio 100 km più oltre, se non altro perché la Svizzera aveva una dogana sola, mentre sulla strada di 100 km c’erano almeno 5 posti di blocco appartenenti ad autorità diverse. Ancora oggi la spesa pubblica è diversa da luogo a luogo: anche se il governo pubblica il Piano Quinquennale, che illustra le linee guida della crescita economica, alle autorità locali spetta il 70% del budget pubblico, uno dei più alti al mondo. Senza contare le tasse discrezionali, ovvero 27 diverse imposte che possono essere create “fuori budget” da una qualunque autorità.

E non solo la pubblica amministrazione si comporta in questo modo. Trasferendomi a Pechino, ho una brutta sorpresa: l’ufficio locale della Bank of China non è in grado di accedere al mio conto, nemmeno per dirmi quanti soldi ho, perché il suddetto conto è stato aperto all’ufficio di Shanghai. 没有关系, dicono, non c’è relazione. Ma siete o no la Bank of China, è la stessa banca, no? Sì, mi dicono, ma li uffici sono diversi, così diversi che se non torno a Shanghai non posso nemmeno trasferire i miei soldi dal conto vecchio a quello nuovo. Una volta a Shanghai, devo peraltro compilare un modulo di pagamento a me stesso, perché il trasferimento da un conto all’altro per filiali diverse non è previsto.

La situazione mi ricorda inequivocabilmente il feudalesimo di Carlo Magno, quello che si studia alle elementari. Il Re sopra, poi i duchi, i conti, i baroni, vassalli e valvassori. Ci si parla solo dall’altro al basso, non ci sono rapporti tra pari. E’ un mondo di privilegi e scatole chiuse dentro cui nessuno può guardare, e anche i pochi che potrebbero non guardano per pigrizia. Solo che trovarmi davanti al feudalesimo di Carlo Magno nel XXI° secolo mi fa strano non poco.

Questa situazione di decentramento è vera anche per il settore privato. Prendiamo l’azienda partner di quella per cui lavoro in quel periodo. 16.000 dipendenti, sede centrale a Nanchino, proprietà unica del signor Zhu, 15 anni fa comune macellaio dell’Anhui, oggi ventisettesimo uomo più ricco della Cina. Esiste una divisione per le carni fresche e le carni trattate, che non si parlano e hanno due general manager separati, rispettivamente il signor Bi e un altro signor Zhu, parente del titolare, ma più giovane. Quella delle carni trattate è divisa in parte produttiva, con una decina di fabbriche sparse per la Cina, che rispondono diettamente al capo di Nanchino, il signor Zhu minore. Poi il marketing, che sta solo a Nanchino e parla solo con Zhu minore e i suoi assistenti. Poi c’è l’ufficio commerciale, diviso tra grande distribuzione e food service, ancora due strutture parallele con capi che riportano a Zhu minore. Gli uffici commerciali sono sparsi per tutta la Cina: ognuno ha un responsabile che riporta a uno dei due manager commerciali di Nanchino.
Fin qui nulla di strano, senonché né i vari responsabili locali, né i manager di Nanchino, né Zhu minore o i suoi assistenti, hanno un indirizzo e-mail. La maggior parte non ha nemmeno un computer, che del resto non saprebbe usare.
Zhu maggiore non si vede mai. Zhu minore, i suoi assistenti, e i manager della sede centrale di fatto passano la loro vita a viaggiare in treno o automobile (l’aereo costa troppo) da un capo all’altro della Cina, solo per incontrare i responsabili e farsi raccontare come vanno gli affari. Esattamente come, nell’800 d.C., faceva Carlo Magno con i suoi vassalli.
E questa è l’azienda leader nel settore della carni in Cina, anno del Signore 2007.

Con questo, vi siete fatti un’idea del mostro burocratico con cui devo confrontarmi ogni fottuto giorno, che io stia al lavoro, vada in banca o usufruisca di un servizio pubblico.

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