2007-12-08

Il Grande Freddo

Pechino, contrariamente a quanto si creda, non è una città fredda. La sua latitudine è la stessa di Napoli, Barcellona, Istanbul, e se è per questo ache di New York. Per la maggior parte dell’anno Pechino è più calda che un qualsiasi posto in Italia, con primavere precoci e autunni tardivi. Essendo però affetta da un clima continentale, ed essendo direttamente confinante a Nord con il deserto del Gobi, e oltre con la Siberia, senza quasi nessuna barriera naturale del mezzo, c’è un momento in cui il Freddo arriva, e quando arriva, arriva duro. Quel che rende Pechino fredda è il vento. Arriva da Nord, come un rasoio, portando spesso con sé della sabbia, e in una notte abbassa la temperatura di dieci gradi. Ci si sveglia una mattina, e fuori c’è un sole meraviglioso; gli alberi però sono piegati, e le finestre, tutte le finestre di Pechino apparentemente, ululano come banshee, vuoi per superficialità nella costruzione, vuoi perché il vento che c’è qui non è un vento comune.

Ci si accorge della differenza, comunque, solo nel momento in cui si varca la porta di casa, e una folata ci sposta di mezzo metro congelandoci una metà del corpo. Fa freddo, ma tanto freddo. Così freddo, che uno non ci crederebbe nemmeno. Eppure è così. La temperatura normalmente è sui -5 gradi, ma spesso e volentieri dopo il tramonto scende a -10, con punte di -15 e -20 nelle nottate più fredde. Non è un freddo che vedi, perché la totale mancanza di umidità impedisce alla brina di imbiancare i prati e ai ghiaccioli di formarsi sui rami degli alberi. Sembra una normalissima giornata, a vederla. Il Freddo pechinese è un freddo che si sente e basta.

Camminando per strada, provi pietà per quei poverini costretti a stare all’aperto, come i bao’an, i guardiani, intabarrati nei loro giacconi imbottiti color verde militare o grigio scuro; o i venditori ambulanti, con i loro colbacchi in testa, le falde tirate giù a coprire le orecchie. Cammini e fai fatica, spinto dall’aria inclemente e appesantito dal montone, dai guanti, dal cappello, dagli scarponi, e dalla maglia di lana e da quell’indumento che mai avreste pensato di indossare, il maoku, una calzamaglia di lana pesantissima che è l’unica possibilità di sopravvivenza in un clima del genere. I pechinesi la portano da ottobre a marzo, voi giurate a voi stessi di metterla solo se necessario, ma meno di 30 giorni non ne potrete fare a meno, se dovete stare all’aperto più di dieci minuti per volta. Ed è allora, con questo sforzo sovrumano nel deambluare, che ci si rende conto che la lotta dell’uomo contro la natura non è ancora finita, e che l’Inverno può far paura.

E’ in quei momenti in cui la consapevolezza della propria fragilità davanti al mondo fa capolino che, stranamente, ci si sente vivi. E anche questo è uno dei motivi per cui amo Pechino.

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