2007-06-29

Voglia di Piccante

A metà ottobre l’autunno arriva a Pechino. Anche se il sole non si offusca, ma rimane brillante, un’aria fredda spira dal Nord, e la temperatura si abbassa di una decina di gradi. Tempo di indossare un maglione e, la sera, di mettere il piumone sul letto. Cè un bel fresco, benvenuto dopo la gran calura dell’estate. Le finestre non si chiudono ancora, tuttavia: si sta bene, l’aria è secca e frizzante, pare quasi di stare a Milano a fine settembre, belle giornate ventose col sole giallo.

Con il freddo, l’appetito viene stimolato e tutti i piatti troppo pesanti per l’estate vengono riscoperti, con gli odori che escono dai ristoranti. E per chi scrive, il primo freddo dell’autunno di solito comporta un’insana voglia di mangiar piccante. Pechino naturalmente offre una selezione di cucine che soddisfa qualunque gusto: dall’indonesiana alla tailandese, dalla sichuanese alla messicana.

Ci sono due posti che sono i miei preferiti, in questo momento dell’anno. Il primo è il Red Rose Restaurant, scoperto tanti anni fa grazie a Yao Qiong: un edificio a forma di moschea dove, all’interno, cinesi si mescolano con stranieri da ogni parte del mondo: americani, indonesiani, pakistani, africani, francesi, e tanti tanti musulmani dall’Ovest della Cina. Il ristorante, oltre ad essere famoso per i suoi yangrouchuan’r, gli spiedini di montone più grossi, teneri e saporiti della capitale, offre spettacoli a tema, dalla musica tradizionale, con qualche influsso internazionale tipo Gypsy Kings (i xinjiangesi, i migliori chitarristi d’oriente, subiscono comunque il fascino dei gitani, i migliori chitarristi d’Occidente), danza del ventre, danza col serpente (ovvero con un pitone arrotolato attorno alle spalle) e, all’occasione, il karaoke di qualche cinese completamente sbronzo. Il tutto a un volume impossibile. La prima volta è pittoresco, la seconda è già fastidioso. Ma la carne di montone, coperta di abbondante cumino, pepe nero e peperoncino, è tanto buona che val la pena di subire lo spettacolo. Il nang, il pane xinjiangese, è divino, ben lievitato e coperto di semi di sesamo. Notevolissime anche le Xinjiang chaocai (新疆炒菜), le verdure saltate alla xingjiangese, ovvero pomodori, patate, peperoni rossi e verdi, cipolle e striscioline di montone saltate nel wok e servite in una salsa di pomodoro speziata. E infine il “latte fritto”, crocchette burrose e fritte da intingere nello zucchero, indeali per concludere in dolcezza una cena invernale.

L’altro luogo che prediligo è il Golden Elephant, un ristorante indiano fattomi scoprire da Vaira e Vikash. Una volta era gestito da Muhammad Yussef, un signore indiano ben distinto, sempre in giacca e cravatta, ma panzone e baffuto come impone lo stereotipo del musulmano arricchito d’India. Ora Muhammad è partito, e il ristorante è gestito da cinesi – il servizio è terribilmente scaduto, ma il cuoco non è cambiato, e il Rogan Josh, il montone al curry del Kashmir, come lo mangiate lì non lo mangerete altrove. Anche qui la carne è tenerissima e il piccante del curry è delicato come non mai. Anche qui il naan, versione indiana del nang, è fantastico, insieme agli altri pani come il paratha e il roti. Notevole il classico pollo tandoori, servito a rischiesta con uno spicchio di limone che ne esalta il gusto di brace.

Poche cose sono piacevoli quanto starsene in un ristorante familiare a mangiar piccante mentre fuori fa freddo, e sapere che il conto è così abbordabile che ci si può permettere di mangiar qui a volontà senza sentirsi in colpa. La compagnia di un buon amico, una birra come si deve o un bel bicchier di rosso, e l’inverno in arrivo non fa più paura. Ci si accende una zhongnanhai a cena finita e si aspetta placidi, pigri e sorridenti che il vento della Siberia si scateni su questa città. Avrai anche il gelo e il vento sabbioso dalla tua parte, caro inverno pechinese, ma noi abbiamo i talismani appropriati per tenerti a bada – pepe nero, pepe verde, peperoncino e carne di montone.

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