E’ la prima settimana di ottobre, e in Cina è la Festa della Liberazione, ovvero la festa che celebra la vittoria dei Comunisti su Giapponesi e Nazionalisti. Tutti i cinesi godono di una settimana di vacanza e così Dandan viene a Pechino per passare le vacanze con me. Il tempo è perfetto, non so se per intercessione dei cannoni sparasale del governo o del potere dei draghi, ma poco importa: ci sono sole brillante e una bella brezza fresca che stempera il calore.
Casa è ancora piuttosto spoglia, e siccome Dandan ha l’abitudine di seminare le proprie cose in giro per l’appartamento, aggiungendo al mio disordine il suo, di comune accordo decidiamo che ci servono dei mobili in più, nello specifico un altro armadio, una scrivania, una libreria e un mobile porta scarpe.
Per mantenere lo stile della poca mobilia che già c’è decidiamo quindi di andare nel luogo dove sono stato con Wang Li e sua moglie. Telefoniamo al numero stampato sul volantino che avevo conservato, e una signora ci dice: “Venite pure, siamo aperti per tutto il periodo delle vacanze, mei wenti!”
E’ così che ci imbarchiamo sulla metropolitana, cambiamo linea a Jianguomen, e dopo circa un’ora scendiamo a una stazione di periferia. Come previsto, lì a pochi metri c’è il bigliettaio che ringhia e spedisce la gente su un jinbei bianco che nemmeno in Iraq ne hanno di così scassati. Faccamo il biglietto, lascio a Dandan la discussione sulla fermata, paghiamo un kuai e ci accomodiamo in fondo, ammirando tutti gli strani personaggi che abbiamo attorno. Il mezzo si riempie abbastanza in fretta e corre lungo una grande strada diritta, con il bigliettaio che spinge giù i passeggeri se devono scendere o li tira su se vogliono salire, il tutto ovviamente senza mai fermare il taxi bus.
Il jinbei lentamente si svuota, e finalmente arriva la nostra fermata. Forse perché sono straniero, il taxi bus questa volta ferma e ci fa scendere comodamente, poi inverte la marcia e va via. Siamo io e Dandan su questo stradone di periferia, sotto il sole, davanti a una fila di attività che comprendono quattro meccanici, un ferramenta e un grande magazzino con l’insegna gialla e blu, in perfetto stile svedese. Piccolo particolare, le porte sono chiuse con una catena e un bel lucchetto da bicicletta, le vetrine sono coperte di polvere come se non fossero state lavate per settimane, e l’interno è assolutamente vuoto se si eccettuano pezzi di macerie casuali. Mi torna in mente il mei wenti della donna la telefono.
Per fortuna sulla porta è attaccato con lo scotch un foglio su cui qualcuno ha scritto, a mano “Se avete bisogno di qualcosa chiamate il seguente numero” che poi è quello che appunto ci aveva assicurato che il negozio era aperto. I meccanici ci guardano come se fossimo alieni, qualcuno scuote la testa, altri ridono. Attorno non si vedono taxi, fermate di bus o qualsiasi altro mezzo di locomozione utiizzabile. Siamo sperduti nella periferia sotto il sole, e quelli se la ridono di noi.
Dopo tanto tempo in Cina ho imparato a non farmi prendere dalla rabbia o dallo scoramento. Chiamiamo ancora questo numero di prima e vediamo cosa dicono:
“Tuut... tuut... tuut... pronto?” risponde la stessa donna di prima.
“Buongiorno, voleamo chiedere un’informazione. Abbiamo già chiamato un paio d’ore fa per sapere se siete aperti... voi ci avete detto di sì... solo che ora siamo qua davanti al vostro negozio e non ha un’aria per nulla aperta”
“Aahhh, siete arrivati finalmente!” dice la donna “Mei wenti! Aspettate un secondo che mando qualcuno a prendervi!” e mette giù.
E va be’, aspettiamo. In queste situazioni una vota mi sarei incazzato da morire, ma ora scuoto le spalle e aspetto. Per ogni cosa c’è una spiegazione, basta avere pazienza e cercarla. Eccolo che arriva, dopo qualche minuto, il nostro uomo, in sella a un grosso e rombante triciclo a motore tutto giallo e blu, con una bella bandiera svedese sul manubrio. Quando ci vede agita la mano: “Adesso vi porto direttamente al magazzino centrale, dove c’è molta più scelta!” dichiara orgoglioso. Il che tradotto in forma esplicita significa che l’IKEA deve aver fatto problemi alla loro azienda e quindi hanno spostato lo show room dalla strada principale a una location molto meno visibile. Infatti l’omino, dopo averci fatto montare sul retro, coperto da una tenda gialla blu, inverte la marcia e si infila in una stradina costeggiata da fossi e pioppi. Il “magazzino centrale” sta lì a due minuti coperto da un filare d’alberi e un paio di costruzioni di mattoni, esattamente uguale al vecchio show room, con le famiglie cinesi che esaminano i mobili e le venditrici che cercano di imbastirle sulla qualità e sul prezzo ottimi.
C’è tanta roba, dai mobili nuovi in stile vecchia Pechino a letti viola con coperte zebrate e sedie acidissime a forma di mano. Troviamo facilmente i mobili nel nostro stile e cominciamo ad elencare quelli che vogliamo chiedendo i prezzi. Ci sono in due colori, legno chiaro e legno scuro, e a noi serve il secondo, che però non è disponibile.
“Vorremmo questo tipo di armadio, ma con il colore di quell’altro armadio”
La venditrice scuote la testa: “Mei you, non c’è, non è disponibile”
“Lo vedo che non c’è, ma fatemelo arrivare. Ordinatelo alla fabbrica da cui lo comprate”
La ragazza sembra confusa: “Signore, mi spiace, ma guardi che l’armadio come lo vuole lei, ma dell’altro colore non c’è... “ ci pensa su un po’ “Non esiste” conclude.
E’ tipico dello staff puramente esecutivo in Asia, nelle situazioni impreviste, trovare una scusa gentile per sottrarsi alla responsabilità di dover pensare o dire qualcosa oltre le istruzioni che si sono ricevute. Nello specifico, la proprietaria ha detto alla ragazza di vendere i mobili che ci sono nello show room, ma siccome il mobile che voglio io non c’è, lei non me lo vuole vendere.
“Allora” spiego con pazienza “Questi sono mobili modulari. Ci sono tre modelli di armadio e due colori disponibili. Questi mobili sono costruiti per la maggior parte con gli stessi pezzi, per cui se esiste un mobile a cassetti chiaro, la fabbrica ne produce anche uno scuro, basta cambiare il colore dei pezzi. Guarda: scrivania chiara, scrivania scura, tavolo chiaro, tavolo scuro. Questo è l’armadio che voglio, ma trovami quello dell’ALTRO colore.”
La ragazza annuisce ma non ha capito nulla. Facciamo chiamare la responsabile del negozio, che senza essere una cima comunque dà l’impressione di aver capito la mia logica, anche se non è sicura che sia così. “Lo so che tutti questi mobili li fanno in due colori, ma magari quelo che vuoi tu lo producono solo in colore chiaro” spiega.
“Va bene” dico “allora dì alla fabbrica di prendere questo armadio, togliere questo pezzo che vedi qui e aggiungere quest’altro che vedi là, e farmelo avere. Perché vedi, se i pezzi già ci sono, vuol dire che la fabbrica può metterli assieme. Se hai qualche dubbio ancora, per favore... per favore... non esitare a chiamare il tuo capo in fabbrica. Sicuramente saprà cosa fare ”.
Finiamo di discutere il prezzo: un armadio, un porta-scarpe, una scrivania e una libreria coordinati, 900 kuai. Se ci aggiungiamo altri 100 kuai ce li consegnano a casa dall’altra parte di Pechino. Mi viene da ridere mentre pago, ma dove li trovi dei mobili uguai a quelli IKEA a questo prezzo? E poi dicono che IKEA costa poco... prova a guardare il reale costo di produzione di quello che compri!
I mobili arrivano come promesso un paio di giorni dopo. I due omini delle consegne riescono a trovare casa mia alla seconda telefonata, il che è un record positivo finora, si mostrano gentilissimi e mi aiutano a portare tutto quanto nell’appartamento. L’armadio è arrivato del colore giusto, anche se a guardarlo bene è una tonalità leggerente più scura dei mobili che ho già. Ma se uno prova a crederci, può dire che è un mobile di vero legno fatto a mano è unico e non replicabile, e far finta che non sia legno pressato con una mano di vernice chimica mischiata a cazzo al momento dal falegname. Si apre, si chiude, ed è anche bello da vedere. L’aiyi arriva il pomeriggio stesso e le facciamo lavare il tutto per rimuovere lo strato di polvere chimica e sabbia del Gobi che ricopre la mobilia fuori e dentro. E poi eccolo lì, bastano quattro mobili e meno di 100 euro, e s’è fatto un appartamento quasi decente! I vestiti vengono raccolti da terra e infilati nell’armadio, i libri nello scaffale, le scarpe nella scarpiera e le varie candele e statuine di divinità indiane e buddhiste posizionate con riguardo sulla scrivania. L’ordine può ora regnare in questo appartamento, che assomiglia sempre di più a una vera casa.
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