2007-03-24

Taxi Bus

Un mezzo di trasporto peculiare dei Paesi in via di sviluppo, che comunque rimane ancora nella Pechino del ventunesimo secolo è il taxi bus. Un bus percorre un percorso predefinito e chiede il biglietto in base a un tariffario fisso – tipicamente da 1 a 3 RMB. Un taxi segue il percorso preferito dal cliente e applica una tariffa variabile sulla base del tassametro. Un taxi bus è più complicato.

Si prende un pulmino, tipicamente un miandi bianco, con i sedili slabbrati, i finestrini unti, bloccati e/o rotti, e con una marmitta che sputa fumo nero che nemmeno una ciminiera. Lo si parcheggia in un luogo dove passa molta gente, di solito una stazione della metropolitana della periferia. Ci si mette di due: uno guida, l’altro fa il bigliettaio. Il bigliettaio si mette sul marciapiede in mezzo al flusso di persone, e più è rozzo meglio è: d’estate sta a dorso nudo con la maglietta sulle spalle a mo’ di straccio per il sudore; d’inverno con un montone dell’ante-Liberazione riparato in più punti, ma non in tutti; l’importante comunque è che sappia urlare in beijinghua’r (ovvero dialetto pechinese), scandendo la generica direzione del bus e attirando i potenziali passeggeri. Il passeggero interessato si avvicina, descrive al sua meta, e il bigliettaio risponde con un grugnito e una mano tesa a chiedere un kuai, oppure con un grugnito e una mano agitata in segno di negazione. Nel primo caso il passeggero sale, e il bigliettaio ricomincia a gridare, o ringhiare, la destinazione agli altri passanti. Dopo un tempo che va dai dieci ai trenta minuti il pulmino s’è riempito, e allora si parte. Mano a mano che i passeggeri scendono, il bigliettaio cerca di tirarne su altri per sfruttare tutti i posti disponibili: quando si passa un crocchio di persone l’autista decelera, il bigliettaio apre la portiera (se c’è), si sporge e urla la destinazione; se qualcuno si mostra interessato, si ripete la scena di prima, e caso mai il passeggero sale. In tutto questo, il pulmino non si è mai fermato del tutto. Se una persona è anziana magari ci si ferma, altrimenti il passeggero corre e salta.

Mi capita di prendere uno di questi bus l’ultima domenica di luglio. Ho chiesto ai padroni di casa di vedere i mobili assieme, e dopo una lunga discussione hanno preferito farmeli vedere a catalogo. “No problem, wery guda furnichur!”. Domenica pomeriggio mi chiamano in panico, chiedendomi di andare con loro perché non c’è la camera che hanno visto sul catalogo. Un’ora di Metro fino alla terzultima stazione ovest della linea 1, e poi Wang Li, maglietta da giocatore di basket, pantaloni sopra il ginocchio, scarpe di vernice, calzini di cotone neri tirati su a metà polpaccio e marsupio in spalla, mi invita a salire sul pulmino. La moglie, capelli nerissimi cotonati, vestito di lino blu e gambaletti color fumo, paga per me. Sopra il bus, la folla di personaggi è decisamente varia: di fianco a me uno studente che vorrebbe essere cool: jeans di tre taglie in più, una delle gambe arrotolata fino al ginocchio, capello lungo e laccato, cellulare all’orecchio con musica pop cinese a palla, cicca e borsa finto militare che usa anche per asciugarsi la bocca e il naso. Più avanti, la classica vecchia massaia cinese: vestiti lavati tante volte con detersivi chimici che i colori si sono fusi e ormai si fa fatica a distinguere maglietta da pantaloni, gambaletti color carne, ciabatte, capello corto e sguardo apatico, seduta in un angolo a gambe larghe. Ragazza alla moda, capello laccatissimo, un etto di cerone bianco in faccia, grassottella, unghie delle mani ognuna di un colore diverso e brillante, quelle dei piedi tutte azzurre, ciabatte, lettore mp3, sguardo annoiato. Musulmano arricchito, faccia cinese, pelle scurissima, baffo nerissimo, polo blu scuro a righe, pantaloni neri, scarpe di vernice impolverate, calzini di cotone bordeaux, unghia del mignolo lunga un centimetro, e il suo status symbol: un bastone in legno scuro con pomello di finto oro. Ci si appoggia orgoglioso, lo fa girare in mano, lo guarda incantato, e se lo tiene ancora incartato nella sua plastica, se no mica si capisce che è nuovo. E’ contentissimo.

Fuori dal finestrino scorre Pechino ovest, con i suoi vecchi edifici circondati da alberi, il distretto di Fengtai dove i grattacieli e i mall di Chaoyang non sono ancora arrivati. Si respira un’aria diversa qui. Arriva il momento della discesa: il negozio di mobili. Tutto copiato da Ikea ma a metà prezzo. In questi posti, forse, con il taxi o il bus normale non ci si arriva.

Nessun commento: