Da mesi non riesco a dormire bene, e stamattina mi sveglio alle otto e mezza, con la parete che vibra ai suoni di un martello pneumatico nell’appartamento adiacente. E’ solo alle dieci e mezza che il rumore la vince e mi scuote dal mio sonno. Non è lo stesso posto dove mi sono svegliato altre volte: il rosa della camera è più rosa, la luce più luminosa, al suono dei lavori in corso si aggiunge quello delle cicale d’agosto. Sono a Pechino. Nel mio appartamento di Pechino.
Sono tre anni che cerco di tornarci a vivere, ed eccomi qui. Ho una ragazza che sta dall’altra parte della Cina, un lavoro che sto cercando di lasciare, non vedo l’Italia da sei mesi e ho tante cose da fare che l’idea stessa di dormire una volta almeno otto ore è utopica. Gli scatoloni del trasloco non sono ancora arrivati. Lavo il posacenere e ci verso dentro il latte comprato ieri sera alle due al ventiquattr’ore; un panino al cioccolato di pasticceria finto francese; succo di pompelmo e Yakult. Fuori dalla finestra le cicale cantano assordanti e il loro suono si confonde con quello dei trapani. Gli alberi sono antichi e verdi, e coperti d’edera come le case. Per cinquanta metri, ricado all’interno di Dongcheng, la parte orientale della vecchia Pechino degli Yuan. Al di là di un centro commerciale in costruzione, stavano le mura erette dai Khan.
Qualunque cosa succeda, adesso sono qui. Oggi celebro la mia vittoria, e posso dire di essere felice.
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