Uno degli shock culturali più duri che si trova ad affrontare un italiano a Pechino è il pagamento delle bollette. Certo, tanta gente preferisce abitare nei bei compound dove il management parla inglese e tutte le spese sono incluse nell’affitto. Ma chi decide di abitare in una residenza più modesta e meno internazionale non sfugge all burocrazia squisitamente cinese, tanto che pare che dai tempi dei vari ministeri controllati dai mandarini all’insaputa dell’imperatore non sia cambiato nulla.
Jack cerca di spiegarmi, nel suo cinglese malamente formulato, come fuzionano le varie cose. Sembra che ci tenga molto, e anche Wang Li annuisce serio, anche se non capisce nulla di quel che Jack dice. E’ così che apprendo con sconcerto che le cose stanno nel seguente modo:
Il gas che si usa in cucina e per riscaldare l’acqua si utilizza tramite una carta prepagata verde, da inserire nel contatore in cucina. La carta va controllata ogni tot, e quando sta per scaricarsi bisogna recarsi all’ufficio del management di quartiere, un seminterrato inquietante con dei signori che hano l’aria di stare seduti a chiacchierare e giocare a carte tutto il giorno. Loro caricano la carta che va reinserita nel contatore. Se la carta si scarica e non è stata caricata, il gas viene tagliato.
L’elettricità si paga con una carta blu in un astuccio di plastica, e il contatore sta sul pianerottolo. Per qualche strano motivo il management non la carica, ma bisogna andare in banca. Anche questa, se si scarica, blocca la fornitura all’appartamento.
L’acqua non ha una carta: c’è una bolletta trimestrale che viene inviata via posta, e va pagata sempre in banca.
Anche il telefono si paga in banca, ma la bolletta non viene inviata, occorre recarsi ogni mese, tra il 10 e il 25, e dichiarare il proprio numero di telefono per avere il conto.
L’ADSL si paga invece sulla base di una regolare bolletta, questa mensile, solo che non si presenta in banca ma occorre andare all’ufficio più vicino della China Telecom, ufficio di cui peraltro nessuno sembra conoscere l’ubicazione.
Infine c’è il boccione dell’acqua potabile. Qui si telefona al management, ma a un altro ufficio rispetto a quello del gas, e un omino viene inviato a consegnare il serbatoio. Occorre pagare un deposito di 50 kuai per il primo boccione, se no magari qualcuno lo ruba (?).
Mio malgrado mi trovo ad annuire scioccamente, alla maniera cinese, davanti a Jack e Wang Li. “Nessun problema” dico. Davvero nessuno.
A distanza di otto mesi, la situazione è questa: il pagamento del gas è stato trasferito dal management di quartiere alla banca, ma non una qualunque, solo la Bank of Beijing, che è quella più lontana da casa mia. Il contatore dell’elettricità non è mai sceso di una virgola, 205 “punti” come ad agosto: secondo Wang Li è perché il palazzo è nuovo, quindi la società elettrica ha fatto gli allacciamenti ma non ha ancora effettuato le pratiche per calcolare il consumo (tradotto, sono otto mesi che non pago la corrente e il tutto è perfettamente legale). La bolletta dell’acqua non è ma arrivata, ma finché continua a scorrere nei miei rubinetti non mi preoccupo (ah, la pazienza che si impara in Oriente!). Il telefono si paga secondo le informazioni datemi da Jack, solo che al suo costo viene aggiunto l’ADSL, per cui non occorre andare a cercare la China Telecom. Il boccione dell’acqua pare l’unica cosa che funziona in modo veloce ed efficiente, senonché l’acqua fa schifo, perché sa di amaro o, se si cambia marca, di cloro. L’acqua buona non la tengono perché “costa troppo” e secondo loro non si vende, quindi se la voglio avere devo ordinarla a un’altro management di quartiere cercando di covincere l’omino a fare un pezzo di strada in più per farmi avere acqua decente. Fatica sprecata.
Ancora a nessun cinese è venuto in mente che, forse, sarebbe utile uniformare i pagamenti di questi servizi. Il motivo? La feudalizzazione e il decentramento amministrativo. Cercheremo di approfondire l’argomento nel prossimo post.