2007-07-26

Domenica Pomeriggio d'Inverno

E’ il 4 novembre, e mi sveglio non con il rumore dei trapani e dei martelli, ma con quello del vento. E’ una splendida giornata autunnale, e il sole brilla in un cielo blu zaffiro. E’ mezzogiorno e mezzo, e mi godo la pace della domenica. Wang Li passa a prendere l’affitto dei prossimi tre mesi e si informa su eventuali problemi della casa, che fortunatamente al momento non ci sono. Quando se ne va guardo un DVD, e poi finalmente mi scuoto dal mio torpore domenicale e decido di uscire, spinto più che altro dalla fame e dalla mancanza di voglia di cucinare. La ragazza dell’ascensore mi avverte: “Oggi fa freddo”; ma capisco solo quando esco e una folata di vento gelido mi graffia spostandomi di qualche centimetro. L’odore e la luce del sole al tramonto mi portano alla memoria ricordi lontani di una gita a Perugia e una vacanza in montagna. Ma qui siamo in pianura, diamine.

Cammino controvento, e decido di tentar la fortuna al ristorante del Xinjiang che sta all’entrata degli hutong vicino casa. Costa poco e si mangia bene. Dieci minuti dopo ci sono, il ristorante con accanto alla porta un fornello di metallo la cui canna fumaria è sbattuta dal vento, e sui cui carboni fiochi c’è una teiera di metallo a scaldare. Sposto le pesanti fasce di plastica che bloccano l’entrata al freddo. Nel ristorante ci sono due persone, una donna cinese e un ragazzo occidentale. Mi dibatto nel dubbio di ordinare o meno a loro, finché la donna mi chiede che voglio, “Quattro yangrouchuan’r e un naan”. La donna, sempre seduta, urla l’ordine verso una porta, e dalle cucine risponde una voce di ragazza che va subito a preparare le mie cose.

Mi siedo con loro, tanto il ghiaccio è già rotto. Il ragazzo, David, è francese e abita in una appartamento nell’hutong; sta chiacchierando con una vicina di casa, la signora Yin (), che è una vera e propria attrazione. Davanti a loro hanno una teiera fumante e un piatto con due pannocchie bollite e ormai mangiate.

Anche la signora Yin abita nell’hutong, e visto che mi sono seduto al suo tavolo decide che deve raccontarmi tutto su di lei e lamentarsi di ogni cosa che le passa per la mente. Nel suo appartamento non c’è il riscaldamento, quindi lei viene tutti i pomeriggi al ristorante, ordina una pannocchia, e poi ci passa le ore a chiacchierare e scaldarsi con le mani sulla teiera bollente. E’ una vecchia pechinese, tipicissima. Si lamenta del freddo; si lamenta che i cinesi sono troppi; si lamenta degli immigrati dello Hebei; quando scopre che ho vissuto a Shanghai si lamenta di Shanghai, di quanto sono antipatici i suoi abitanti e quant’è stucchevole il cibo. Mi chiede dove abito ora e quanto spendo di affitto, solo per commentare che l’appartamento in cui vivo è troppo grande per me e comunque costa troppi soldi. Conclude dicendo al cameriere, un ragazzo xinjiangese di una quindicina d’anni, che è un ciccione, e poi ne chiede conferma al francese che annuisce con un sorriso imbarazzato.

Però questo suo lamentarsi di tutto e tutti è controbilanciato dalla sua generosità: “Vieni a casa mia, ti insegno a cucinare i piatti di Pechino”; “Chiamami quando vieni ancora qui: mi trovi tutti i pomeriggi, se non mi trovi di’ al cameriere di venirmi a chiamare, che abito proprio di fronte; e poi ci facciamo una bella chiacchierata e ti insegno il cinese come si deve”; “quando vengono i tuoi genitori glielo insegno io il cinese, gli parlo ogni giorno, li porto anche in giro a vedere Houhai e la Città Proibita”. E via con gli inviti, ogni occasione è buona per offrir favori e servizi. Mentre lo fa mi versa da bere, e io cerco di capire la sua parlata pechinese piena di erre arrotate.

Il sole, nel frattempo, tramonta. Attraverso il vetro del ristorante si vede la gente passare, il fruttivendolo indaffarato a servire clienti, il ragazzo addetto al fornello che esce per attizzarlo e rientra strofinandosi le spalle per il freddo. Un altro che sta fuori e cammina avanti e indietro parlando al cellulare.

“Mi sa che devo andare” dice David.

“E andiamo tutti allora” dico io, pagando i miei 6 kuai di conto.

La signora Yin saluta, rinnovando tutti i suoi inviti a venire a trovarla e a chiamarla se non la trovo al ristorante. Nella strada scura la luna piena brilla come un faro, illuminando la città che è ancora piena di auto e biciclette. Un ragazzino perde il cappello mentre va in bici e io glielo raccolgo. “Grazie” mi dice imbarazzato dallo straniero.

Via, si torna a casa. Anche per oggi s’è passato il pomeriggio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ho trovato la tua giornata veramente semplice e piena di cuore....Che invidia!!!!