Pechino è una città che impigrisce la gente. Non mi è ben chiaro il perché. Sarà che l’atmosfera è così rilassata, che quando scende la tensione del lavoro, uno ha solo voglia di vegetare beatamente. Sarà che la città è grande, e a volte per vedere un amico tocca prendere un taxi e fare chilometri e chilometri. Sarà che, specialmente d’inverno, il freddo e il grigio della città non invitano certo ad uscire di casa. Sarà che i DVD costano poco e sono di buon qualità, e diventano spesso e volenteri una droga che costringe le persone incantenate al divano a fissare lo schermo della TV fino a orari improponbili. Sarà che, per chi non parla cinese, ogni tanto doversi confrontare col mondo che sta oltre la soglia di casa può rappresentare uno stress pauroso. Sta di fatto che, per uno che è abituato a Milano e ha vissuto a Shanghai, è strano scontrarsi con la resistenza all’attività della gente che vive qui.
Al mio arrivo, Patti mi aveva avvertito: “Attento, qui a Pechino è fin troppo facile impigrirsi e non uscir più di casa”. D’instinto avevo pensato a Massimiliano che, nelle ultime settimane della nostra prima permanenza a Pechino, era piombato in un’inattività da cui non c’era verso di scuoterlo, quasi ogni sera chiuso in camera a guardare film di guerra. Quanto aveva ragione, Patti.
Spesso e volentieri mi trovo a scorrere la lista dei miei contatti sul cellulare, a fare maratone di telefonate a tutti quelli che conosco.
“Ciao, che fai stasera?”
Le risposte più tipiche sono:
“Sono stanco, ho lavorato come un matto tutto il giorno. Ceno a casa e vado a letto”
Oppure:
“Vado a casa di un amico, che c’è una cena per pochi intimi. Ma non faremo tardi, dopo cena tutti a casa propria”
Oppure:
“Vado con il mio coinquilino al ristorante sotto casa... no, andare più lontano non ce la faccio”
Anche se uno esce da solo in settimana, se non sa dov’è La Festa quel giorno, la maggior parte dei posti sono morti, tranne quelli dove ci si ubriaca, che a Pechino funzionano sempre. E comunque uscire da soli e con la fidanzata lontana è farsi del male, si finisce solo circondati da ragazzine sognanti nel migliore dei casi, se no da zoccole. Sai che attrattiva...
Ma mi rendo conto che anche io mi sto impigrendo, e declino inviti che non considero in linea con i miei interessi. Qualcuno mi invita a ballare latino-americano, qualcuno a fare giocoleria, qualcuno a una serata da sfascio a base di alcool economico e hashish. No, grazie, oggi proprio no. Ma la verità è che Pechino sta impigrendo anche me, in parte. Non sono più flessibile come una volta, non esco per uscire, ma solo se qualcosa smuove in modo particolare il mio interesse. Passo le serate davanti al computer o al DVD, esco solo per concerti o se si va nella città vecchia tra gli hutong. Sanlitun mi mette di cattivo umore. A Nuren Jie, due chilometri più in là, non sono mai stato perché è troppo lontana, ai confini del mondo. E’ una pigrizia principalmente mentale, la stessa di cui soffrono gli altri.
In effetti la gente qui diventa abitudinaria. Chi va al Browns raramente va a ballare in un altro posto. Chi va allo Yugong Yishan non entra mai al Nanjie che sta di fianco. Sono “quelli che”. Quelli che vanno al Bookworm, quelli che vanno al China Doll, quelli che vanno al Propaganda. Dal loro posto non li smuovi. Io non lo so bene a quale categoria appartengo – so il tipo di luogo che mi piace, ma non l’ho ancora trovato. Un luogo rilassato, economico, bohémien, con musica dal vivo di band cinesi e straniere e tanta buona energia.
Lo troverò, ma la ricerca, circondati dalla pigrizia della gente, non sarà facile.
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