La mia prima impressione di Dandan è di stranezza. Il suo viso, la sua struttura fisica, il suo atteggiamento mi lasciano dubbioso, non riesco a catalogarla. Non assomiglia a niente di quello che ho già incontrato prima. Ci si presenta cordialmente, ma con un po’ di diffidenza reciproca, e lei mi chiede dove voglio andare.
“Speravo me lo dicessi tu” scherzo “sei tu la locale”.
“Non so che posti ti piacciono… vuoi un bar, una discoteca… dimmelo tu”
E’ un passarsi la palla al rimbalzo, come se ciascuno non aspetti che le scelte dell’altra per poterla studiare, capire.
“Andiamo in un bar, e vediamo com’è”
E poi c’è un momento, in cui lei parla e io le guardo gli occhi, due occhi piccoli e a mandorla, nerissimi e seminascosti sotto una frangia di capelli castani, in cui capisco che mi piace. Lo capisco perché non la sto ascoltando, le sto semplicemente guardando gli occhi, come li muove, come sbatte le palpebre e lascia vagare lo sguardo attorno.
Quando si fa tardi ci salutiamo, dandoci appuntamento al giorno successivo, per andare a visitare le attrazioni turistiche di Chengdu. Mi addormento pensieroso, incapace di capire questa strana ragazza, e sono così stupito che non ricordo che ho già incontrato una persona che mi ha fatto lo stesso effetto. Succedeva 11 anni prima, e la persona in questione era colei che in questo blog ho chiamato Laksmi.
Il giorno seguente è come se avessimo metabolizzato entrambi lo shock dell’incontro. E’ una splendida giornata di sole, e Dandan mi porta a visitare il tempio di Wenshu, un monastero buddhista antichissimo, circondato da un parco enorme con tutte le varietà di bambù presenti in Sichuan. Due cose mi stupiscono, nella nostra lunghissima conversazione. La prima è che, contrariamente all’abitudine cinese di vantare in modo spudorato le attrazioni nazionali, mi dice che il Panda è un animale sporco, ispido e abbastanza inutile. Il Panda è il simbolo di Chengdu, dove è situato il centro internazionale per la riproduzione della suddetta bestiaccia. Tutti i chengdunesi ci sono stati a osservare il Panda da vicino, lo hanno anche accarezzato e osservato nella sue abitudini, che poi si riducono a nulla più mangiare bambù di giorno e dormire di notte. La seconda cosa che mi stupisce è che conosce la Storia dei posti in cui mi porta, e anzi mi racconta un paio di aneddoti sugli imperatori che non conoscevo. Ora, sebbene qualunque cinese incontrerete si vanterà che la sua civiltà ha 5000 anni di Storia, sarà molto difficile conoscere qualcuno che abbia una minima idea di cosa è successo in questo lasso di tempo. Dandan invece lo sa, ed è particolarmente ferrata su tutto ciò che riguarda la meravigliosa Storia del Sichuan, che poi è la provincia con la Storia più ricca, i personaggi più gloriosi ecc ecc. E’ così che mi rendo conto di avere di fronte una ragazza di un certo spessore: sarà che è sichuanese, sarà che ha studiato in Inghilterra, di fatto in molte cose sfugge all’omologazione culturale del suo Paese.
Ci fermiamo davanti a un baracchino per turisti, una specie di tiro al bersaglio con balestre di legno. Sulla parete è raffigurato sull’attenti un occidentale vestito da ussaro che, con un fumetto in cinese e rudimentale inglese, asserisce di aver inventato le armi automatiche. Alle sue spalle Zhuge Liang (诸葛亮), per i profani un cinese vestito da mandarino che agita in posa plastica un ventaglio di piume, si beffa di lui nelle stesse lingue, vantandosi di aver inventato le armi automatiche con duemila anni di anticipo sullo sciocco laowai. Esageratamente cinese.
Le armi automatiche in questione sono per l’appunto delle rozze balestre dotate di un meccanismo che permette di ricaricare i quadrelli contenuti al loro interno. Diversi cinesi provano a centrare bersagli di paglia da tre metri di distanza, riempiendo di buchi la parete che sta dietro. Il gestore mi indica con aria di sfida, invitandomi a provare. Impugno l’arma automatica e pianto tutti e sette i quadrelli nel bersaglio, uno dietro l’altro. Il gestore pare offeso, e con riluttanza mi consegna il premio, una medaglietta in finto oro raffigurante la dea buddhista Guanyin. Cina-Italia, 0-1.
Dandan mi fa i complimenti, entusiasta, e mi racconta di come suo padre, quando militava nell’esercito, sia stato campione regionale di tiro al bersaglio. La regione, per inteso, è il Sichuan, ai tempi più o meno 60 milioni di abitanti. Cina-Italia 2-1. Chiudiamo al competizione qui, che mi sa che è meglio. D’un tratto, essendo al corrente dell’abilità del padre, mi trovo molto più cauto nel trattare con la mia guida turistica.
Il pomeriggio vola, e con la scusa di provare le prelibatezze locali la invito a cena. Anche qui Dandan dimostra un’ottima conoscenza della propria cultura. Il cibo è ottimo e i sapori incredibilmente complessi. Ci congediamo sul tardi e io torno in hotel, dove incontrerò i miei colleghi cinesi arrivati da Chongqing in corriera. Mentre sto in taxi, penso alla giornata che è passata, e spero di vedere ancora Dandan prima di partire. In effetti, ho già intenzione di invitarla a cena in un ristorante italiano il giorno successivo. In hotel, i miei colleghi sono già andati a letto, e io li imito ben presto, sfiancato dalla giornata.
E’ la mattina successiva che li incontro nella hall, con la valigia in mano.
“Fate già check out?” chiedo stupito.
“Naturalmente!” è la tipicissima risposta che ricevo “Domani mattina visitiamo clienti a Xi’an. Non fai check out anche tu? Dovresti partire stasera! Ho già avvertito che lasci la camera e stavo per prenotarti quella nuova”
Panico. Pensieri veloci e turbolenti. Risoluzione stranamente rapida e decisa.
“Prenderò il primo volo domani mattina, tanto voi in treno prima delle 10 non arrivate.”
Chiedo alla receptionist di estendere la mia camera per una notte, e con una punta di strafottenza, che con i cinesi funziona sempre se si vogliono evitare discussioni sfinenti, chiudo l’argomento,
Lo stesso giorno, alle sei di pomeriggio, i miei colleghi salgono in treno e, finalmente solo, invio un SMS.
“Mi fermo una notte in più. Ti va di venire a cena con me, stasera?”
La risposta è inaspettatamente rapida: “Certo, molto volentieri”
La cena è piacevole e romantica. Facciamo una lunga passeggiata fino al mio albergo, che non è molto distante da casa di lei, e la invito un attimo in camera, perché mi sono rimasti dei prodotti che non porterei a Xi’an, e voglio lasciarli a lei. Accetta la busta e, sulla porta, ci congediamo.
La bacio sulle guance con dolcezza calcolata, poi per un secondo ci troviamo a fissarci negli occhi, sull’orlo di un precipizio. Non sappiamo se ci vedremo ancora, e se ci vedremo non sarà certo prima di molti lunghi mesi. So che Dandan non è il tipo di ragazza da one-night stand. Se la baciassi probabilmente non si tirerebbe indietro, ma a che servirebbe, se non far la figura del playboy o al limite farla soffrire dopo la mia partenza? Gli stessi pensieri ci passano nella mente per la lunghezza di un sospiro trattenuto. Poi lei fa un passo indietro, visibilmente imbarazzata.
“Allora, arrivederci”
“Arrivederci” sorrido.
La vedo andarsene, e chiudo la porta. Forse è meglio che sia andata così. Anzi, è sicuramente meglio. Eppure, qualcosa dentro me mi dice che dovrei inseguirla e baciarla prima di perderla per sempre. Mi lascio cadere sul letto, in preda a emozioni che non provavo da molto tempo, e non so che in quel momento lei, salendo sull’ascensore e schiacciando il tasto del piano terra, prova le stesse cose.
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