2007-01-06

Fiaba Moderna Pechinese

Irene viene da Perugia, come tradisce la sua inconfondibile calata. Da quando è venuta a Pechino, un anno prima, ha cambiato quattro appartamenti, ai quattro angoli di Pechino. L’ultimo si trova nei pressi di Dongzhimen, vicino alla stazione dei pullman che vanno verso Shunyi, perché è lì che finalmente ha trovato lavoro, un lavoro da manager di un’enoteca, il Palette Vino.

Il locale sta al Pinnacle Plaza, il centro della Zona di Sviluppo di Tianzhu dove negli ultimi anni stanno crescendo compounds su compounds di ville all’americana, con due piani, terrazzo, taverna, giardino per il barbecue e chi più ne ha più ne metta. Entro i muri del compound sembra di stare in America – prati tagliati perfettamente, gente sorridente, guardie ovunque. Fuori, la campagna Pechinese buia e polverosa.

A Tianzhu ci sono famiglie con i soldi, ed ecco spuntare supermercati, ristoranti, bar. Irene ne gestisce uno, uno dei più carini a dir la verità. E’ veramente rilassante passarci un pomeriggio a godersi il sole nel patio, o una sera con un bel calice di vino rosso italiano in mano.

Irene è una delle persone che mi sono rimaste più vicine a Pechino, e nonostante sia superimpegnata, lavorando la sera, la sento tutte le volte che sono in città. Una di queste volte, per l’appunto, mi invita al locale per un wine tasting. Ci vado direttamente dal lavoro, ancora in giacca a cravatta.

Mi accoglie Irene tutta elegante e mi presenta i suoi colleghi – il titolare, John, e il giovane Stephan. John è un tipo peculiare – testa completamente rasata, vestiti eleganti, modi sofisticati, ottimo inglese, e occhi sottili sottili da satiro; con il suo naso quasi a punta e il sorriso largo fa venire in mente i dipinti delle orge di Bacco, e il fatto che abbia un’azienda di distribuzione di vini non fa che rafforzare l’immagine. Non pare nemmeno cinese, né dai modi né dai tratti, ma quest’ultima cosa si spiega col fatto che suo nonno era tibetano. Stephan è rosso, tarchiato e con gli occhialini tondi, marcatissimo accento tedesco: la sua famiglia ha una cantina da qualche secolo, lui promuove il suo vino in Cina e collabora con John. Con tono puntuale e preciso illustra le proprietà di una serie di Merlot a una piccola folla di curiosi, che include me, Irene e altri due suoi amici, una ragazza tedesca dai capelli rossissimi e Jason. Jason è un altro personaggio, un cinese del Tenessee. Il che vuol dire pelle gialla, occhi a mandorla e fisico da quarterback. Cosa può fare uno come lui? Semplice: il manager del Top Bar in Sanlitun e l’organizzatore delle feste più malate in città. Si vanta di stare lavorando a uno schiuma party nel suo locale, e a una festa di Sanlitun, che coinvolga TUTTI i bar e si svolga in strada. “Sarebbe fantastico” dice, scuotendo la testa “ma il governo non ci darà mai l’autorizzazione”. Me la immagino Sanlitun all’alba, un campo di battaglia coperto da bicchieri rotti, cicche di sigarette, inglesi ubriachi e papponi che ancora cercano clienti.

Al termine del wine tasting, perlatro molto interessante, noi quattro ci si sposta nel patio, sui comodi divani attorno al tavolino di legno, per ammazzare ciò che rimane delle bottiglie non finite. Quando salta fuori l’argomento taxi, allora Jason tira fuori il meglio di sé, perché la sua vera vocazione è quella del cantastorie:

“Una sera ero ad un party” racconta “ed avevo bevuto un sacco. Così vado al cesso, e mi accorgo nel corridoio cè una porta aperta che dà sul cortile sul retro. Nel cortile c’è un taxi. Luci accese, motore acceso, nessuno a bordo. Incuriosito, mi avvicino, e mi accorgo che le chiavi sono ancora dentro. Così, dopo essermi guardato attorno, mi siedo al posto di guida, chiudo la portiera, ingrano la prima e parto”

E’ qui che si riconosce la stoffa dell’eroe, nel coraggio di esaudire il sogno di ognuno di noi, ovvero stare dall’altra parte dello sgabbiozzo della Xiali, mangiarsi le parole, ringhiare, sputare, grattar la marcia, insultare gli altri autisti, lamentarsi un po’ di tutto e chiamare tutto ciò lavoro. Chi non pagherebbe un mese di stipendio di un tassista per poterlo fare almeno un’ora?

“Dove vado adesso? Non lo so, imbocco il Secondo Anello Nord, e lo percorro. Le luci di Pechino mi passano a destra e sinistra. Ascolto il rombo del motore. Ci sono poche macchine attorno a me, la strada è mia.

“Dopo un po’ però mi stufo di guidare lungo il Secondo Anello. Cosa posso fare? Ho un taxi… e laggiù vedo una ragazza a bordo strada che agita la mano. Accosto, la faccio salire.

“‘Qu naaar?’”

Ed è anche da questo che l’eroe viene fuori. Non gli basta essere alla guida di un taxi, vuole andare oltre e caricar passeggeri. E siccome ha la faccia cinese, riesce credibile, il bastardo.

“Per fortuna avevo una vaga idea del posto in cui lei voleva andare. Tiro giù il fanalino del tassametro e parto. Raggiungo il luogo dopo qualche minuto. La ragazza scende, mi allunga i soldi della corsa. Tiro su il fanale del tassametro e metto i soldi in tasca, con soddisfazione. Li ho conservati, quei soldi, ce li ho ancora.

“Comincia ad essere tardi, e ho voglia di tornare alla festa. Così inverto a U, torno al locale, e sulla strada vedo un tizio terrorizzato che tenta di fermare tutte le macchine che passano. Dev’essere il tassista. Facendo finta di nulla, mi immetto nel viale del palazzo ed arrivo al cortile sul retro. Scendo dalla macchina, lascio le chiavi dentro e il motore acceso. E torno alla festa”

Non lo so se questa storia è vera, ma anche se non lo è, è troppo bella per non essere raccontata. E’ una fiaba moderna, un sogno che diventa realtà.

Con diversi bicchieri di Merlot in corpo e la cravatta slacciata, saluto tutti e mi dirigo verso il mio hotel. Il taxi corre lungo la Jingshun Lu, le luci dei lampioni che corrono veloci su di noi. Chiudo gli occhi, e cullato dal vino sogno anch’io di essere al volante di una Xiali, e correre lungo il Secondo Anello Nord.

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