2009-11-08

Capodanno 2008


Il Natale dell'anno 2007 passa senza quasi farsi notare. Nonostante Dandan sia qui a Pechino, per lei è giorno lavorativo, e anche nel mio ufficio si lavora. Mi prendo comunque una giornata di ferie, ma non è la stessa cosa: manca il clima di festa. La famiglia, tra l'altro, è lontana e mi manca. La sera della vigilia io e Dandan pranziamo a casa, cucinando quello che possiamo visto che entrambi stacchiamo dal lavoro alle 6.30; affettiamo per festeggiare un panettone fatto localmente da un ristorante italiano, costa 50 RMB contro i 200 e passa dell'originale Motta o Bauli, ma è duro come legno. Il giorno di Natale, durante la pausa pranzo, decidiamo di andare al Luce, un ristorante italiano vicino al Gulou, nella città vecchia, ma scopriamo solo all'arrivo che è chiuso, e quindi ci buttiamo sul Raj, l'indiano che sta all'angolo della stessa via. Ma non è la stessa cosa. La sera siamo invitati a casa della mia professoressa, quella che mi ha mandato in Cina, e ora vive qui con la famiglia ricoprendo un importante incarico all'ambasciata. E' una cena piacevole, con italiani e con cinesi, ma ancora si avvicina poco all'idea di Natale.

E' a causa di questo che forse sento il dovere di fare qualcosa di significativo per Capodanno, ma di fatto anche su questo fronte Pechino offre ben poco. Ci sono le solite feste nei locali dove ci si alcolizza a poco prezzo e si cerca di accoppiarsi, partendo alti e diminuendo il tiro con il procedere della serata; oppure ci sono le feste dei bar fighetti dove si brinda a champagne e si spende una fortuna per il puro gusto di farsi vedere da altra gente. Sono poco positivo.

L'incontro con Dom al 7 Eleven è un segno, o almeno così io lo interpreto. La sera stessa lo invitiamo all'Indian Kitchen, un altro ristorante indiano a Sanlitun, insieme a un gruppo di altri amici italiani e cinesi – Viola, Alba e Gianluca. Quella sera decidiamo di fare una festa nostra, a casa degli ultimi due della lista, organizzando tutto da noi. Sono le feste in casa quelle che rendono i capodanni memorabili.

Meno di due settimane dopo è il 31 dicembre, e Dom viene a prendermi in ufficio dove ci carichiamo di vino. Saliamo in taxi e una mezz'oretta di traffico dopo siamo al Fuli Cheng, colossale complesso residenziale a sud del Guomao, dove Gianluca vive insieme a un coinquilino, giornalista per un importante quotidiano sportivo italiano, che per pur caso non c'è. L'appartamento è grande e arredato con gusto, con grandi piante ed elementi d'arredo cinese e africani (scopriamo che il coinquilini è cresciuto in Africa). E' la prima festa semiseria che organizziamo, e quindi i risultati sono alterni, ma non ci facciamo caso: l'importante è divertirsi e stare assieme. Le donne si chiudono in cucina a cucinare – ci sono costolette di maiale alla pechinese, costolette di maiale in agrodolce, e una sorta di lasagna clamorosamente sbagliata che si trasforma in pasticcio. Noi uomini stappiamo il vino, che scorre a fiumi, e mettiamo su la musica: Dom si improvvisa DJ e a sorpresa stupisce con Bob Dylan e gli Stones. L'atmosfera è cordiale, complice l'alcool. Tutti si divertono, pare addirittura possa nascere qualcosa tra Viola e Dom – del resto che festa di capodanno sarebbe senza un colpo di fulmine?

A mezzanotte non ci sono fuochi, la città è incredibilmente tranquilla. Noi spariamo la nona di Beethoven a palla brindando con panettone, quello buono, e Brachetto d'Aqui. Strani e rumorosi questi laowai, penseranno i vicini; come che sia, la cosa non ci riguarda.



Ad euforia della mezzanotte passata, saliamo sul tetto, oltre il ventesimo o venticinquesimo piano. Fa un freddo eccessivo e il vento tira come fa solo qui. Si vedono le stelle e la skyline di tutta la città, a nord il CBD e a sud l'anonima successione di palazzi residenziali tutti uguali che costituisce la periferia meridionale della città. Vista così, nella sua immensità di buio, grigio e fari di posizione, è uno spettacolo terribile e sconcertante. Ma noi ci siamo quasi abituati. Guardiamo lo spettacolo con gli occhi che lacrimano a causa del vento, e giochiamo a identificare i palazzi più alti: laggiù c'è il Park Hyatt, colorato di un rosso violento, quello è il Jianwai SOHO, quello il Guomao; e poi la China Garment Tower, la sagoma in costruzione della CCTV Tower, e tante altre. Tutte a nord, nelle altre direzioni i palazzi sono irrimediabilmente anonimi e tutti uguali. Pechino.

Scendiamo in casa al calduccio, è ormai tardi ma a qualcuno piacerebbe uscire. Dopo una mezz'ora di discussioni, ci si saluta, augurandosi un buon anno nuovo. Viola va a casa e io, Dandan e Dom ci infiliamo in un taxi e, nelle strade deserte e gelide, raggiungiamo il Bed Bar, dall'altra parte della città. C'è ancora qualcuno qui, il Bed Bar del resto è uno dei posti che non delude. Davanti a un tè caldo chiacchieriamo tranquillamente, stanchi e consapevoli che probabilmente non ci vedremo più, per molto molto tempo. Dom tra pochi giorni tornerà in Australia. Concludiamo in pieno accordo che è stato bello conoscersi, e non sarebbe male vedersi ancora. Io e Dandan veniamo ripetutamente invitati a Melbourne. Poi il Bed Bar chiude, verso le quattro del mattino, e il fuwuyuan gentilmente ci invita ad andare via. Camminiamo oziosamente verso la piazza del Gulou, dove a quest'ora della notte degli operai stanno ancora lavorando su di un enorme palco che copre quasi tutto lo spazio tra le torri.

L'avevamo notato il giorno prima passando per caso, quando ancora lo stavano montando, e avevamo interrogato uno degli operai per sapere di cosa si trattava.

“Buongiorno”
“...”
“Buongiorno!”
“...”
“Hey! Dico a lei, buongiorno!”
Finalmente ci nota. “Ah, Buongiorno, mi dica”
“Che succede qui? C’è uno spettacolo?”
“Sì” risponde senza espressione.
“Di cosa si tratta?”
“E’ uno spettacolo di capodanno, ci saranno la TV ed esponenti del comune”
“Ah, interessante... serve il biglietto per entrare?”
“No, non c’è biglietto” dice, perplesso.
“Allora possiamo venire a vedere?”
L'operaio ci pensa un attimo su, poi risponde:
“No”

Ora il palco lo stanno smontando. Sono ormai le quattro passate, e nonostante la stanchezza mi sento vivo come non mi sentivo da tanto. Sarà l’ora, sarà il freddo. Ci salutiamo con Dom, che decide di prendere un ultima birra da solo al Jiangjinjiu, dove rimangono ancora sei o sette persone. Mi verrà in mente solo dopo che è qui che siamo venuti la prima sera che ci siamo conosciuti, quando ancora non ero mai stato in questo posto, e ora è qui che ci salutiamo. Senza questi pensieri per la testa, in una dimentichevole e felice stanchezza, io e Dandan camminiamo per le strade silenziose, chiamiamo un taxi e ci dirigiamo verso casa. Buon anno, buon anno...

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