2008-11-24

Il Comitato di Sicurezza Pubblica

In vista delle Olimpiadi, la società civile si sta già mobilitando per dare una mano alle forze dell'ordine nel garantire la sicurezza durante i Giochi. Uno degli scopi che si sono dati molti gruppi, e in particolare i comitati di condominio e xiaoqu, è quello di censire parallelamente tutti gli stranieri nell'area di loro competenza e sensibilizzarli sull'importanza di essere in regola con le registrazioni alla polizia.

Ed ecco quindi due sciure cinesi sui cinquan'tanni, classica giubba di colore smorto e capello riccio e tinto, un generico panzone sui trent'anni evidentemente disoccupato, e una poliziotta sui quaranta in divisa, evidentemente scoglionata per dover star dietro agli altri tre civili per tutta la giornata. I tre bloccano l'uscita del mio ufficio che si trova in un complesso residenziale, e fermano tutti gli stranieri facendo domande evidentemente strambe (lo deduco dall'espressione persa degli stranieri). La poliziotta sta in disparte, non volendo sporcarsi le mani o forse cercando di far credere che lei non conosce i tre ed era lì per caso.


Arrivo io. Mi scorgono da lontano mentre scendo dal taxi, si agitano, indicano e confabulano. Mi avvicino ostentando sicurezza. Il panzone fa un passo avanti intercettandomi, ha già il fiatone per l'eccitazione.

“Halo? Du yu heva sis?” e mi sventola davanti agli occhi un foglio di residenza, senza peraltro darmi l'opportunità di guardarlo. Non so se è aggressivo per compensare alle sue insicurezze oppure davvero gode nel fare il paladino della legge e rompere le scatole. Poco importa. Ci sono tre risposte che uno può dargli: “Sì”, nel qual caso chiede che il permesso sia esibito e il numero di passaporto e registrazione siano scritti su un figlio da una delle due sciure. “No”, nel qual caso la poliziotta dovrebbe portarmi in polizia, registrarmi e multarmi per la mia mancata registrazione al mio arrivo. “Non lo so”, nel qual caso il saccente panzone darebbe una lezione di diritto amministrativo dell'immigrazione nel suo stentatissimo inglese.

Conosco i miei polli, sono troppo prevedibili. E quindi dico, con un lieve tono scocciato e una punta di strafottenza:
“Non abito qui”.

Cerco di non ridere alle loro espressioni. Si guardano, sperduti, nei loro occhi si legge la domanda: “E adesso cosa facciamo?”. Chi non abita qui non è di loro competenza. Non si erano mai posti il problema prima – come avevano potuto dimenticarsene? – eppure ora si trovavano davanti alle drammatiche conseguenze della loro mancata previsione. Chi entra ed esce non necessariamente, del resto, abita nel complesso. Non sanno cosa dire, non sanno cosa fare. La poliziotta storta la bocca, ma non dice nulla. Guardo il panzone facendo leva sulla sua insicurezza, attendo una risposta e lui me la deve dare, se no perde la faccia. Lui abbozza un sorriso nervoso: “Non abiti qui? Allora, nessun problema, passa pure!”.


“Grazie!” dico “molto gentile!” ed entro, diretto al mio ufficio.


Lo ripeto. In Cina tutto si può fare, basta sapere come farlo.



1 commento:

Gama ha detto...

Questa la possiamo quasi definire "supercazzola internazionale". :P

Sei un genio. ;)

Gama