E così, anche questo fine settimana niente Datong. E niente Chengde. Ma è il nostro anniversario, e io tra queste strade asfaltate e respirare carbone e gas di scarico non ci sto.
Così, sabato mattina, io e Dandan carichiamo lo zaino della sera prima in spalla. Cinque fermate di metropolitana, due di monorotaia, trenta chilometri di bus e tre di taxi più tardi ci vedono sulle pendici di una delle montagne a Ovest di Pechino, i famosi Xishan (西山), i monti occidentali che si vedono nei giorni in cui il cielo è più chiaro. Davanti a noi, la porta in restauro del tempio di Dajue (大觉寺). Il Tempio della Grande Consapevolezza, un eremo buddhista costruito in epoca Liao, attorno al 1068, e ovviamente rimaneggiato in epoca Ming e Qing, i cui imperatori, in perfetto stile cinese, lo resero irriconoscibile per celebrare la loro versione del passato. Tradizione peraltro non abbandonata nemmeno oggi: la Cina moderna ricostruisce i templi secondo la versione attuale di luogo sacro, non certo quella originale.
Il luogo è piacevole e silenzioso, l’aria è fresca e pulita e non ci sono orde di contadini, forse grazie al fatto che i monaci, espulsi durante la Rivoluzione Culturale, non sono mai stati rimandati indietro a gestire una trappola per turisti. Invece, l’ufficio locale per il turismo ha trasformato questo tempio millenario in una casa da tè, dove una tazza di Lipton in bustina viene 150 kuai, e i pu’er più rari arrivano a 1980 RMB al bicchiere. Un posto per ricchi, insomma. Paradossalmente questa scelta iper-commerciale ha permesso al tempio di mantenere una calma molto più vicina all’originale di tanti altri: niente folle di bifolchi con vecchi, bambini e cani al seguito, solo gente elegante e civile che sorseggia tranquillamente tè, si guarda attorno, scatta fotografie con discrezione. Nessuno sputa, nessuno butta rifiuti per terra, nessuno sparge la colazione al sacco a base di riso, aceto, salsa di soia e merda sulle antiche pietre.
Eppure, anche qui, il restauro moderno lascia i suoi segni. A parte due leoni in marmo, cui le guardie rosse hanno rotto il muso a martellate, il resto del tempio è stato risistemato. In alcuni casi bene, perché i padiglioni e le statue lignee dei buddha sono ancora lì, tarlate ma integre, e se restauro c’è stato non si nota. Ma poi, inevitabilmente, si notano i particolari sbagliati: le crepe dei gingko millenari vengono stuccate per proteggere la pianta dai parassiti, ma gli operai passano poi a inchiodare una corteccia di plastica al tronco, in modo da nascondere la stuccatura, così gli alberi sembrano in buona salute; le panchine messe a disposizione hanno lo schienale in ferro battuto, con la rappresentazione di un angioletto grassottello che suona l’arpa, simbolo ben poco adatto a un santuario buddhista; una volta c’era un famoso padiglione attorno a cui era cresciuto un albero i cui rami abbracciavano la struttura: siccome l’albero è morto qualche anno fa, adesso uno scultore sta rifacendo l’albero in silicone, in modo da farlo sembrare uguale.
Sulla via del ritorno prendiamo un taxi abusivo, e l’autista è particolarmente loquace. Anche lui, mosca bianca tra i suoi connazionali, si lamenta che il tempio ha ben poco a che vedere con quello che era un tempo. “Oramai ai cinesi interessa solo far soldi” mi dice, con una punta di tristezza “a nessuno interessa proteggere un tempio, a nessuno interessa far felice la gente e farla stare bene. A loro basta avere un bel parco e vendere il loro tè a prezzi impossibili”.
Non posso che assentire. Prima di scaricarci alla stazione della monorotaia, il tassista si volta un’ultima volta, per farmi una domanda che evidentemente gli frullava nella testa da tempo:
“Molti stranieri mi hanno detto che amano la Cina perché la trovano misteriosa. Io proprio non capisco: cosa ci trovi tu di misterioso in questo Paese?”
La mia risposta, tradotta da Dandan, è secca e diretta, e carica di infinita simpatia per le idee dell’uomo.
“La mia opinione è che la Cina ha smesso di essere misteriosa dopo il 1949”
Il tassista scoppia a ridere, annuisce divertito e alza il pollice come a confermare “ben detto”, saluta e riparte: “Arrivederci” ci auguriamo a vicenda.
Nella Cina moderna il mistero non c’è più, l’hanno assassinato. Niente è più sacro, niente è più interdetto ai profani. Tutti vanno dappertutto e nei templi non si procede secondo la fede, ma secondo il portafoglio. Spiriti e buddha non sono che attrazioni per far soldi, pubblicizzate e offerte a tutti in cambio di moneta. A chi importa l’essenza del messaggio buddhista? A chi interessa cosa significa la sacralità? A chi interessa commuovere e far riflettere, conservare un luogo di meditazione e poesia?
Ritornando verso casa, i palazzi grigi e moderni della periferia di Pechino che scorrono oltre il finestrino, sento la mia delusione ancora più forte del solito. Ma c’è una cosa nuova che mi consola un po’, un piccolissimo barlume di speranza: qualcuno in questo Paese, grazie al Cielo, la pensa come me.
3 commenti:
sara' un commento non richiesto, ma... io penso che la sacralita' e il mistero in cina siano morti molto prima del 1949. se leggiamo i racconti e i diari di viaggio di avventurieri del 1800 in asia centrale e orientale possiamo notare facilmente come 1) la cina abbia perso il suo fascino gia' prima della fine dell'impero e 2) gli imperialismi occidentali quali quello inglese, francese, americano e russo in primis siano quanto di peggio abbia prodotto la storia dell'uomo. o giu' di li'.
tuttavia non direi che la cina oggi non susciti l'interesse, la curiosita' e il rispetto di noi occidentali (insomma, che non sia piu' misteriosa), turisti, studenti o avventurieri che sia. e' perche' la cina resta "diversa" e questo per un motivo molto semplice: migliaia di anni di cultura, pensiero e tradizione (cosi' diverse dalle nostre) non si cancellano con un biglietto salato per un tempio buddhista o con tonnellate di cemento e mcdonald's. o almeno lo spero.
grazie bello
daniele
complimenti per il tuo blog, l'ho scoperto solo oggi ed è davvero interessantissimo!già è tra i miei siti preferiti.. :)
Andrea
Daniele (complimenti per il blog), ovviamente nessuno dice che nel '49, in qualche mese, la Cina ha perso la polverina del mistero dalle millenarie ali... Il '49 come simbolo della strada di modernizzazione decisa dall'elite. Mao e i suoi Maoini, nel loro colossale disegno di fare tabula rasa del vecchio per costruire il nuovo, non si facevano certo il problema del turista occidentale a diporto 50 anni dopo. Si può anche (se proprio uno vuole sognare) essere post-Maoisti convinti nel 2008 e ritenere che la liberazione del popolo Cinese sia ben valsa la perdita di tempietti e pagodine (e altri effetti collaterali..), si può ricordare che anche in Europa abbiamo dovuto sviluppare benessere, quindi cultura, per capire che forse il tempio romano era meglio lasciarlo in piedi, piuttosto che usare le sue pietre per farsi la stalla.. Si può contestare che il mistero diminuì già nel momento in cui, nel 1800, entrare in Cina non era più solo un affare da manipolo di Gesuiti e avventurieri. E ricordare che già dal 1911 grandi picconate hanno abbattuto il fascino da "Piccolo Imperatore", e licenziato lo scabroso mistero degli Eunuchi. Mi sembra però forzato e propagandistico inserire tra i motivi del degrado estetico e della distruzione di Pechino, per esempio, gli imperialismi occidentali... Tutto può essere misterioso, sono d'accordo, anche la Cina di oggi. Però la Cina di oggi è brutta, per quanto la possiamo adorare e nonostante qualche isola felice (dimenticata). E non è casualmente brutta. Un disegno politico dittatoriale ha deciso di raderla al suolo, di sfruttarla, di far dimenticare, di voltare pagina.. Sono fatti loro, beninteso, non voglio certo insegnare il mestiere al Partico Comunista Cinese, geniale nella sua gestione del potere in questi decenni: forse hanno fatto bene a fare così.. Ma questo era il disegno. Unito all'ignoranza di una classe dirigente che in certe fasi ha creduto nell'utopia da quattordicenne idealista del buon contadino, del lavoro nei campi, dell'abbasso le scuole e gli intellettuali. Le picconate fisiche, sta volta, della Rivoluzione Culturale. Infine, l'ultima rivoluzione, quella dei Soldi.
Il guinzaglio è stato tolto, "arricchirsi è glorioso", e ai cinesi non devi ripeterglielo 2 volte... Non per nulla nel Sud Est asiatico hanno fatto tutto loro.. Loro sanno come far soldi. Sanno che per fare i soldi bene, tutto il resto deve essere messo a servizio. Ideologia, leggi, consuedutini, telegiornali... E non hanno neppure quei fastidiosi contrappesi che ci siamo dati noi (cavalierismo di tipo Iberico, che snobba il mercantilismo, il cattolicesimo che un po' ha la coda di paglia che nella cruna non ci entri da ricco, persino i Calvinisti, che pure erano i più vicini alla mentalità soldo=buono, erano intrappati in un eticismo ferreo...e ora l'idealismo, il figliodipapismo, l'intellettualismo, che ti fa snobbare l'arricchimento mercantilistico come un Grande di Spagna del XIIX secolo...)
Fare soldi, questo conta oggi. E tenere il partito che lo permette con una efficacia capitalistica sfrenata, non possibile ad una democrazia di tipo Indo-Occidentale.
E allora se al posto di questo grazioso quartierino tappezzato di tempietti (gia svuotati di senso dopo il 49 e di statuette e monaci 20 anni dopo) ci posso costruire un "bel" compound a 15 piani da 1000 euro al metro quadro, che ca..volo può fregarmi del mistero Cinese, del turista a diporto, dell'occidentale che abitando o studiando qui cerca qualcosa che non c'è più e di cui pochissimi cinesi sentono la mancanza?
Mi spiace dirlo, ma anche il famoso tassista, probabilmente, parteciperebbe volentieri alla prossima "urbanizacion" del tempietto di turno, se fosse messo lui nelle condizioni di trarne giovamento... O se improvvisamente si trovasse a potersi permettere un twinings a 150RMB...
Dai, poverino, forse lui no e forse il fatto di starmene a Shanghai mi rende ancora più pessimista, but still...
Orca: è tardissimo! Grazie per l'ospitalità, approfitto per farti i complimenti per la trasmissione, che seguo con affetto da tempo.
Un saluto a Dandan,ormai un'amica, e in bocca al lupo per tutto.
Posta un commento