2008-09-03

Filare alla cinese

Un bel giorno incontro la mia vicina grassa, quella che voleva piazzarmi con la nipote di campagna, sul pianerottolo, e ovviamente attacca subito bottone. Fin qui nulla di strano – sorrido, annuisco, non capisco un’acca e mi dirigo verso l’ascensore. Ma stavolta non è come al solito, la Donna di Pechino è più insistente del solito e vorrebbe farmi entrare a casa sua, fa segno di telefonare. Educatamente, le spiego che non ho idea di cosa stia parlando e quindi spreca il suo fiato con me, ma se ha la pazienza di aspettare stasera, magari Dandan ci fa da traduttrice.

Detto fatto, per bontà d’animo mia convinco Dandan a bussare alla porta, ed ecco la vicina che si illumina, quasi non ci sperasse che ritornassi. Ci fa accomodare in salotto insieme al marito, e la figlia minore viene mandata nell’altra stanza, mentre la nipote lava i piatti in cucina. La Donna di Pechino parla piano, sottovoce con Dandan, e con un’umiltà che non le si confà – qualcosa si serio bolle in pentola. Intanto ecco tazze di té amarissime e sigarette letali offerte a profusione, col tono di chi non accetta un no. Ed ecco che, dopo una decina di minuti, Dandan traduce.

Dovete sapere che i vicini, a parte la nipote-domestica, hanno due figlie: una è una peste sempre sorridente ed energetica che avrà una decina d’anni e vive con loro, l’altra invece qui non s’è mai vista, ha una ventina d’anni e sta in Australia a studiare. O almeno questa è la versione ufficiale. Senonché scopriamo ora che, prima di finire la scuola superiore, la figlia maggiore conosce su internet un giovinastro dello Henan, che in Cina è come dire uno spiantato della provincia di Napoli, e se ne innamora pazzamente. Siccome la famiglia o sputa e lo schifa perchè è povero, ignorante e pure Henanese, quindi nel migliore dei casi un ladro e un truffatore, i due giovani fuggono assieme. Solo che dopo un paio di settimane, vuoi perché son senza soldi, vuoi perché lei si pente della sua scarsa pietà filiale, la figlia torna all’ovile e i genitori, pieni di comprensione, si sputtanano i risparmi di una vita per spedirla in Australia, nella speranza che metta giudizio e magari si piazzi con uno straniero danaroso.

Ora, dopo più di un anno d’università, accade che la figlia all’improvviso smette di chiamare. I suoi amici cinesi in Australia non sanno dove sia, e la famiglia automaticamente va a pensare che sia tornata in Cina di nascosto e sia di nuovo fuggita col disoccupato Henanese. Poi un giorno una chiamata da un numero australiano, nessuno parla, la madre disperata. Richiama, ma risponde sempre una voce inglese.

La supplica della vicina è questa: che io chiami il fatidico numero e mi informi della figlia. Cosa che prontamente faccio: mi risponde effettivamente una voce con distinto accento australiano e il timbro di chi è stato svegliato dallo squillo. Con un po’ d’imbarazzo, spiego la situazione, anche se mi rendo conto che non so nemmeno il nome di questa ragazza. L’australiano non sa nulla di chiamate da questo numero verso la Cina, tantopiù che non ha nemmeno amici o conoscenti cinesi, mi dice. Sembra, oltre l’imbarazzo ovvio di chi viene svegliato da una telefonata del genere, sincero, lo ringrazio e metto giù.

La vicina mi offre un’altra tazza di orribile té, che accetto, ma la sigaretta davvero basta, è la terza in un quarto d’ora. E’ visibilmente delusa. Non so bene su che base sospetti che la figlia sia tornata in Cina: se così fosse sarebbe veramente scema, ma la gente non smette mai di stupirmi. Dandan si congeda trasciandomi via, e non ne vuole più sapere dei guai dei vicini, che secondo lei a immichiarsi troppo degli affari altrui ci si rimane invischiati.

Storie strane accadono attorno a noi, ogni giorno, di cui nulla sappiamo. Mi vengono in mente le scene, fin troppo frequenti, di ragazzini con lo zainetto accovacciati sulla strada, davanti a loro scritta in gesso la melodrammatica storia della loro fuga da casa accanto a un cappello vuoto, una ciotola di ferro, un qualunque recipiente per monete e banconote da un mao. Mi chiedo dove sia ora, la figlia mai conosciuta dei miei vicini, e non posso fare a meno di avere compassione loro, a prescindere delle evidenti colpe educative. Quanto investono i genitori cinesi sui loro figli, senza curarsi minimamente dei loro desideri e delle loro ambizioni, senza ascoltarli, comunicare – questa storia, mi rendo conto, non è che uno degli infiniti drammi familiari che si consumano in Cina, dove una cultura basata sull’obbedienza cieca agli anziani e la competizione con i coetanei porta, troppo spesso, i giovani ad uscire di testa e dire: “Adesso basta. Fanculo. Ora sparisco”.

“Ti senti impotente di fronte alla vita

ti senti una rosa in un campo di ortica

che sei tutto e sei niente, sei la cima sei il fondo

sul mondo... tondo... vai!”

Negrita, “Vai Ragazzo Vai”, dall’album “Paradisi per Illusi” (1995)





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