2007-09-08

Day day up

Uno dei rischi di vivere in un Paese alieno è quello di adattarsi troppo e perdere la propria identità, quello che la CIA, in riferimento ai propri agenti, chiama “going native”. Qualcuno ci casca anche qui, e non è bello.

Mi capita di rivedere Dom, l’australiano conosciuto alla festa dello Yoga Yard, una sera di novembre. Sta sempre studiando cinese in scuole coreane, e per mantenersi insegna inglese ai cinesi. Vive sempre nel suo appartamento di Wudaokou con la coppia afro-singaporeana. Ma le cose non vanno bene.

Dom è una macchina: studia, insegna, studia, insegna, mangia, dorme, ricomincia. Esce, quando capita, una volta ogni tre mesi, se no sta a casa con un dabao e un libro di grammatica cinese. Con la sparizione dei neri in Sanlitun non riesce nemmeno a reperire hashish, così affoga la sua stanchezza in una lattina di Yanjing.

Sarà per questo che non sta bene. Mi racconta di come sia cotto per una ragazza coreana, e di come tutta la sua scuola lo veda come un nemico pubblico, di come chiunque gli parli alle spalle, di come anche il professore lo umili pubblicamente per un qualche scopo misterioso. Anche a casa la situazione diventa pesante, e la coppia con cui vive parla sempre meno con lui e sempre più di lui. E’ come se qualcosa stia succendendo, qualcosa riguardante lui di cui tutti sanno tranne il diretto interessato. Non si sente a suo agio.

Gli consiglio di uscire di più – studia troppo, esce troppo poco, non ha amici stretti e non vede la sua famiglia da mesi, è normale che il suo cervello reagisca con complessi di persecuzione. No, non è possibile, mi dice, deve assolutamente passare l’esame di cinese – vuole una votazione alta per trovare un buon lavoro, per poter essere ricco e godere finalmente di un buon stato sociale, non essere più lo straniero strano e squattrinato ma il rispettabile avvocato australiano, e allora anche la ragazza coreana, che lo ama ma non può sbilanciarsi con lui, non avrà più remore sociali a mettersi con lui e insieme coroneranno la loro storia d’amore. L’unica è studiare, studiare, studiare, e interrompere solo per insegnare, e in tal modo pagare l’affitto e il dabao. Se uscisse di più sprecherebbe tempo per studiare e soldi, che dovrebbe recuperare insegnando. 好好学习,天天向上, cita uno slogan di Mao Zedong, “Studiare bene, migliorare ogni giorno”. La frase ha una ritmica tipica da Rivoluzione Culturale, nella mia mente evoca immagini di oceani di ragazzini con il fazzoletto rosso, tutti uguali, che ballando scattosi e marziali, inneggiano alla perdita dell’individualità nel Grande Conformismo Totalitario.

L’ho detto, è una macchina. Lo guardo, non riesco a commentare il delirio di monologo che ha appena effettuato. Forse se avessi davanti un asiatico potrei compatirlo, ma qui parliamo di Dom, Cristo.

“Forse a furia di stare con i coreani sto diventando coreano anche io” ammette, per rompere il mio silenzio.

Mi viene in mente una canzone dei No Use For A Name, appropriatamente intitolata “I’m Turning Japanese”

No sex, no drugs, no wine, no women

No fun, no sin, no you

No wonder it's dark

Everyone around me's a total stranger

Everyone avoids me like a cyclone ranger

Everyone


“Sì, caro mio” gli dico infine “non sei coreano; non sei cinese e nemmeno giapponese. Non è che devi per forza vivere nel lusso degli espatriati, sorseggiando champagne in un completo da ufficio. Ma nemmeno degradarti così – è inumano”

Dom intuisce che ho ragione, annuisce. “Va bene” decide infine “finito l’esame, basta con questa vita”

“Quando hai l’esame?” chiedo.

“Tra otto mesi” risponde candido.

Oooocchei.

That's why i'm turning Japanese, I think I'm turning Japanese

I really think so

I'm turning Japanese, I think I'm turning Japanese

I really think so

I'm turning Japanese, I think I'm turning Japanese

I really think so

I'm turning Japanese, I think I'm turning Japanese

I really think so

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