2006-12-01

Eravamo quattro amici al bar

Un lato meno conosciuto di Sanlitun sono i suoi baristi. Nelle strade laterali della jiuba jie sono sorti numerosi ristoranti e bar aperti da stranieri, e i proprietari/gestori costituiscono una piccola comunità fissa della zona.

Quelli che più spesso vedo sono tre, tre amici che spesse volte, abbandonando il proprio bar prima o dopo l’ora di chiusura, vanno a cercare gli altri per sedersi al banco o a un tavolino e chiacchierare e bere insieme. Tre amici inseparabili. Sasha è stato già nominato, serbo di Belgrado che certe volte pare uscito da un film di Kosturica. Nelle competizioni dalla sua ha il tempo atmosferico, nel senso che il suo bar è all’aperto e a stare tutto il giorno sotto il sole o al freddo si smaltisce di gran lunga meglio.
Poi c’è Luigi, veneto di Verona, che ha aperto una gelateria nella parte nord della jiuba jie. Dalla sua ha la stazza fisica, che è ragguardevole.
E infine Stefano dell’Aperitivo. Se sei un italiano a Pechino e non conosci Stefano, vuol dire che non hai idea di dove sei. Tutti lo conoscono, perché è nel suo locale che tutti gli italiani vanno. Stefano è quello che ha importato lo spritz in Cina, e per questo è anche finito sul Corriere della Sera. Dalla sua ha l’origine: anche lui veneto, sì, ma delle parti di Bassano del Grappa, e ho detto tutto.
Li incontro spesso nelle sere infrasettimanali, specialmente d’estate, dopo la chiusura del Kiosk che avviene attorno alle nove e mezza, li si trova a un tavolino con una heineken davanti, a parlare del più e del meno, con Stefano che si accalora sui mali del mondo e Sasha che sorride senza parlare, come uno che sa qualcosa che gli altri non sanno.

Poi c’è Vivi, brasiliana con un sorriso che è un mattino di sole sull’Oceano. E’ lo chef dell’Alameda, uno dei ristoranti fusion più di successo della città. E lei è una delle uniche chef donne di Pechino. La si vede passare per la strada del Nali Mall di tanto in tanto, e non c’è una volta che non sembri felice, e mette allegria a tutti quelli che la vedono.

Poi c’è Carlos, un basco venuto a Pechino per aprire un bar di tapas; quando ha fatto successo ha anche aperto una paninoteca più in su. Scurissimo di pelle, con gli occhi nerissimi, porta un po’ di Spagna in Sanlitun con il suo accento marcatissimo. Con lui lavora Raul, un ragazzo giovane venuto dalle Canarie a Pechino per seguir la fidanzata cinese. Alto, scuro di carnagione, lineamenti scolpiti e fisico asciutto, e abito impeccabile in ogni momento, mai una volta che si sfili la giacca o la cravatta. Precisissimo e sempre gentile, il manager ideale di ogni ristorante. Sotto il Tapas c’è un banchetto tipo pescheria, coperto di ghiaccio e con una melanzana, un cespo d’insalata, un pesce e un pezzo di carne, o altre cose a variare ma mai più di quattro o cinque. Dietro il banco uno straniero sui quarant’anni in maglietta bianca e bandana in tesa, nazionalità indefinibile, sorriso. Sta tutto il giorno dietro il banco, mai visto un cliente da che vado in Sanlitun. E lui sorride.

Nella parte sud di Sanlitun c’è il nuovo Bookworm (il primo, dietro al Poachers, si è trasferito di fianco al mercato di Yashow per un anno, prima di spostarsi di nuovo più a sud a causa della distruzione in corso di Sanlitun), con il suo ex barista italiano che poi è finito a fare il manager del ristorante più pettinato della città, Santo. Santo mi chiama nel 2005 per chiedermi di vendergli pasta a Pechino. Io vendo formaggio a Shanghai, ma siccome è italiano gli faccio un favore, e alla fine per vie traverse la DeCecco gli arriva al ristorante. E’ arrivato dalla Puglia, Santo, passando per il Sudamerica e qualche altro posto non di strada, capello lungo raccolto in una coda, barba incolta e occhialino tondo. Vien da chiedersi che ci fa a Pechino uno così, ma d’altra parte ci si dovrebbe fare la stessa domanda un po’ per chiunque da queste parti. Santo è manager, ma la proprietaria è Alexandra, per gli amici Alex: attempata signora britannica, biondissima e con occhi azzurrissimi. Arrivata a Pechino nel 1991, ci s’è fermata e ha aperto un bar, poi una biblioteca in lingua inglese (il Bookworm appunto), poi s’è fatta prendere la mano e adesso ha quote societarie in tutti i ristoranti più fighi e di successo di Pechino. E quindi può lasciarli in mano a vari manager mentre lei si dedica alla sua passione, la letteratura appunto.

E’ una fauna strana che s’incontra in Sanlitun. Gente che per qualche motivo ha deciso di aprire un piccolo angolo dall’altra parte del mondo per trasformarlo nel proprio sogno, il locale ideale. Molti ci sono riusciti, e questo basta a giustificare il tutto e frenar domande superflue. Just because.

Nessun commento: