2006-12-22

Addio al Mito della Strada

Oltre che per la notizia del mio trasferimento, il 1° maggio 2006 è importante per un altro evento a Pechino, ovvero la riforma dei taxi. Questa riforma lanciata dal governo copre tutto il Paese, in generale rivoltando il sistema dei taxi e aumentando le tariffe secondo l’inflazione delle grandi città. Pechino è la città colpita dalla riforma più profonda.

Il sistema dei taxi a Pechino prima di questa data era quantomeno peculiare: tre livelli di tariffe dipendenti dalla qualità della macchina e, in generale, dalla professionalità del tassista. 2 RMB al km per le macchine nere, grandi audi o BMW con vetri oscurati e autista con guanti, le auto dei veri dakuan (大款), i nababbi. Poi i taxi standard, le vecchie Santana e Citroën rosse o le nuove Sonata ed Elantra a strisce, da 1,60 RMB. E infine il Mito della Strada, l’intramontabile e indistruttibile Xiali, da 1,20 RMB. Tariffa fissa 10 kuai per i primi cinque km. La macchina dei tassisti sordidi e ringhiosi. La macchina dei passeggeri squattrinati, degli studenti, dei free-lance, quella che si cercava sempre sulla strada e quando si fermava un taxi costoso lo si mandava via. “Mica ho soldi da buttare, io”.

Le Xiali TJ7100 entrò in produzione a Tianjin, nella fabbrica della Tianjin Xiali (天津夏利), nel 1990, modello copiato spudoratamente dalla Daihatsu Charade (pare su licenza regolare della Daihatsu). L’anno seguente venne presentata la berlina TJ7100U. Immediatamente di grande successo, la nuova automobile divenne ben presto una delle macchine più vendute nella storia cinese, la macchina del Popolo, accessibile alla nuova classe media (al momento se ne possono trovare a 4000€ nuove di pacca), acquistata da numerose città – tra cui Pechino – come taxi standard, ed negli ultimi anni esportata persino in Siria e nelle Filippine.

La stragrande maggioranza delle Xiali di Pechino erano taxi rossi, in armonia con i colori della città. Qualcuna si permetteva un arrogante rosso metallizzato. Qualche raro gagà poi si sbizzarriva, ed ecco le rarissime Xiali azzurre metallizzate. Ma il top dei top, la Xiali della Malasorte, era la Xiali viola metallizzata, la macchina più kitsch del mondo. Ero sempre alla ricerca di quella, per fare l’alternativo. Quando rimediavo l’agognato passaggio, metà delle volte il tassista era ubriaco e puzzava di baijiu, in alternativa puzzava d’aglio e sbagliava strada. Mai una volta che mi sia riuscito di sfatare l’aura di sfiga che circondava la Xiali viola.

Ebbene, dal 1° maggio 2006 le macchine nere da 2RMB/km diventano i taxi standard. Ciò significa che tutte la Santana, le Sonata e le Elantra alzeranno le loro tariffe del 25% in una botta sola, trasformando Pechino da una delle città più economiche a una delle più care in quanto a taxi. Ma soprattutto, la riforma condanna a morte le Xiali da 1,20 RMB, che non potranno più circolare.

E’ un giorno di lutto per Pechino, un giorno di lutto per chi ha pochi soldi in tasca, e deve pagare una fortuna i taxi, e per chi semplicemente amava il Mito della Strada, la Macchina del Popolo, l’indistruttibile, strettissima, odorosissima, polverosissima e scassatissima Xiali.

Ci mancherai, piccolo mostro della strada. Ci consola il fatto che con la tua dipartita l’aria di Pechino sarà un po’ più pulita grazie ai nuovi modelli catalitici, e la sicurezza che il tuo spirito ancora vive nei taxi di Tianjin, e nelle strade di Damasco, Manila, e chissà quali altri Paesi nel Mondo.

Un ganbei per te, e per la tua memoria!

2006-12-14

1° maggio 2006

E’ il primo di maggio del 2006, e sono a Nanchino per un meeting con il mio capo. In Italia si fa vacanza. Anche in Cina si fa vacanza, la Festa del Lavoratore è internazionale, e in Cina c’è un’intera settimana di vacanza. Ma per noi no, si lavora anche oggi, peraltro senza alcuno straordinario pagato, e ci tocca pure ringraziare. Questa la logica dei brianzoli…

Ma non sono arrabbiato, anzi. Perché oggi gioco la mia carta. Alla fine del meeting, quando il mio capo sembra di buonumore, getto la mia mano a lungo preparata. “Siamo in due a Shanghai, vado una volta al mese a Pechino, ma il tempo per seguire il mercato non basta, e inoltre è una spesa ingente per l’azienda… credo sarebbe proficuo il mio trasferimento”

La risposta è veramente insperata: “Va bene, se pensi sia così, organizzati e parti quando vuoi”

Mi prendo qualche mese, per concludere qualche cosa a Shanghai ed esaurire il contratto con la casa. Non mi sembra vero, è talmente bello che non ho nemmeno fretta di partire, quasi voglio gustarmi lungamente l'attesa. Decido la data: il 5 agosto lascio casa a Shanghai, e la sera stessa entro in casa nuova a Pechino. Ormai è fatta: poker d’assi, il banco sbanca.

E io mi preparo alla partenza.

2006-12-08

Le Birre Cinesi

La Cina, come ormai quasi ogni Paese al mondo, offre una selezione di birre locali più che interessante. La birra non è una bevanda tradizionale, ma venne portata dagli europei nel XIX sec.. Quando gli europei strapparono le concessioni all’impero e impiantarono le loro colonie, spesso si assicurarono la produzione di beni necessari alla sopravvivenza, ed è così che nacquero le prime birrerie della Cina. Fatto poco conosciuto, la più antica birra cinese è la Hapi (哈啤), impiantata ad Harbin dai russi nel 1900; segue la Tsingtao (青岛), probabilmente una delle birre più vendute al mondo, impiantata nel 1903 dai tedeschi. Questa la si trova dappertutto, dalla bettola di Shanghai al cantonese di San Francisco al wenzhounese di Milano. Più recenti sono la Snow Beer (雪花啤酒), una delle più economiche, e la Reeb Beer (力波啤酒), quella col nome più idiota; più decine di altri marchi minori. Anche Pechino ovviamente ha le sue birrerie: la storica Yanjing (燕京), la birra tradizionale di chi mangia yangrouchuan’r per strada, birra sponsor delle Olimpiadi del 2008, e la Beijing (北京啤酒).

Birra in cinese si dice pijiu (啤酒), jiu è alcolico, pi semplicemente suonava simile a beer, anche se qualcuno sostiene che in tempi antichi significasse "umile" o persino "di poco valore". La traduzione non casca malissimo, visto che la birra è oggi la bevanda di massa che uniforma tutti - non è tradizionale come la baijiu, non è elegante come il vino, e nemmeno costosa come il whiskey o la vodka; costa poco, è disponibile ovunque, è giovane e moderna o almeno così la fa sembrare il marketing. Il secondo mercato al mondo per la birra, che presto diventerà il primo considerato il ritmo con cui i cinesi aumentano le loro abitudini alcoliche, abbassando il prezzo unitario e aumentando la spesa complessiva (in altre parole, meno qualità, più quantità), attrae anche i grandi giocatori internazionali: c’è l’americana Budweiser, l’olandese Heineken, la danese Carlsberg, le giapponesi Asahi e Suntory, tutte con un marketing ancora più aggressivo e spudorato dei concorrenti locali, un marketing che tappezza ristoranti e metropolitane di gente felice che beve birra a tutte le ore. Ma non li criticheremo, quest'oggi, visto che succede ben di peggio con i superalcolici.

Il gusto asiatico è diverso da quello europeo, tuttavia, e nonostante l’ampia offerta di marchi praticamente tutte le birre sono lager, bionde dalla gradazione alcolica che varia dal 3% al 4,5%. Qualcuna è più dolce, un'altra più amara, ma la sostanza è quella. Ecco allora che sono nate le birre della nuova generazione, le scure: i primi sono stati quelli della Xinjiang Beer (新疆啤酒): il Xinjiang, regione musulmana della Cina, è apparentemente il produttore di massima qualità di alcolici del Paese. A fianco alla classica lager, peraltro una delle migliori, la Xinjiang Beer ci mise la heipi (黑啤), la birra nera. Gli stranieri ci si buttarono sopra, al punto che adesso anche la Tsingtao ha fatto uscire una versione scura, in bottiglia singola, e ancora difficile da trovare data la diffidenza del mercato. E sapete cosa? Sarà la noia della lager, ma le scure cinesi sono proprio buone: a quando le prime rosse?

Certo va detto: se siete abituati all’Europa la birra cinese non vi piacerà; in molti la definiscono “piscio freddo”. Questo offre il mercato, se non vi va c’è sempre la Hoegaarden importata al triplo del prezzo. Ma se volete un consiglio, andate a cercare una catena di ristoranti chiamata Goubuli (狗不理): hanno diversi locali a Tianjin e uno a Pechino. Hanno una birra fatta apposta da loro, a loro nome, e costa il doppio di una birra normale. Be’, che ci crediate o no, quella è fatta in Cina, eppure è buona, la birra cinese più buona che ci sia.

2006-12-01

Eravamo quattro amici al bar

Un lato meno conosciuto di Sanlitun sono i suoi baristi. Nelle strade laterali della jiuba jie sono sorti numerosi ristoranti e bar aperti da stranieri, e i proprietari/gestori costituiscono una piccola comunità fissa della zona.

Quelli che più spesso vedo sono tre, tre amici che spesse volte, abbandonando il proprio bar prima o dopo l’ora di chiusura, vanno a cercare gli altri per sedersi al banco o a un tavolino e chiacchierare e bere insieme. Tre amici inseparabili. Sasha è stato già nominato, serbo di Belgrado che certe volte pare uscito da un film di Kosturica. Nelle competizioni dalla sua ha il tempo atmosferico, nel senso che il suo bar è all’aperto e a stare tutto il giorno sotto il sole o al freddo si smaltisce di gran lunga meglio.
Poi c’è Luigi, veneto di Verona, che ha aperto una gelateria nella parte nord della jiuba jie. Dalla sua ha la stazza fisica, che è ragguardevole.
E infine Stefano dell’Aperitivo. Se sei un italiano a Pechino e non conosci Stefano, vuol dire che non hai idea di dove sei. Tutti lo conoscono, perché è nel suo locale che tutti gli italiani vanno. Stefano è quello che ha importato lo spritz in Cina, e per questo è anche finito sul Corriere della Sera. Dalla sua ha l’origine: anche lui veneto, sì, ma delle parti di Bassano del Grappa, e ho detto tutto.
Li incontro spesso nelle sere infrasettimanali, specialmente d’estate, dopo la chiusura del Kiosk che avviene attorno alle nove e mezza, li si trova a un tavolino con una heineken davanti, a parlare del più e del meno, con Stefano che si accalora sui mali del mondo e Sasha che sorride senza parlare, come uno che sa qualcosa che gli altri non sanno.

Poi c’è Vivi, brasiliana con un sorriso che è un mattino di sole sull’Oceano. E’ lo chef dell’Alameda, uno dei ristoranti fusion più di successo della città. E lei è una delle uniche chef donne di Pechino. La si vede passare per la strada del Nali Mall di tanto in tanto, e non c’è una volta che non sembri felice, e mette allegria a tutti quelli che la vedono.

Poi c’è Carlos, un basco venuto a Pechino per aprire un bar di tapas; quando ha fatto successo ha anche aperto una paninoteca più in su. Scurissimo di pelle, con gli occhi nerissimi, porta un po’ di Spagna in Sanlitun con il suo accento marcatissimo. Con lui lavora Raul, un ragazzo giovane venuto dalle Canarie a Pechino per seguir la fidanzata cinese. Alto, scuro di carnagione, lineamenti scolpiti e fisico asciutto, e abito impeccabile in ogni momento, mai una volta che si sfili la giacca o la cravatta. Precisissimo e sempre gentile, il manager ideale di ogni ristorante. Sotto il Tapas c’è un banchetto tipo pescheria, coperto di ghiaccio e con una melanzana, un cespo d’insalata, un pesce e un pezzo di carne, o altre cose a variare ma mai più di quattro o cinque. Dietro il banco uno straniero sui quarant’anni in maglietta bianca e bandana in tesa, nazionalità indefinibile, sorriso. Sta tutto il giorno dietro il banco, mai visto un cliente da che vado in Sanlitun. E lui sorride.

Nella parte sud di Sanlitun c’è il nuovo Bookworm (il primo, dietro al Poachers, si è trasferito di fianco al mercato di Yashow per un anno, prima di spostarsi di nuovo più a sud a causa della distruzione in corso di Sanlitun), con il suo ex barista italiano che poi è finito a fare il manager del ristorante più pettinato della città, Santo. Santo mi chiama nel 2005 per chiedermi di vendergli pasta a Pechino. Io vendo formaggio a Shanghai, ma siccome è italiano gli faccio un favore, e alla fine per vie traverse la DeCecco gli arriva al ristorante. E’ arrivato dalla Puglia, Santo, passando per il Sudamerica e qualche altro posto non di strada, capello lungo raccolto in una coda, barba incolta e occhialino tondo. Vien da chiedersi che ci fa a Pechino uno così, ma d’altra parte ci si dovrebbe fare la stessa domanda un po’ per chiunque da queste parti. Santo è manager, ma la proprietaria è Alexandra, per gli amici Alex: attempata signora britannica, biondissima e con occhi azzurrissimi. Arrivata a Pechino nel 1991, ci s’è fermata e ha aperto un bar, poi una biblioteca in lingua inglese (il Bookworm appunto), poi s’è fatta prendere la mano e adesso ha quote societarie in tutti i ristoranti più fighi e di successo di Pechino. E quindi può lasciarli in mano a vari manager mentre lei si dedica alla sua passione, la letteratura appunto.

E’ una fauna strana che s’incontra in Sanlitun. Gente che per qualche motivo ha deciso di aprire un piccolo angolo dall’altra parte del mondo per trasformarlo nel proprio sogno, il locale ideale. Molti ci sono riusciti, e questo basta a giustificare il tutto e frenar domande superflue. Just because.