2008-12-29

28 anni


Il 23 giugno compio 28 anni, e mi piacerebbe riunire qualche buon amico e fare una bella cena. Ma è sabato, e siccome la maggior parte dei miei amici lavoro nel settore dell'ospitalità e dei ristoranti, sposto la cena a lunedì, giorno non lavorativo.

E' quindi il 25 giugno. L'estate è ormai sbocciata, l'afa ha raggiunto Pechino, ma quel giorno tira vento, qualcosa si smuove: nell'aria c'è un odore di pioggia, di movimento, una strana elettricità che rende il momento magico. E' come se dopo tanto stagnare, il Cielo di Pechino abbia deciso di smuoversi, ripulirsi, rinnovarsi...


Dopo il lavoro mi preparo a casa con Strangefolk dei Kula Shaker a palla. Eccomi: i miei jeans più comodi, un paio di sandali di cuoio, una maglietta di lino rosa in stile indiano, nulla di più. Esco di casa con in braccio un cartone di vino – tre bottiglie di Verdicchio di Matelica e tre di Nero d'Avola, con cui brindare alla mia nuova età. Quando arrivo al pianterreno trovo un piccolo gruppo di persone, tra cui il mio vicino di casa gentile, quello che mi saluta sempre: oltre la tettoia stanno cadendo i primi goccioloni che, in pochi secondi, sfociano in un rabbioso temporale estivo, quasi un monsone. Rimango a guardare la pioggia che finalmente cade a lavare la città, quasi ipnotizzato, con il cartone di vino ancora in mano. Il mio vicino estrae un pacchetto di sigarette, me ne infila una in bocca, me l'accende, e quindi ne accende una per sé. Rimaniamo così, in attesa corale, mentre Dandan corre a cercare un ombrello su a casa. Quando torna, meno di cinque minuti dopo, non ho ancora finito la sigaretta, ma la pioggia è cessata. Il cielo è plumbeo, soffia ancora un vento caldissimo da Sud, sopra le nubi danzano tuoni e fulmini che a tratti illuminano la città coperta di grigio. Prendiamo al volo un taxi e ci dirigiamo al ristorante.


Il Gold Barn è difficilmente categorizzabile: appartiene a una ricca donna d'affari sichuanese, ma lo stile è quello coloniale della case shanghainesi d'inizio secolo, con mobili all'europea in legno massiccio, gusto semplice ed essenziale, gran copia di tovaglie e tende di lino e cotone color panna e con i bordi a pizzo, piante d'appartamento in grandi vasi neri, con tronchi spessi mezza spanna e le lunghe foglie tipiche dei tropici. Alle pareti, quadri di moderni artisti cinesi, con le loro forme tondeggianti che ricordano Botero. La cucina è un misto tra sichuanese e occidentale, con una serie di interpretazioni di piatti classici d entrambe le cucine: cosa rara, il risultato è piacevole e interessante. Veniamo accolti da un suono di sitar che è quello di “Love You To” di George Harrison, e dal sorriso di Annie, la manager – uniforme formale, taglio di capelli a caschetto scalato, occhi neri pericolosi come solo certe donne cinesi, e solo quelle molto belle come Gong Li, riescono ad avere. Le lasciamo il vino e saliamo la grande scala di legno verso il piano superiore.


Qui veniamo salutati da Sasi, originario di Chennai e tipico maître indiano – sorridente, accomodante, gentile ma con quel meraviglioso distacco da middle class anglo-indiana che, alle domande impreviste, permette di rispondere, senza esitazione, con un elegante gesto del capo che lascia sempre gli stranieri disarmati, a chiedersi se significhi sì, no, oppure forse. Sasi ci fa accomodare nella sala di vetro, un angolo del ristorante con quattro lati - tre pareti e il soffitto – costituiti da grandi vetrate che danno la vista sugli alberi della Sanlitun Beixiaojie e sul cielo ormai scuro.


A “Love You To” seguono tutte le altre canzoni di “Yellow Submarine” dei Beatles – Lucy in the Sky with Diamonds, Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, Eleanor Rigby, e con esse cominciano ad arrivare gli invitati. C'è Alexia la mia collega nata a Lione ma cresciuta a Pechino; c'è Irene, c'è Viola, ci sono Federico e Zhou Yu, c'è Dom. Accompagnando i discorsi con piatti fusion sichuanesi e vino italiano, si parla di spiritualità – comincia Zhou Yu, il cui libro di filosofia della storia comparata ha preso una piega mistica: negli ultimi mesi Zhou ha letto una gran quantità di libri di filosofia orientale, interessandosi tra gli altri ad Aurobindo e alla Madre: gli racconto quindi della mia esperienza nell'ashram di Pondicherry. Zhou ha intenzione di studiare meglio il rapporto tra buddhismo nel suo passaggio dall'India alla Cina andando a vivere in una scuola per lama nel Qinghai per qualche mese. Ha intenzione di partire la settimana seguente. Non smette mai di stupirmi, Zhou Yu. Dom parla degli anni in cui ha vissuto in Indonesia con la moglie e la sua famiglia, e dei vari maghi della regione che, tramite “diete bianche”, possono far passare dei chiodi attraverso il corpo senza subire ferite. In generale si parla del piacere e della sua importanza nella vita, si parla della scelta di perseguire il piacere oppure fini diversi. Ciascuno esprime il proprio punto di vista, la propria opinione, e si tratta sempre di opinioni diverse ed interessanti, come speciali e interessanti sono le persone riunite attorno al tavolo. E' la conversazione perfetta per il mio compleanno.


Mentre Dandan tira fuori una fantastica torta al cioccolato e gli invitati cantano gli auguri, chissà perché i Beatles intonano “When I'm 64”: “Will you still need me, will you still feed me when I'm sixy-four?” canta John Lennon, e Dom si unisce a lui, chiedendomi una “risoluzione” per il mio ventinovesimo anno di vita. La mia risposta viene naturale: coltivare la mia spiritualità, così facile da perdere lavorando in una grande città globale come Pechino. Per fortuna, di tanto ci sono serate tempestose in cui l'afa opprimente viene rotta, e l'anima improvvisamente respira, accorgendosi d'essere viva e vegeta. Questa è una di quelle serate.

“He called up to the angels he called into the deep
Said 'God if you can hear me give me some relief'
And He didn't ask for favours didn't want to ask for gold

Only one possession - possession of a soul

'I'm begging for your mercy I'm begging to you please
I'm just a simple traveller lost upon the sea'

And it kinda stands to reason

It was hurricane season
Hey-hey-hey-hey”
“Hurricane Season” by Kula Shaker, from the album “Strangefolk” (2007)


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