2008-12-31

La Morte corre a Pechino


Nonostante il mio ufficio si trovi a un chilometro e mezzo da casa, molto spesso non ho voglia di camminare da un luogo all’altro, specie se sono carico di borse e se fa caldo. La mattina un taxi impiega meno di cinque minuti per portarmi al lavoro, ma la sera le cose non sono così facili. La Dongzhimen Wai Dajie nei pressi del ponte sul Secondo Anello, al cui incrocio si concentrano la fermata di due linee di metropolitana, la stazione degli autobus interurbani, l’Oriental Kenzo falso (il Ginza Mall, che però in cinese usa gli stessi caratteri dell’originale giapponese) più altri centri commerciali importanti, e il cantiere della monorotaia che condurrà all’aeroporto, è una delle vie più infami di Pechino per il traffico. Verso le quattro e mezza le sue sette corsie diventano un cimitero di veicoli che si muovo a passo d’uomo per un paio di chilometri, e solo attorno alle otto comincia a sfollare. Percorrerla durante un giorno qualunque richiede una ventina di minuti.

Il ventisei di giugno mi trovo al Jenny Lou di Sanlitun, esattamente nel punto in cui la coda inizia. Ho con me la borsa del lavoro, un sacco di pane regalatomi da una cliente panettiera, più due borse della spesa. Sono stanco e, giusto per aggiungere qualcosa, è una delle poche giornate l’anno in cui a Pechino piove. Sono a lato strada con il mio carico in mano e in spalla, bagnato e scocciato, e osservo una successione infinita di taxi occupati. Farla a piedi, non se ne parla.


E’ allora che mi passa di fianco uno degli strani veicoli di Pechino, un triciclo a motore con cabina chiusa, un posto di guida davanti e un sedile dietro. L’omino mi fa segno sorridente. Non ho mai preso un mezzo del genere, e oggi sembra proprio una buona occasione: con le sue dimensioni ridotte, può muoversi liberamente sulla corsia delle biciclette e portarmi a casa in un baleno.


Il tassista da triciclo, ovviamente abusivissimo, mi chiede 15 kuai che prontamente faccio scendere a 10. Mi fa accomodare sul sedile di dietro, chiude la porta con serratura semi-blindata, e per sicurezza tira le tende di pizzo ai lati, sai mai che qualche poliziotto lo veda fare il tassista abusivo. Si parte.

Il mezzo strombetta e borbotta a una velocità decisamente ridotta, facendo scansare le biciclette sulla strada. L’omino e la ride del suo passeggero laowai carico di borse. Un paio di minuti e la strada è fatta, siamo alla fine della Dongzhimen Wai, e i veicoli – macchine, camion e bus – cominciano a prendere velocità, gli autisti che premono aggressivamente l’acceleratore dopo la lunga e snervante coda. E’ coma la carica di una battaglia, tutti cercano di tirare i motore al massimo e andarsene dalla strada maledetta.

E’ in quel momento che un triciclo a pedali ci passa di fianco e l’uomo del risciò manda un avvertimento al mio pilota:
“Guarda che più avanti c’è la polizia”.
Il mio autista di gira:
“对不起”. Mi spiace.

Ti spiace di cosa, sto per chiedergli, quando quello, con un colpo improvviso, preme la frizione, gira il volante a sinistra e inverte a U. Ci troviamo davanti quattro corsie di auto, camion e autobus in accelerazione disperata. I clacson partono frenetici come le trombe della cavalleria. Il mio autista urla, mentre sterza per evitare di un soffio un frontale un bus carico di gente.

Il vostro eroe di solito mantiene un invidiabile calma anche di fronte alle situazioni più snervanti, ma questo è troppo. Un fiume di insulti e bestemmie, prima in cinese e poi, con la lucidità che scompare, in italiano, investe il tassista abusivo, che non fa altro che ripetere “Mi spiace, mi spiace” e zigzaga con il suo triciclo tra camion e pullman. I veicoli ci sfrecciano di fianco, i clacson pigiati, vedo le facce degli altri guidatori terrorizzati e sento il triciclo che traballa per lo spostamento d’aria causato dai mezzi più grandi.
“Sterza, attento, stai sulla sinistra, ma Cristo, sei un criminale, te e tutta la gente che ti conosce e non ti ha impedito di salire alla guida di questo sputo di triciclo!!!”
“Mi spiace, mi spiace, non posso andare avanti, c’è la polizia!”
“Sì ma qua crepiamo in due, stronzoooooooo!!!”

Facciamo duecento metri in contromano, causando un notevole panico lungo tutto il tratto finale della Dongwai. Autobus che sterzano di colpo, macchine che inchiodano, gente che lancia insulti contro il triciclo impazzito. Cerco di aprire al porta ma è bloccata, non posso scendere. Investo di altre maledizioni il mio autista, che finalmente si infila in una laterale e parcheggia alle spalle di un muro. Spegne il motore, si gira e se la ride. Allunga il braccio e, con un colpo ben assestato sulla serratura blindata, la apre.

Scendo, recupero le borse, non so se prendere a botte il tizio, che rimane barricato nel triciclo chiuso.
“Mi spiace” ripete, ridendo.
Prendo le borse e me ne vado. Alle spalle mi raggiunge la voce dell’omino.
“Hey, guarda che hai dimenticato di pagare”
Lo ignoro con uno sforzo di volontà.
“Almeno dammi cinque kuai!” mi grida.
Mi volto. Lo guardo fulminandolo. Un grosso “vaffanculo” lo investe in pieno. Ma guarda te.

Mi volto e riprendo a camminare verso casa, sul marciapiede. L’omino non chiama più, ha capito che non gli conviene.
Questa è la prima e l’ultima volta che salgo su uno di quei tricicli. Ve lo giuro, potete essere le persone più pazienti del mondo, ma la Cina sarà sempre più forte della vostra pazienza.

Anche per oggi siamo vivi. Domani? Va la’ che stasera accendo una bacchetta d’incenso per ringraziare il Cielo.


2008-12-29

28 anni


Il 23 giugno compio 28 anni, e mi piacerebbe riunire qualche buon amico e fare una bella cena. Ma è sabato, e siccome la maggior parte dei miei amici lavoro nel settore dell'ospitalità e dei ristoranti, sposto la cena a lunedì, giorno non lavorativo.

E' quindi il 25 giugno. L'estate è ormai sbocciata, l'afa ha raggiunto Pechino, ma quel giorno tira vento, qualcosa si smuove: nell'aria c'è un odore di pioggia, di movimento, una strana elettricità che rende il momento magico. E' come se dopo tanto stagnare, il Cielo di Pechino abbia deciso di smuoversi, ripulirsi, rinnovarsi...


Dopo il lavoro mi preparo a casa con Strangefolk dei Kula Shaker a palla. Eccomi: i miei jeans più comodi, un paio di sandali di cuoio, una maglietta di lino rosa in stile indiano, nulla di più. Esco di casa con in braccio un cartone di vino – tre bottiglie di Verdicchio di Matelica e tre di Nero d'Avola, con cui brindare alla mia nuova età. Quando arrivo al pianterreno trovo un piccolo gruppo di persone, tra cui il mio vicino di casa gentile, quello che mi saluta sempre: oltre la tettoia stanno cadendo i primi goccioloni che, in pochi secondi, sfociano in un rabbioso temporale estivo, quasi un monsone. Rimango a guardare la pioggia che finalmente cade a lavare la città, quasi ipnotizzato, con il cartone di vino ancora in mano. Il mio vicino estrae un pacchetto di sigarette, me ne infila una in bocca, me l'accende, e quindi ne accende una per sé. Rimaniamo così, in attesa corale, mentre Dandan corre a cercare un ombrello su a casa. Quando torna, meno di cinque minuti dopo, non ho ancora finito la sigaretta, ma la pioggia è cessata. Il cielo è plumbeo, soffia ancora un vento caldissimo da Sud, sopra le nubi danzano tuoni e fulmini che a tratti illuminano la città coperta di grigio. Prendiamo al volo un taxi e ci dirigiamo al ristorante.


Il Gold Barn è difficilmente categorizzabile: appartiene a una ricca donna d'affari sichuanese, ma lo stile è quello coloniale della case shanghainesi d'inizio secolo, con mobili all'europea in legno massiccio, gusto semplice ed essenziale, gran copia di tovaglie e tende di lino e cotone color panna e con i bordi a pizzo, piante d'appartamento in grandi vasi neri, con tronchi spessi mezza spanna e le lunghe foglie tipiche dei tropici. Alle pareti, quadri di moderni artisti cinesi, con le loro forme tondeggianti che ricordano Botero. La cucina è un misto tra sichuanese e occidentale, con una serie di interpretazioni di piatti classici d entrambe le cucine: cosa rara, il risultato è piacevole e interessante. Veniamo accolti da un suono di sitar che è quello di “Love You To” di George Harrison, e dal sorriso di Annie, la manager – uniforme formale, taglio di capelli a caschetto scalato, occhi neri pericolosi come solo certe donne cinesi, e solo quelle molto belle come Gong Li, riescono ad avere. Le lasciamo il vino e saliamo la grande scala di legno verso il piano superiore.


Qui veniamo salutati da Sasi, originario di Chennai e tipico maître indiano – sorridente, accomodante, gentile ma con quel meraviglioso distacco da middle class anglo-indiana che, alle domande impreviste, permette di rispondere, senza esitazione, con un elegante gesto del capo che lascia sempre gli stranieri disarmati, a chiedersi se significhi sì, no, oppure forse. Sasi ci fa accomodare nella sala di vetro, un angolo del ristorante con quattro lati - tre pareti e il soffitto – costituiti da grandi vetrate che danno la vista sugli alberi della Sanlitun Beixiaojie e sul cielo ormai scuro.


A “Love You To” seguono tutte le altre canzoni di “Yellow Submarine” dei Beatles – Lucy in the Sky with Diamonds, Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, Eleanor Rigby, e con esse cominciano ad arrivare gli invitati. C'è Alexia la mia collega nata a Lione ma cresciuta a Pechino; c'è Irene, c'è Viola, ci sono Federico e Zhou Yu, c'è Dom. Accompagnando i discorsi con piatti fusion sichuanesi e vino italiano, si parla di spiritualità – comincia Zhou Yu, il cui libro di filosofia della storia comparata ha preso una piega mistica: negli ultimi mesi Zhou ha letto una gran quantità di libri di filosofia orientale, interessandosi tra gli altri ad Aurobindo e alla Madre: gli racconto quindi della mia esperienza nell'ashram di Pondicherry. Zhou ha intenzione di studiare meglio il rapporto tra buddhismo nel suo passaggio dall'India alla Cina andando a vivere in una scuola per lama nel Qinghai per qualche mese. Ha intenzione di partire la settimana seguente. Non smette mai di stupirmi, Zhou Yu. Dom parla degli anni in cui ha vissuto in Indonesia con la moglie e la sua famiglia, e dei vari maghi della regione che, tramite “diete bianche”, possono far passare dei chiodi attraverso il corpo senza subire ferite. In generale si parla del piacere e della sua importanza nella vita, si parla della scelta di perseguire il piacere oppure fini diversi. Ciascuno esprime il proprio punto di vista, la propria opinione, e si tratta sempre di opinioni diverse ed interessanti, come speciali e interessanti sono le persone riunite attorno al tavolo. E' la conversazione perfetta per il mio compleanno.


Mentre Dandan tira fuori una fantastica torta al cioccolato e gli invitati cantano gli auguri, chissà perché i Beatles intonano “When I'm 64”: “Will you still need me, will you still feed me when I'm sixy-four?” canta John Lennon, e Dom si unisce a lui, chiedendomi una “risoluzione” per il mio ventinovesimo anno di vita. La mia risposta viene naturale: coltivare la mia spiritualità, così facile da perdere lavorando in una grande città globale come Pechino. Per fortuna, di tanto ci sono serate tempestose in cui l'afa opprimente viene rotta, e l'anima improvvisamente respira, accorgendosi d'essere viva e vegeta. Questa è una di quelle serate.

“He called up to the angels he called into the deep
Said 'God if you can hear me give me some relief'
And He didn't ask for favours didn't want to ask for gold

Only one possession - possession of a soul

'I'm begging for your mercy I'm begging to you please
I'm just a simple traveller lost upon the sea'

And it kinda stands to reason

It was hurricane season
Hey-hey-hey-hey”
“Hurricane Season” by Kula Shaker, from the album “Strangefolk” (2007)


2008-12-08

Il letto rotto

Com'è, come non è, abbiamo rotto il letto.

Non è che io nell'intimità sia un toro, nonostante qualcuno la pensi diversamente, ma semplicemente è che l'IKEA falso costruisce i letti alla cinese. Come sono fatti i letti alla cinese, chiederete voi. Con i materiali che costano meno, vi rispondo io. E' per questo, del resto, che Wang Li ha scelto di comprare da IKEA falso e che anche io ho seguito le sue orme portandomi a casa scrivania, libreria, armadio e mobile da scarpe a 1000 kuai consegna inclusa.


Mi immagino in questo momento il progettatore dei mobili IKEA falso, ovvero un laureato col minimo dei voti in ingegneria dei materiali piegato su una scrivania in uno scantinato buio buio, pagato appunto 1000 kuai al mese per copiare i mobili IKEA, quelli originali però. Sta illustrando al suo principale, che dev'essere probabilmente un laoban di quelli col borsello in finta pelle sotto l'ascella e le sigarette Chunghwa pacchetto oro nel taschino della polo di viscosa 100%, le caratteristiche del progetto. Il laoban guarda il modello, si accende una sigaretta, e poi commenta che i piedi del letto sono l'unica parte che si vede, e quindi devono essere lucidi, il resto invece no, può anche far cagare basta che costi poco. L'ingegnere dei materiali laureato all'università di Tangshan annuisce con gravità, come se avesse ricevuto un insegnamento di vita dal Buddha del Paradiso Occidentale in persona, e dichiara “Hao de, hao de! Mei wenti!”. Ed è così che mi ritrovo in casa un letto con la struttura, la rete e le gambe in ferraccio brutto ma resistente, e i piedi in un bell'alluminio lucido lucido. Se aggiungiamo che i bulloni che li legano al resto del letto sono tutti di misura diversa e quindi tendono autonomamente a svitarsi ogni volta che qualcuno si siede sul letto o si alza, vi immaginate cosa possa essere successo. Il sottile disco di alluminio si piega, la gamba si piega, il letto di inclina su di un angolo a mo' di Titanic.


Chiamiamo Wang Li: il letto d'altra parte l'ha comprato lui, quindi la responsabilità è sua. La soluzione naturale di Wang Li è la seguente: spostiamo il letto rotto nella camera degli ospiti, quello della camera degli ospiti in camera nostra, e il gioco è fatto. Era tutto un semplice problema di allocazione! Quando gli faccio notare che non sono per nulla contento di avere un letto obliquo nella camera degli ospiti, visto che gli ospiti cui la camera è idealmente dedicata non ci possono dormire, e anche a camera vuota non ci posso nemmeno appoggiare sopra delle cose, Wang Li sospira e concorda che qualcosa va fatto. Prontamente quindi ci assicura tutto il supporto possibile, comunicandoci il numero di telefono dell'IKEA falso (che già avevamo) e suggerendoci di telefonare a loro. Anche l'IKEA falso di dimostra totalmente disponibile: “Portateci il letto che ve lo sistemiamo gratis!”. E a nulla vale spiegargli che a noi basta che ci spediscano delle gambe nuove che le montiamo autonomamente: o gli portiamo il letto intero, o nulla. E' una gara a chi scarica meglio la responsabilità facendo finta di aiutare, e non c'è modo per uno straniero come me di vincere in una disciplina che in Cina è nazionale almeno quanto il ping pong e il wushu.


Dopo la prima notte passata nella camera degli ospiti, proviamo quindi a negoziare con Wang Li una soluzione radicale: ci procuriamo un letto nostro, a spese nostre, e il suo letto rotto finisce giù dalla finestra. A Wang Li piace la prima parte della proposta, ma non la seconda: se dovesse riaffittare l'appartamento dovrebbe ricomprare un letto nuovo: uno spreco ingiustificabile. Quindi trova un'altra brillante soluzione basata sull'allocazione delle risorse e suggerisce di mettere il vecchio letto altrove: non certo a casa sua che non ha spazio, ma nel nostro appartamento di 70 mq, il che significa sulla veranda, che è l'unico spazio inutilizzato e che verrebbe occupato quasi totalmente. La nostra controproposta rassegnata è che il suo letto va comunque giù dalla finestra, ma ci assumiamo l'onere di ripagarglielo, tanto è un letto IKEA falso e costa tutto insieme forse 500 kuai. L'accordo è raggiunto.


Io e Dandan ci mettiamo quindi in moto il primo sabato libero e ci rechiamo da IKEA vero alla ricerca del nostro nuovo letto. Per qualche assurdo motivo, i letti IKEA in Cina costano come in Italia, ovvero come minimo 2-300 euro, ma anche di più, e per livelli di qualità che francamente lascerei stare. Ce ne torniamo quindi a casa senza letto, ma con una libreria, una scarpiera e due portariviste di vimini di qualità fenomenale, comprate per meno di 200 kuai a bordo strada, al mercatino del mobile abusivo che si tiene ogni giorno davanti all'IKEA vero.


Ed eccoci qua: in una casa con dei bellissimi mobili di vimini intrecciato e un letto che rimane tuttora piegato a 20° verso sudovest. Comunichiamo a Wang Li che non se ne fa più nulla, non prendiamo nessun letto nuovo, ma ripariamo quello vecchio. Il giorno seguente, domenica, andiamo all'IKEA falso con la gamba piegata e il piede d'alluminio divelto e ce lo facciamo cambiare. La responsabile, sarà che sono straniero, cambia tutto gratuitamente senza fiatare. In più mi faccio dare una quantità di bulloni aggiuntiva per rafforzare tutte le giunture. Nel tardo pomeriggio Wang Li si presenta a casa nostra e insieme facciamo le revisione ai letti (il nostro e quello della camera degli ospiti), raddoppiando appunto i bulloni e stringendoli saldamente (guarda caso erano tutti molli). Il letto è riparato, e ha un aspetto un po' più sicuro di prima. Wang Li commenta che sì, il letto probabilmente non è di qualità eccelsa, ma possiamo dargli una mano a sopravvivere a lungo se evitiamo di sederci agli angoli: “Sedendosi a metà il peso è distribuito su due gambe, non su una” e per sicurezza ci fa anche vedere il modo in cui è bene sedersi. “Hao de, hao de” gli rispondiamo increduli, per mancanza di fantasia. Sta' a vedere che ora dobbiamo anche stare attenti a come ci sediamo sul nostro letto.


Ed eccoci ritornati, come in un circolo, alla situazione iniziale. C'è un che di filosofico, in tutto questo, un che di zen perché – badate – il problema non è stato risolto ma semplicemente rimandato. Le gambe nuove del letto hanno ancora i piedi di alluminio e i bulloni spaiati, e qualunque attimo di passione potrebbe essere quello fatale, riaprendo di nuovo il circolo eterno dei problemi del letto. Forse è tutto un problema di feng shui, ma stasera non ci voglio pensare. Voglio solo farmi una bella dormita sul mio letto orizzontale.