2008-10-12

L'importanza del come e non del cosa

Una delle sicurezze di ogni lavoro è quella dei problemi, dei guai, dei casini. In gran parte delle aziende, il lavoro quotidiano di impiegati e dirigenti è proprio quello di prevedere, affrontare e risolvere i problemi. Quasi tutti voi sarete familiari con i problemi che normalmente occorrono in Italia: ci sono cose che si possono fare, cose che non si possono fare, e cose che non si dovrebbero fare ma si fanno lo stesso, ed è meglio che nessuno venga a saperle. Tre categorie semplici e chiare. In Cina, come forse immaginerete, non è così.

In Cina tutto si può fare, dipende COME lo si fa. C'è un modo particolare di fare ogni cosa: se non lo si conosce, ci si arena sulle cose più elementari e sciocche. A causare i guai non sono mai i grossi problemi, perché tutto si può risolvere, ma sono quelli piccoli, talmente piccoli che non li si era previsti e spesso li si sottovaluta, fino al giorno in cui ci rendiamo conto di essere sommersi da un mare di impedimenti stupidissimi a cui non saremo mai in grado di far fronte, e intanto l'azienda è paralizzata.

Gran parte di questi stupidi problemi sono causati dalla superficialità dello staff cinese non esperto. Se avete lavorato in Cina, sapete che occorre dare ordini chiari, precisi, semplici, univoci, eliminare qualunque possibilità di sorpresa, e controllare costantemente tutto quello che viene fatto, dall'inizio alla fine. Altrimenti, è l'inferno.

Veniamo all'esempio: un bel giorno chiedo a Sophia, la nostra segretaria-interprete-ricercatrice con grande esperienza in aziende straniere, di chiedere dei preventivi per il trasporto refrigerato via camion tra Shanghai e Pechino. Lei dice “OK”, immediato campanello d'allarme; se non fanno domande, o non hanno capito, o non stavano ascoltando. Infatti il giorno seguente Sophia mi risponde a voce. “Ci sono diverse aziende che lo fanno, una a tot alla cassa, una tot al chilo, un'altra invece dice che devi riempire il camion”. Le chiedo cortesemente di farmi un foglio excel, e dopo tre volte che glielo faccio rifare comincio a capirci qualcosa. Tutti i preventivi sono fantasiosamente alti, tipo che una spedizione aerea Milano – Pechino mi costa meno. Però Sophia, nella sua bravura, ha trovato uno che ci fa un prezzo bassissimo, e si capisce che si aspetta che io dica “OK, lo prendiamo”. Invece, dall'alto della mia esperienza in Cina, rispondo: “Il camion refrigerato ce l'hanno?”.
“Be', no” risponde candida “hanno un normalissimo Jinbei, ma dicono che possono cospargere il vano trasporti di ghiaccio, se occorre”.
“Sophia, lo sai che tra Pechino a Shanghai ci sono almeno 24-36 ore di autostrada?”
“Sì, perché?”

Non credete che questo sia un caso isolato. Quando ho lavorato alla mia vecchia azienda, abbiamo spedito salumi freschi per almeno sei mesi in camion refrigerati (refrigeratissimi, ce li avevano persino fatti esaminare, erano impeccabili) per tutta la Cina, incluse le regioni tropicali dove facevano 45 gradi all'ombra e umidità 90% nei giorni freschi. Poi un giorno siamo andati a vedere il magazzino di Canton: un garage da automobili con due frigo da supermercato, stipati di salami coperti delle muffe più strane. Siccome avevano calcolato male la capacità, un buon 60% della merce era fuori dal frigo, perché non ci entrava, e vi lascio immaginare il colore. L'odore no, perché erano sottovuoto, e per questo probabilmente il magazziniera aveva pensato che era OK proporli così ai clienti stranieri, che quelli sai che porcherie si mangiano – se c'è il formaggio con la muffa, ci sarà anche il salame con la muffa, no? Io l'avevo presa bene, il responsabile produzione, che era in Cina da meno tempo, era diventato viola e ne aveva dette di ogni al capo dell'ufficio di Canton. Il quale sereno, aveva risposto: “Non è mica colpa mia, il salame è già arrivato così”. Fast-forward al responsabile trasporti, altrettanto candido: “Noi utilizziamo una società di trasporto esterna e paghiamo un prezzo fisso al chilometro. Ma il frigo consuma energia e quindi carburante, per cui lo spengono quando viaggiano”. Come dire, scemo tu che me lo chiedi.

Succede poi che un giorno l'ufficio di Milano mi avverte che devo ricevere una spedizione di prodotti alimentari vari, tutti di straordinaria qualità, e che quindi richiedono condizioni impeccabili di magazzino. Utilizziamo un grande vettore italiano il cui responsabile milanese vanta programmi speciali tipo “Zero Damage Delivery” con un controllo perfetto del prodotto dalla porta della fabbrica all'utilizzatore finale. All'aeroporto di Pechino sdogana un'azienda cinese loro partner, che conoscono benissimo e con cui lavorano da anni. Il milanese quasi si offende quando gli chiedo più dettagli, come se mettessi in dubbio la sua professionalità. “E' tutto sotto controllo, lei si preoccupi solo di ricevere la merce il giorno tale”. Il milanese, dall'alto della sua professionalità, divide la merce in due spedizioni: prosciutto e formaggio in frigo, olio, conserve e cioccolato a temperatura ambiente. Non fidandomi, chiamo infatti la ditta cinese: “Tutto è sotto controllo” mi dicono anche quelli, quasi scocciati “una parte andrà in frigo, l'altra a temperatura ambiente!”. Puntiglioso, chiedo maggiori riformazioni sui locali di giacenza: uno è una sala refrigerata con una temperatura oscillante tra i 2 e i 10 gradi (la massima temperatura da frigo è 4 gradi). Quanto all'altra, è un capannone qualunque. Temperatura ambiente: solo che la temperatura ambiente a Pechino a giugno sono 38 gradi, e vaffanculo al cioccolato. “Ma noi lo mettiamo all'ombra” dice il cinese, candido. Segue telefonata all'ufficio di Milano con toni poco pacati e minacce di cause legali e simili.

Il tutto per gestire la catena del freddo, che è una cosa che in Europa conosciamo da almeno 20-30 anni. Ora pensate a cosa succede quando invece trattate operazioni di borsa, sicurezza informatica o medicina.

Il rischio è esattamente quello che rende la vita così frenetica in Cina. Non potete mai rilassarvi, perché in qualunque momento potrebbe sorgere un problema assolutamente idiota che rischia di mettere a repentaglio l'esistenza stessa dell'azienda in cui lavorate. Ma in fondo è anche ciò che la rende così poco noiosa – ogni giorno ci sono nuovi problemi e, se li prendete con pazienza e filosofia, potreste persino mettervi a ridere come avete fatto leggendo questo post, anche quando a risolvere questi guai dovete essere voi.

1 commento:

Massaccesi Daniele ha detto...

mi permetto di riprendere e ampliare un po' il discorso.

torno ora da due settimane di lavoro con italiani e cinesi, tra pechino, shanghai e sichuan. premetto che ho dormito 2/3 ore a notte e mai fumato tanto come in questi giorni.

avrei voluto portarti con me e farti vedere le facce italiane di volta in volta che si trattava di risolvere un problema coi cinesi, anche il piu' semplice.
il cinese non lo fa per cattiveria. ne' tantomeno perche' sia stupido. spesso non capisce, non e' abituato ai nostri usi e costumi, non e' abituato alle richieste del mercato
di clienti stranieri, spesso sa si' e no dove e' geograficamente collocato l'occidente... ma stanno imparando, ve lo giuro amici miei, stanno imparando. certo, ci vuole del tempo. loro hanno bisogno di tempo, voi di pazienza. un giorno vi porteranno una coppetta di gelato comprata a campo dei fiori a roma direttamente in zona sanlitun a pechino perfettamente conservata e anzi piu' gustosa ancora in meno di cinque minuti. non so come ma ci riusciranno. e ad un prezzo piu' vantaggioso (altrimenti voi neanche stareste qui, dico bene?! non ditemi che state in cina perche' vi piace la grappa cinese o gli spaghetti in brodo!!). hanno solo bisogno di tempo.

a dujiangyan, 70 km dall'epicentro del sisma di maggio, piena montagna e anziani contadini, ogni volta che un italiano mi faceva "daniele, vieni qui cazzo, questo cinese deve fare come dico io e non..." io lo bloccavo subito con un sorriso, gli allungavo una sigaretta e gli facevo "lo so, lo sa, ti prego, lascialo fare, lascialo lavorare, anche lui deve mangiare, vedrai, andra' tutto bene". muffe sui salami comprese...

cosa vuoi, le differenze di usi e di cultura si vedono anche e soprattutto nel lavoro. pazienza ci vuole. e un sorriso sdentato.

spesso e volentieri e' proprio prendendola a ridere, con pazienza e simpatia che (non) si risolvono i problemi nel lavoro coi cinesi. se al padrone italiano non sta bene e' perche' i cinesi non li conosce. o forse perche' ha trovato uno non abbastanza bravo (come me) nel trattare coi cinesi; per tagliare sui costi, si intende!